Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.26598 del 22/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18310-2015 proposto da:

BANCA CASSA DI RISPARMIO DI SAVIGLIANO SPA, C.L., M.S., P.F., CI.NI., elettivamente domiciliati in ROMA, L.GO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, rappresentati e difesi dagli avvocati MUSUMECI TOTI SALVATORE, EVA RAFFAELLA DESANA;

– ricorrenti –

contro

COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA CONSOB, elettivamente domiciliato in ROMA, V.MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELA DINI, PAOLO PALMISANO;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE CORTE DI CASSAZIONE, B. DI B.G., L.P., A.G., R.P.;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DESANA Eva Raffaella, difensore dei ricorrenti, che in via preliminare ha chiesto di depositare documentazione ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati SALVATORE PROVIDENTI, MICHELA DINI, PAOLO PALMISANO difensori della resistente che non si sono opposti al deposito ed hanno chiesto l’accoglimento delle difese in atti.

FATTI DI CAUSA

Oggetto della controversia è la delibera sanzionatoria n. 18615 adottata da Consob il 17 luglio 2013, che irrogava sanzioni ad amministratori e sindaci della Banca Cassa di risparmio di Savigliano ed ingiungeva alla cassa il pagamento di 160.000 Euro quale somma della sanzioni, con obbligo di regresso nei confronti degli autori delle violazioni contestate.

Alla Banca e ai suoi esponenti veniva addebitato ex artt. 190 e 195 TUF di avere, nel collocamento del prestito obbligazionario denominato “obbligazioni subordinate Lower tier II a tasso fisso 4% con ammortamento periodico 01/11/2010 – 01/11/2017 *****: a) omesso di effettuare la valutazione di adeguatezza per il 30% degli ordini di sottoscrizione, imputando la sottoscrizione strumentalmente ad iniziativa del cliente; b) riprofilato 134 clienti assegnando un profilo di rischio più elevato per rendere adeguata l’operazione.

Stando al ricorso, il procedimento era scaturito da un esposto di due dirigenti responsabili di settore della Banca, esposto ritrattato dopo la transazione con essi della causa di lavoro insorta davanti al tribunale di Saluzzo.

All’esito del procedimento è stata adottata la delibera sanzionatoria, opposta davanti alla Corte di appello di Torino.

Il giudice di unico grado con decreto 16 gennaio 2015 ha respinto le eccezioni relative allo svolgimento del procedimento; ha accolto il ricorso con riguardo alla assenza di strumentalizzazione nel collocamento, ma ha rilevato il mancato rispetto delle istruzioni interne che disponevano di effettuare il collocamento in abbinamento al servizio di consulenza e quindi in regime di adeguatezza e ha confermato la sanzione.

La Banca e alcuni degli opponenti, signori M., P., C. e Ci., hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, svolgendo sei motivi.

La Commissione nazionale per le Società e la Borsa ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 2, TUF e della L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, nonchè dell’art. 6 Cedu per assenza di idoneo contraddittorio nel procedimento sanzionatorio.

Invocando la sentenza della Corte Edu del 14 marzo 2014 (caso Grande Stevens), parte ricorrente lamenta la irritualità della contestazione degli addebiti agli interessati e del contraddittorio procedimentale instaurato davanti all’organo istruttorio, a causa della mancata trasmissione della relazione conclusiva dell’U.S.A. ai destinatari del procedimento sanzionatorio, con la concessione di un termine per replicare davanti a Consob.

Il ricorso espone che la tesi della Corte di appello, secondo cui la celebrazione di un’udienza pubblica nel successivo giudizio di impugnazione avrebbe emendato le violazioni denunciate, non sarebbe fondata, perchè il diritto al contraddittorio riservato al privato nei procedimenti sanzionatori resterebbe violato.

2.1) La censura è infondata, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata.

Proprio in fattispecie relativa a sanzioni applicate dalla Consob, questa Corte ha già avuto modo di stabilire che la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. 770 e 771 del 2017).

Va anche ribadito che il fatto che la regolamentazione secondaria dell’organizzazione della Consob preveda in capo alla stessa, nell’ambito del procedimento di accertamento e contestazione di illeciti nell’attività soggetta alla sua vigilanza, un cumulo successivo di funzioni decisorie (cautelari e nel merito), non comporta per ciò solo alcuna violazione dell’art. 6 CEDU in tema di garanzia del giusto processo; per un verso, infatti, detta garanzia è realizzata, alternativamente rispetto alla fase amministrativa, con l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio ad un sindacato giurisdizionale pieno, e, per altro verso, il semplice fatto che siano già state assunte decisioni prima della deliberazione finale non è sufficiente a generare un ragionevole timore di mancanza di imparzialità.

Gli orientamenti sopraindicati sono stati trattati in questi sensi dalla giurisprudenza più recente e in questa sede può farsi utilmente rinvio a Cass. 24103/17 e Cass. 8210/16.

3) Gli argomenti ivi svolti inducono anche a rigettare il secondo motivo, con il quale il ricorso si duole della violazione delle stesse norme perchè vi sarebbe stata assenza di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie.

Parte ricorrente sostiene che il principio della separazione tra funzioni istruttorie e decisorie deve essere assicurato nello stesso procedimento amministrativo e la violazione non sarebbe sanata dalla successiva celebrazione del giudizio di impugnazione davanti a un giudice indipendente e imparziale.

Il ricorso non spiega però perchè vi sarebbe questa insanabile violazione, sebbene la sentenza da ultimo citata abbia enunciato che in tema di intermediazione finanziaria, nel procedimento amministrativo sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, l’omessa previsione della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative, e la conseguente impossibilità di interloquire, non si pone in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quando come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, “Grande Stevens c. Italia” -, pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato – come, appunto, quello adottato ex art. 187 septies cit., anche nel testo vigente “ratione temporis” – ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo.

E la Corte di appello nella sentenza impugnata ha rilevato in primo luogo che la violazione denunciata era da escludere sulla base di Cass. SU 20935/09; in secondo luogo che vi sono rilevanti differenze tra il procedimento di cui all’art. 187 TUF e quello in esame; in terzo luogo che la stessa sentenza EDU invocata in ricorso ha fatto salvi i procedimenti che schiudono ampie possibilità difensive in sede giurisdizionale. Inoltre ha diffusamente evidenziato (cfr pagg. 23 e ss) come non vi sia stata alcuna compromissione del diritto di difesa in fase istruttoria e soprattutto come nessuno dei ricorrenti sia stato in grado di evidenziare alcuna concreta ed effettiva lesione del diritto di difesa derivante dalla violazione denunciata; questo rilievo, in disparte ogni valutazione sulla portata delle decisioni del consiglio di Stato sul regolamento Consob, è idoneo ad escludere anche la fondatezza, in particolare, della denunciata violazione della L. n. 262 del 2005, art. 24 (v. Cass. 8210/16).

Questa carenza di allegazione permane e vanifica, con la sua astrattezza, ogni pregio della censura.

4) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 7, TUF, in relazione al mutamento di rito da camerale a pubblica udienza, disposto davanti a sè dalla Corte di appello, mutamento che, secondo la sentenza impugnata, avrebbe in ogni caso salvaguardato la ritualità del procedimento sanzionatorio in relazione all’art. 6 Cedu.

I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di appello non abbia sollevato questione di costituzionalità per far dichiarare la eventuale illegittimità della norma italiana nella parte in cui non prevedeva la celebrazione di un’udienza pubblica.

4.1) Trattasi di tesi manifestamente infondata, posto che ogni autorità giurisdizionale prima di sollevare questione di costituzionalità deve verificare se sia possibile un’interpretazione e una conseguente applicazione conforme a Costituzione del testo normativo sospetto.

5) Anche il quarto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 1, TUF, è infondato.

Parte ricorrente ripropone la tesi secondo cui nel corso del procedimento sanzionatorio vi sarebbe stato un mutamento dell’iniziale contestazione, modificata sostanzialmente e addebitata ai soli amministratori e sindaci e non più ai consiglieri semplici.

In particolare nuovo sarebbe stato il rimprovero di non aver adottato presìdi e vigilanza diligente, ditalchè se la Consob lo avesse contestato “sin da subito” le parti avrebbero potuto esercitare “integralmente” il proprio diritto di difesa. La modificazione dell’impugnazione avrebbe violato il diritto di conoscere entro centoottanta giorni dall’accertamento gli addebiti contestati.

La Corte di appello ha disatteso la doglianza, perchè ha ritenuto che “il nucleo fattuale delle condotte è rimasto immutato per gli opponenti”, salva l’espunzione, più favorevole ai ricorrenti, di un erroneo riferimento a segnalazioni già note ai responsabili.

5.1) Il motivo è da rigettare, oltre che per i rilievi svolti dal controricorso a difesa della ampia motivazione resa dal giudice di merito, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo la ipotizzata incompletezza iniziale della contestazione si scontra con l’irrilevanza rispetto alle possibilità difensive accordate nella sede giurisdizionale, di cui si è detto in precedenza.

In secondo luogo è da ricordare che il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto ed alle date delle operazioni (Cass. 3.5.2016, n. 8687).

E in relazione al sindacato sulla tempistica degli atti di indagine, questa Corte ha affermato: a) che il giudice deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenuto anche conto che ragioni di economia possono indurre a raccogliere ulteriori elementi atti a dimostrare la sussistenza, accanto a violazioni già risultanti dagli atti raccolti, di altre violazioni amministrative, al fine di emettere un unico provvedimento sanzionatorio, (b) che la valutazione della superfluità degli atti di indagine va effettuata con un giudizio ex ante (e in tal senso il giudice deve rilevare l’evidente superfluità, per essere manifestamente già accertati tempi, entità e altre modalità delle violazioni, senza omettere di considerare anche la possibile connessione con altre violazioni ancora da accertare).

Ora, in relazione a questi profili non si coglie in ricorso un’analisi decisiva in grado di evidenziare una irrecuperabile tardività dell’accertamento, posto che il nucleo identificativo della contestazione è stato mosso nel termine indicato dalla stessa ricorrente e che i profili ritenuti secondari dalla Corte di appello, ove invece considerati di portata autonoma, beneficerebbero della più ampia tempistica necessaria per le verifiche del caso, tempistica in questo senso (desumibile anche dai punti a) e b) di cui sopra) non specificamente contestata.

6) Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e artt. 2697 e 2729 c.c..

Parte ricorrente rileva che la Corte di appello ha escluso la configurabilità delle “strumentalizzazioni” sanzionate con la delibera, ma, invece di annullare la delibera, ha confermato per metà le sanzioni, sul presupposto che esistessero disposizioni interne della Banca tali da imporre alla stessa di collocare il prestito in regime di adeguatezza.

Secondo il ricorso, l’esistenza di disposizioni interne della Banca più restrittive rispetto alla “Mifid” era stata già “fermamente smentita” in sede amministrativa ed esclusa sulla base di presunzioni contrarie.

Il Decreto avrebbe ritenuto l’esistenza di un modello organizzativo della Banca sulla base di una frase tratta dalla Relazione sulla funzione di controllo sull’anno 2010, contenuta nel verbale consiliare del 25 marzo 2011, in cui vi era scritto che per le obbligazioni di propria emissione il collocamento di obbligazioni sarebbe stato abbinato con il servizio di consulenza.

In ricorso la Banca ricorda che, come sempre dedotto, essa non aveva assunto alcun impegno in tal senso con la clientela, perchè “il divieto di lavorazione di ordini in “appropriatezza”” non era imposto dalla direttiva Mifid e non era stato inserito nella contrattualistica, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello.

Si duole che la Corte non abbia parimenti riconosciuto l’assenza di impegni assunti sulla base di presunte “policy” interne che neppure Consob aveva prodotto.

Il ricorso analizza poi il contenuto letterale del documento da cui era stata desunta la asserita esistenza di una policy interna e ne illustra la portata in senso opposto.

Infine si concentra sulla circostanza che solo con il piano strategico per gli anni 2011-2013, approvato il 20 dicembre 2010, era stato previsto l’abbinamento sistematico del servizio di consulenza, circostanza idonea ad escludere la presunzione – addotta dalla Corte – che obblighi in tal senso esistessero già nel 2010.

6.1) La censura è fondata.

Va ricordato che la Corte di appello ha in gran parte ritenuto insussistenti gli addebiti mossi dalla delibera agli incolpati.

La Corte ha infatti escluso l’addebito relativo a una strumentale “riprofilatura” dei clienti in vista del collocamento del prestito obbligazionario (cfr decreto, par. 8), rilevando la carenza probatoria circa le condotte illecite. Ha ritenuto, tra l’altro, comportamento non univocamente probante l’innalzamento del profilo di rischio per 110 clienti su 283, imputabile anche, in ipotesi, a loro aumentata propensione al rischio.

Anche l’altro addebito iniziale, quello oggetto di ricorso, è stato criticamente analizzato dalla Corte di appello.

Essa ha riconosciuto (decreto pag. 31) che erroneamente la Consob aveva affermato che “la prestazione del servizio di consulenza (e dunque la necessità di valutare l’adeguatezza dell’investimento)” era prevista nelle condizioni generali di contratto.

Quanto alle direttive interne, nel dar conto delle contestazioni mosse in sede di opposizione dai ricorrenti, il decreto impugnato riconosce anche che nel primo rapporto di verifica di uno dei funzionari che avevano presentato esposto in Consob “non si fa alcun cenno all’esistenza di direttive della banca nel senso sopra indicato” (cioè nel senso di un abbinamento necessario della consulenza con il collocamento di obbligazioni proprie).

Il decreto riconosce (pag. 32) che neanche nell’Avviso verifiche di regolarità del 3.11. 2010 vi erano dati diversi ed evidenzia che in esso il funzionario M. aveva segnalato che la verifica suggeriva l’adozione di una linea guida secondo cui le emissioni proprie dovessero essere sempre lavorate in consulenza, ma dava atto della sopravvenuta approvazione delle nuove linee guida.

Queste ultime furono poi oggetto di esame del Consiglio di amministrazione del 28 gennaio 2011, che aveva concordato sull’opportunità di trattare sempre in consulenza le emissioni della banca.

Da tutto ciò lo stesso decreto evince che non vi era in questi atti alcun riferimento specifico a direttive già impartite dalla Banca in quel senso;

ciononostante la Corte di appello giunge a condividere la tesi sostenuta in giudizio da Consob, secondo cui le modalità operative della banca prevedevano la prestazione del servizio di consulenza in abbinamento al servizio di collocamento.

Ciò fa sulla base del fatto che nel verbale del 25 marzo 2011, inviato in Consob il 6. 4. 2012, la Banca aveva trasfuso una Relazione della Funzione di controllo per l’anno 2010. Ne desume che da esso si poteva evincere l’esistenza di un modello organizzativo della banca, già predisposto per quell’anno 2010, tale da comportare l’abbinamento, quest’ultimo indicato anche in uno specchietto della parte dedicata alle Informazioni sui servizi svolti contenuto sempre nello stesso verbale del CdA.

Il decreto dà tuttavia conto della circostanza che a pag. 31 quel medesimo documento era contenuto un riferimento alla adozione con delibera “successiva al collocamento in questione” di un piano strategico che prevedeva il collocamento “in abbinamento sistematico” alla consulenza.

Nondimeno, sulla considerazione che il documento riferiva che tale modalità era stata descritta anche con riferimento all’anno solare precedente, perviene alla affermazione che la Banca avesse assunto tale modello organizzativo e che fosse sanzionabile per il mancato rispetto di esso.

6.2) Il provvedimento impugnato risulta viziato in primo luogo perchè, come rilevato in ricorso, le presunzioni su cui la Corte ha ritenuto sussistente la prova dell’esistenza di regole interne nelle operazioni di collocamento di prodotti propri che non sarebbero state osservate, non rispondono ai requisii di cui all’art. 2729 c.c..

Detta norma stabilisce che le presunzioni lasciate alla “prudenza del giudice”, possano essere esclusivamente le “presunzioni gravi, precise e concordanti”.

Tali requisiti sono del tutto mancanti nel caso di specie, giacchè è lo stesso decreto della Corte di appello che ha demolito la validità presuntiva degli elementi che erano stati posti da Consob a base della delibera sanzionatoria. Lo ha fatto sia nella parte di provvedimento di cui si è dato conto nel paragrafo precedente, sia nelle pagine successive del decreto, in cui la Corte ha escluso l’esistenza di un comportamento strumentale della Banca, profilo (v. pag. 35) che secondo Consob “prescinderebbe addirittura dall’esistenza o meno di normative interne”, ritenute invece indispensabili dalla Corte di appello, sia nella parte in cui ha osservato che il solo dato numerico degli ordini ad iniziativa del cliente non avrebbe potuto condurre univocamente a ritenere provato un comportamento strumentale (pag. 36).

E’ quindi lo stesso decreto a osservare (primo periodo di pag. 36) che gli elementi valorizzati da Consob non sarebbero stati “di per sè idonei a provare l’esistenza dell’illecito”.

L’illecito viene poi ritenuto sussistente sulla base della “accertata violazione del modello organizzativo interno della Banca”, desunta, come prima si è riferito, sulla base della sola portata del complesso documento approvato nel dicembre 2010, successivo al collocamento e rivolto alla istituzione delle regola dell’abbinamento “per il futuro” (pag. 33 ultimo periodo), rilievo la cui ambiguità lo stesso decreto aveva colto.

In tal modo però la Corte di appello ha contraddetto tutti i parametri di cui all’art. 2729 c.c., giacchè non vi era più apprezzabile pluralità di presunzioni, essendo stata negata la portata probatoria dei fatti addotti dalla Commissione; vi era una non concordanza di esse, in quanto l’adozione di una normativa di condotta interna per il futuro in sede di delibera consiliare contrastava con la esistenza di una regola vincolante per il passato e non si raccordava ad altri elementi presuntivi; non era ravvisabile alcun requisito di gravità, perchè l’uso, in parte dei casi di sottoscrizione, di una prassi virtuosa anteriore alla adozione di una regola scritta non è elemento che giustifichi univocamente la presunzione della esistenza di una disciplina interna vincolante, che era anzi esclusa, come si è riferito sopra, da atti accompagnatori o prodromici della delibera consiliare.

6.2.1) Mette conto evidenziare, in risposta alle difese del resistente, che il ricorso non ha sollecitato un’inammissibile richiesta di riesame della motivazione, ma ha denunciato la violazione della normativa in tema di prove, violazione che questa Corte ritiene sussistente. Non è stato infatti qui ridiscusso l’esito valutativo del meccanismo presuntivo, ma l’esistenza stessa dei presupposti per innescarlo, e lo si è fatto con la analisi dell’unico elemento al quale il decreto si è ancorato, privo dei requisiti di legge, e con la sua lettura in connessione con il resto del provvedimento, tutto cospirante in senso opposto alla conclusione raggiunta.

7) Ancorchè quanto sopra detto sia già sufficiente all’accoglimento del ricorso, mette conto chiarire che da questa analisi emerge la fondatezza anche del primo profilo proposto nel quinto motivo, relativo alla violazione dell’art. 112 c.p.c..

E’ infatti da notare che l’aver escluso la portata probatoria degli elementi addotti da Consob per dimostrare la esistenza di un comportamento strumentale della Banca avrebbe dovuto condurre la Corte di appello ad assolvere gli incolpati anche dal primo addebito, che, come si legge in controricorso (pag. 2; v. anche ricorso pag. 21 in nota), rimproverava ad essi di avere “strumentalmente imputato all’iniziativa del cliente circa il 30% degli ordini di sottoscrizione, così da escludere la ricorrenza degli estremi del servizio di consulenza e, conseguentemente, non sottoporre tali ordini alla valutazione di adeguatezza dell’operazione imposta nell’ambito di detto servizio”.

Ne discende che il rimprovero mosso dalla Corte di appello agli incolpati, relativo alla mancata osservanza di discipline interne da ritenere già esistenti e vincolanti, a prescindere dalla loro adozione per il futuro deliberata dopo il collocamento, costituiva, come lamentato in ricorso, una pronuncia estranea alla materia del contendere, essendo stata in tal modo individuata e ritenuta decisiva una violazione sostanzialmente diversa da quella contestata.

Privato del collegamento con gli altri elementi addotti per rilevare la strumentalità del comportamento sanzionato – esplicitamente esclusi -, il rimprovero diveniva infatti un addebito autonomo, non enucleabile officiosamente (violazione dell’art. 112 c.p.c.) dal giudice dell’opposizione.

8) Consegue da quanto esposto l’accoglimento del ricorso con decisione che può essere resa nel merito, non sussistendo necessità di altri accertamenti di fatto, di accoglimento dell’opposizione originaria e annullamento della delibera impugnata.

Resta assorbito il sesto motivo di ricorso.

Le spese di tutti i gradi di giudizio possono essere interamente compensate, attesa la novità e rilevante complessità dei profili esaminati in relazione ad originale fattispecie.

PQM

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso.

Accoglie il quinto; dichiara assorbito il sesto.

Cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito accoglie l’opposizione e annulla la delibera sanzionatoria Consob.

Spese dell’intero giudizio compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione 2^ civile, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472