LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16046-2014 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato a Brescia, via Malta 3, presso lo studio dell’Avvocato PIETRO GARBARINO, che lo rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.M.T., rappresentata e difesa dall’Avvocato CLAUDIO RUZZENENTI, presso il cui studio a Brescia, viale della Stazione 63, elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e D.B., R.B., B.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 691/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 29/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
Il ***** di Brescia, con citazione dell’1/1/2001, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Brescia, B.C., D.B., D.M.T. e R.B., per ottenere l’eliminazione delle imposte a chiusura delle finestre del piano rialzato dell’edificio di loro proprietà, che disturbavano il passaggio carraio condominiale.
Si è costituito il solo B., contestando le domande proposte dall’attore.
Il tribunale, all’esito di prove orali e di una consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 13/6/2007, ha respinto tutte le domande proposte dall’attore.
Il Condominio, con citazione notificata il 23/4/2008, ha proposto appello.
Si sono costituiti B.C., B.B., D.M.T. e R.B., chiedendo il rigetto dell’appello.
La corte d’appello di Brescia, con sentenza del 29/5/2013, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.
La corte, in particolare, quanto al primo motivo, con il quale l’appellante ha lamentato che il tribunale aveva ritenuto incontestato il fatto che le ante in alluminio avessero sostituito precedenti manufatti in legno, collocati fin dal 1973, con conseguente usucapione, laddove, in realtà, tale circostanza non sarebbe affatto pacifica, nè sarebbe stata fornita all’attore la possibilità di dimostrare che le nuove imposte avevano sostituito altre non sporgenti, ha ritenuto che la collocazione delle originarie ante in legno, in luogo di quelle successivamente sostituite, è dimostrata sia dalla ricostruzione del consulente tecnico d’ufficio, sia dalle deposizioni testimoniali, le quali sono univoche e concordanti proprio sul fatto che l’immobile era dotato di imposte fin dal 1973. Nè può rilevare il fatto che la testimone di parte attrice non sia stata sentita sulla circostanza, non avendo l’attore nulla eccepito al riguardo. E neppure possono rilevare i fatti e i documenti nuovi allegati per la prima volta in appello.
La corte, poi, quanto al secondo motivo, con il quale l’appellante ha lamentato l’illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui sarebbe stata disattesa la conclusione del consulente tecnico d’ufficio, il quale, infatti, avrebbe affermato che il movimento di rotazione delle griglie arrecherebbe la molestia lamentata nel corso del passaggio sulla strada, convergono proprio prove orali, ha ritenuto che la lettura completa dell’elaborato peritale chiarisce che eventuali ante preesistenti dovevano avere, grosso modo, le stesse dimensioni di quelle odierne e, di conseguenza, dovevano arrecare le stessa molestia al passaggio sulla strada fronte stante. Il tribunale, quindi, ha aggiunto la corte, coerentemente con queste conclusioni, accertato l’intervenuta usucapione della modalità di apertura delle imposte, aggiungendo che la molestia è temporanea e, comunque, riduce il passaggio in misura minore rispetto ad altri tratti della stessa strada.
Quanto, infine, al terzo motivo, con il quale l’appellante ha lamentato che il consulente tecnico d’ufficio nominato dal tribunale fosse stato incaricato dal B. per lo svolgimento di attività professionale e che l’elaborato peritale sarebbe stato gravemente carente perchè sprovvisto di planimetrie ed estratti di mappa, con la conseguente necessità di rinnovare la consulenza tecnica d’ufficio, la corte ha ritenuto che le eventuali causa di incompatibilità del consulente tecnico d’ufficio avrebbero dovuto essere rilevate entro la data dell’udienza fissata per il giuramento, aggiungendo che la consulenza tecnica d’ufficio si presenza del tutto logica e congrua, dotata degli allegati necessari a dar conto dei rilievi svolti, delle descrizioni effettuate e delle conclusioni tratte.
Il Condominio, con ricorso notificato il 26/5.5/6-10/6/2014, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.
Ha resistito, con controricorso notificato in data 19/7/2014, D.M.T..
B.C., B.B. e R.B. sono rimasti intimati.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, la Corte ritiene che i documenti prodotti in giudizio dalla controricorrente con la memoria depositata in data 14/6/2018, sano inammissibili in quanto non riguardano nè la nullità della sentenza impugnata nè l’ammissibilità del ricorso o del controricorso.
2. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio nell’escussione parziale del testimone non richiamato su capitolo successivamente ammesso dal giudice a modifica dell’ordinanza istruttoria, e la violazione degli artt. 101 e 115 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello si è uniformata alla decisione del giudice di prime cure il quale, dopo aver escusso il testimone di parte attrice Bo.Ma.Ro., ha ammesso, a modifica della propria ordinanza istruttoria, il capitolo sub c) di parte attrice non escutendo, tuttavia, il teste già congedato, sentendo, invece, sul capitolo riammesso, solo i testimoni di parte convenuta, alla luce delle cui deposizioni la corte d’appello ha ritenuto provato il fatto della collocazione delle originarie ante di legno in luogo di quelle successivamente sostituite.
3. Il motivo è infondato. La corte d’appello, infatti, con statuizione non censurata, ha ritenuto l’infondatezza del corrispondente motivo d’appello sul rilievo che l’attore nulla avesse eccepito al riguardo. In effetti, l’ammissione del capitolo precedentemente escluso e la mancata fissazione di una nuova udienza per l’escussione del testimone sui relativi fatti ha integrato, come accade per tutte le nullità concernenti l’ammissione e l’espletamento della prova testimoniale, una nullità che, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico ma nell’esclusivo interesse della parte che ne aveva chiesto ed ottenuto l’ammissione, ha carattere relativo, con la conseguenza che non era rilevabile d’ufficio dal giudice ma, a norma dell’art. 157 c.c., comma 2, doveva essere denunciata dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva alla loro verificazione o alla conoscenza delle stesse, intendendosi per istanza, ai fini della citata norma, anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado, e non poteva, quindi, essere fatte valere in sede di impugnazione (cfr. Cass. n. 19942 del 2008, per cui le nullità concernenti l’ammissione e l’espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell’esclusivo interesse delle parti e, pertanto, non sono rilevabili d’ufficio dal giudice, ma, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi (o alla conoscenza delle nullità stesse), intendendosi per istanza, ai fini della citata norma, anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado. Ne consegue che dette nullità non possono essere fatte valere in sede di impugnazione; Cass. n. 7110 del 2016).
4. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la mancata ammissione del documento nuovo prodotto in grado d’appello e sua rilevanza, nonchè la violazione dell’art. 345 c.p.c., u.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con riferimento alla domanda di condono di Cesare B., ha ritenuto che non potessero rilevare i fatti e i documenti nuovi allegati per la prima volta in appello, laddove, in realtà, si tratta di documentazione amministrativa del 2/2/1990 (non prodotta in primo grado perchè il Condominio aveva già chiesto l’ammissione di prova testimoniale per dimostrare il mutamento dello stato dei luoghi per cui è causa ed aveva, quindi, ritenuto tale documentazione non necessaria: diventata, tuttavia, tale per la già criticata pronuncia del tribunale sulla mancata escussione del testimone) che attesta il fatto che B.C. aveva presentato, in data il 30/4/1986, domanda in sanatoria per opere eseguite nell’immobile di sua proprietà a *****, e consistenti nell’ampliamento dello stesso, a dimostrazione dell’infondatezza dell’eccezione di usucapione proposta dai convenuti in quanto lo stato dei luoghi per cui è causa non è rimasto inalterato dal 1973, come ritenuto dal tribunale, ma è stato modificato con interventi abusivi nel 1986 e poi sanati nel 1990: in allegato alla domanda di condono, infatti, ha proseguito il ricorrente, vi è un documento presentato dal B. dal quale si desume in modo inequivocabile che le ante per cui è causa, nel 1986, non esistevano, essendo state collocate nel 1986 quando è stato ampliato il fabbricato ed è stata creata la finestra a protezione della, quale sono state poste le ante che arrecano molestia o disturbo al Condominio.
5. Il motivo è fondato. Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo in vigore ratione temporis, e cioè anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 (il cui art. 58, comma 2, ha stabilito che l’art. 345 c.p.c., nel testo modificato dalla stessa legge, trova applicazione ai giudizi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore, così chiarendo che, nei giudizi che, come quello di specie, sono stati definiti in primo grado in data anteriore, e cioè con sentenza del 13/6/2007, trova applicazione l’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dalla predetta legge), dev’essere interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” (la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza), e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con l’indicazione, in via alternativa (e non concorrente), dei requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo), vale a dire che si tratti di documenti che le parti dimostrino non aver potuto proporre prima per causa ad esse non imputabile ovvero che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano capaci di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado (Cass. SU n. 8203 del 2005, in motiv.; nello stesso senso, cfr., ex aliis, Cass. n. 17341 del 2015; Cass. n. 15228 del 2014; Cassa n. 26030 del 2011; Cass. n. 21980 del 2009; e, più di recente, Cass. SU n. 10790 del 2017, in motiv.; Cass. n. 24164 del 2017), fermo restando che l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti (Cass. SU n. 8203 del 2005 cit.). Nel caso di specie, la corte d’appello, senza svolgere alcun sindacato sulla indispensabilità, o menò, della nuova documentazione, al fine di dimostrare – in contrasto con l’accertamento operato dal tribunale e poi dalla stessa corte d’appello in ordine alla loro esistenza sin dal 1973 – la collocazione delle ante solo nel 1986, quando l’edificio è stato ampliato ed è stata creata la finestra a protezione della quale sono state poste le ante che arrecano molestia o disturbo all’attore. Nè può bastare, quale motivazione del mancato esame di tali documenti, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i documenti allegati in appello per la prima volta non possono rilevare. In tema di nuova produzione documentale in appello, la valutazione di non indispensabilità, che ne provoca la mancata ammissione, deve essere espressamente motivata dal giudice del gravame, quanto alla ritenuta mancanza di attitudine dei nuovi documenti a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata (Cass. n. 19608 del 2013; Cass. n. 16745 del 2014, per cui, in tema di giudizio di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, come modificato dalla L. n. 353 del 1990, nel testo applicabile ratione temporis, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, salvo che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano ritenuti indispensabili perchè dotati di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già rilevanti sulla decisione finale della controversia, impone al giudice del gravame di motivare espressamente sulla ritenuta attitudine, positiva o negativa, della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata).
6. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’incompatibilità del consulente tecnico d’ufficio per aver ricoperto, in precedenza, l’incarico di tecnico di parte a favore del B., nonchè la violazione dell’art. 51 c.p.c., come interpretabile analogicamente, ed il difetto di motivazione, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ignorato il fatto che il geom. Q., nominato dal tribunale consulente tecnico d’ufficio, aveva curato, in qualità di tecnico incaricato dal B., il procedimento di condono edilizio n. 14407 del 1986, all’esito del quale il Comune di Brescia aveva rilasciato la concessione edilizia in sanatoria per le opere edilizie illegittimamente realizzate, che avevano riguardato anche le finestre oggetto della controversia, e che aveva, dunque, il dovere di astenersi dall’accettare l’incarico, come il Condominio ha dedotto con uno specifico motivo d’appello avendone avuto conoscenza solo in quel momento.
7. Il motivo è infondato. La presentazione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 192 c.p.c. preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, a nulla rilevando il fatto che il ricorrente sia venuto a conoscenza della pretesa causa di incompatibilità del consulente soltanto dopo l’espletamento dell’incarico conferitogli dal giudice (Cass. n. 8184 del 2002), nè la causa di ricusazione può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata ab origine tempestivamente denunciata (Cass. n. 23257 del 2017). Del resto, la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 6014 del 2018). Nel caso di specie, il ricorrente, pur avendo in sostanza dedotto che la corte d’appello ha ritenuto infondato il motivo d’appello con il quale lo stesso aveva denunciato la mancata astensione del consulente tecnico d’ufficio per fatti appresi solo al momento dell’atto di appello, si è astenuto dal riprodurre in ricorso il punto in cui, nell’atto di appello, quest’ultima circostanza sarebbe stata in tali termini rappresentata al giudice dell’impugnazione, precludendo, così, alla Corte di valutare ex actis l’ammissibilità del motivo e, per l’effetto, di accedere agli atti del giudizio di merito onde verificare la fondatezza.
8. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto, limitatamente al secondo motivo, e la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, dev’essere, per l’effetto, cassata, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Brescia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte così provvede: rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo ed, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Brescia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
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