LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9093/2014 proposto da:
S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
LOTTOMATICA GROUP SPA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO MICELI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5990/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/10/2013 R.G.N. 11458/2010.
RILEVATO
Che:
1. con sentenza del 16 ottobre 2013 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da S.F. nei confronti di Lottomatica Group Spa volte alla declaratoria di invalidità della somministrazione di lavoro stipulata con l’agenzia di lavoro temporaneo Kelly Service Spa a far data dal 3 aprile 2008, con mansioni di addetta al cali center, con le pronunce consequenziali;
la Corte ha ritenuto non generica la causale giustificativa indicata, sia nel contratto di somministrazione sia nel contratto di lavoro tra la S. e l’agenzia, come: “… ragioni di carattere produttivo: esigenza di inserire due risorse per supportare l’attività di customer care in relazione all’aumento di attività legato al lancio di nuovi prodotti”;
ha altresì ritenuto provata in fatto la ricorrenza di tale causale giustificativa, sia alla luce delle produzioni documentali sia tenuto conto della generica contestazione ad opera della lavoratrice dello svolgimento dei fatti così come dedotto dalla società;
ha infine considerato che la mancata comunicazione alle OO.SS. circa il numero dei lavoratori ed i motivi del ricorso alla somministrazione, eccepita dalla S. e comunque contestata dall’azienda, non fosse prevista “a pena di nullità e comunque censurabile soltanto dalle organizzazioni interessate e non dal singolo lavoratore”;
2. S.F. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di 3 motivi, ai quale ha resistito la società con controricorso; entrambe le parti hanno poi comunicato memorie.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 1, lett. c) e art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 115 c.p.c., nonchè nullità della sentenza o del procedimento oltre che omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in merito alla genericità della ragione addotta a fondamento del contratto di somministrazione; si critica la sentenza impugnata per non aver adeguatamente considerato a tal fine “la mancata indicazione, nella clausola riportata, dei due prodotti “*****” e “*****” che la società, solo al momento della costituzione in giudizio ha indicato essere i nuovi prodotti oggetto di lancio”;
la doglianza, oltre ai profili di inammissibilità derivanti dall’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf., più di recente, Cass. n. 14317 del 2016; Cass. n. 9228 del 2016) perchè promiscuamente riferite ai vizi di cui ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., è infondata;
infatti, in linea con i tratti identificativi del contratto di somministrazione che intercorre tra imprese rispetto al contratto a termine stipulato tra l’agenzia interinale ed il lavoratore, avuto anche riguardo alla diversa fonte comunitaria di riferimento (direttiva n. 2008/104/CE il primo, e direttiva n. 1999/70/CE il secondo), questa Corte ha attribuito alle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, la natura di presupposti giustificativi oggettivi, distinguendo significato e ratio delle norme relative al contratto a termine rispetto a quelle che regolano il contratto di somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto (per tutte v. Cass. n. 21001 del 2014);
nell’ottica descritta è stato ritenuto sufficiente che l’indicazione contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile, ferma comunque la possibilità per l’utilizzatore di fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative in caso di contestazione (v. Cass. n. 15610 del 2011; Cass. n. 2521 del 2012; più di recente v. Cass. n. 5372 del 2018), valorizzando una indicazione delle ragioni sottese al ricorso alla somministrazione che sia assistita da un grado di specificazione tale da consentire di verificare se esse rientrino nella tipologia cui è legata la legittimità del contratto e da rendere pertanto possibile il riscontro della loro effettività;
su tali premesse sono state, quindi, considerate ascrivibili alle ragioni di cui all’art. 20, comma 4, le “punte di intensa attività” non fronteggiabili con il ricorso al normale organico ed anche il semplice riferimento alle stesse è stato considerato “valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c” (così Cass. n. 8120 del 2013; Cass. n. 2521 del 2012; oltre Cass. n. 21001/2014 già citata), per cui, analogamente, non può essere considerata affetta dai vizi lamentati la motivazione della sentenza impugnata che ha considerato sufficientemente specifica la causale riportata nello storico della lite in cui era “indicata specificamente quale era l’esigenza di carattere produttivo, ossia quella di inserire delle risorse (anche numericamente indicate in numero di due), il settore di adibizione (customer care), la ragione ultima (aumento di attività legata al lancio di nuovi prodotti)”, non essendo all’uopo necessario scendere in ulteriore dettaglio;
2. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 21, 22 e 27, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè nullità della sentenza o del procedimento oltre che omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in merito alla dimostrazione dell’effettività delle ragioni giustificative addotte a fondamento della somministrazione ritenuta provata dalla Corte territoriale;
la censura, oltre ai medesimi profili di inammissibilità già rilevati rispetto al primo motivo di ricorso, non merita accoglimento;
secondo il comma 3 del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, ferma l’insindacabilità nel merito delle scelte tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa ricorre alla somministrazione, il giudice deve orientare il suo controllo “all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che giustificano il ricorso alla somministrazione, concentrandosi sulla verifica della effettività di quanto previsto in sede contrattuale (cfr. Cass. n. 6933 del 2012; Cass. n. 8120 del 2013), tuttavia questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi non può essere rivalutato in sede di legittimità (Cass. n. 21916 del 2015; Cass. n. 23513 del 2017);
nel motivo in esame, invece, solo formalmente si denunciano anche errores in iudicando e in procedendo quando nella sostanza si critica proprio la sentenza impugnata per aver ritenuto dimostrata la ricorrenza in fatto dei presupposti giustificativi indicati nel contratto di somministrazione, ma tale accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene adeguato conto, pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti storici che hanno dato luogo alla controversia;
3. con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 24, comma 4, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’adempimento ivi previsto circa la comunicazione alle OO.SS. del numero dei lavoratori somministrati e dei motivi del ricorso alla somministrazione non fosse prevista a pena di nullità e comunque fosse censurabile soltanto dalle organizzazioni interessate e non dal singolo lavoratore;
il motivo è infondato;
invero secondo la L. n. 276 del 2003, art. 4, comma 4, pro tempore vigente: “L’utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria, ovvero alle rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a) il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, l’utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi; b) ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati”;
si tratta all’evidenza di norma che configura obblighi informativi a carico dell’utilizzatore ed in favore delle organizzazioni sindacali certamente non idonea ad assumere carattere imperativo tale da generare la nullità, genetica o funzionale, del singolo contratto di somministrazione, essendo piuttosto sanzionata esclusivamente in sede amministrativa (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18, comma 3 bis);
4. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% e accessori secondo legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018