Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26755 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6598/’14) proposto da:

B.M., (C.F.: *****) e V.A. (C.F.: *****), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Alessandra Ibba ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Claudio De Portu, in Roma, v. Flaminia, n. 354;

– ricorrenti –

contro

F.C., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Rudy Cortese ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Salvatore di Mattia, in Roma, v. F. Confalonieri, n. 5;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 83/2013, depositata il 15 gennaio 2013 (non notificata).

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza n. 129/2010, depositata il 23 febbraio 2010, Il Tribunale di Bassano del Grappa, in composizione monocratica, accoglieva la domanda nunciatoria di nuova opera proposta dai sigg. B.M. e V.A. nei confronti di F.C. e, per l’effetto, accertava e dichiarava la responsabilità della predetta convenuta nella causazione dei danni arrecati all’immobile di proprietà degli attori (sito in *****), condannando, di conseguenza, la F. al risarcimento degli stessi nella misura di Euro 10.532,26, oltre alle spese tecniche e per autorizzazioni, all’i.v.a. e alle spese giudiziali (ivi comprese quelle occorse per la c.t.u. e per la consulenza delle parti ricorrenti), ordinando lo svincolo immediato della somma versata a titolo di cauzione.

Decidendo sull’appello formulato dagli originari attori avverso la suddetta sentenza nella parte in cui – tra agli altri motivi – si deduceva che non era stata disposta (anche) la demolizione delle opere illegittime poste in essere dalla F. e non era stata pronunciata anche la condanna al pagamento della rivalutazione e degli interessi legali sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento danni, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 83/2013 (depositata il 15 gennaio 2013), nella costituzione dell’appellata (che formulava, a sua volta, appello incidentale per l’ottenimento della condanna alla restituzione, da parte degli appellanti principali, di quanto dagli stessi percepito in più rispetto alla somma riconosciuta in loro favore quale risarcimento del danno), accoglieva solo la censura dell’appello principale relativa all’omessa pronuncia su interessi e rivalutazione, respingendo tutti gli altri motivi del gravame di B.M. e V.A. (confermando, nel resto, l’impugnata decisione del giudice di prime cure), ravvisando la parziale fondatezza dell’appello incidentale.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta rilevava che la domanda di demolizione degli originari attori si sarebbe dovuta ritenere implicitamente rinunciata (non essendo stata riproposta nemmeno in sede di precisazione delle conclusioni) e che erano da ritenersi infondate le altre doglianze dedotte con l’appello principale relative al supposto vizio di parzialità del c.t.u., all’asserita violazione di distanze legali, alla ridotta entità del danno liquidato e al regolamento delle spese giudiziali, dovendosi ravvisare la fondatezza del solo motivo inerente l’omessa pronuncia sui suddetti accessori attinenti alla somma riconosciuta a titolo di risarcimento dei danni; il giudice di secondo grado rilevava, inoltre, la parziale fondatezza del gravame incidentale riguardante l’omessa restituzione in favore della F. dell’importo versato in acconto, risultato eccedente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, gli appellanti B.M. e V.A., al quale ha resistito con controricorso l’intimata F.C..

Il P.G. ha depositato le sue conclusioni ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., nel senso del rigetto del ricorso ed anche la difesa dei ricorrenti ha depositato memoria ai sensi della stessa norma.

2. Con la prima complessa censura i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 102,112,183,189 e 345 c.p.c., nonchè degli artt. 1102,1117,1120,1122 e 2043 c.c., in uno al vizio di contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti concernente l’asserita rinuncia implicita, da parte di essi ricorrenti, alle domande di demolizione e ripristino degli immobili danneggiati, avuto riguardo anche alla ravvisata mancata individuazione delle opere da realizzare.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 885,1102,1117 e 1120 c.c., dell’art. 112 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 11 e 20 artt. 907,1122,1127 e 2043 c.c., congiuntamente al vizio di omessa motivazione circa il fatto decisivo del giudizio (dibattuto fra le parti) che la sottomurazione realizzata dalla F. nel sottosuolo comune era stata dalla stessa eseguita per godere in modo esclusivo del sottosuolo, costituente bene comune.

4. Con la terza doglianza i ricorrenti hanno denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè un ulteriore vizio – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – per omessa e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio circa la esclusa parzialità del c.t.u. e l’individuazione delle opere complessive da demolire.

5. Con quarta censura i ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la nullità della sentenza o del procedimento in ordine alla rilevata fondatezza dell’appello incidentale circa il computo dell’acconto versato dalla F., nonchè – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – il vizio di omessa motivazione circa il suddetto fatto assunto come decisivo per il giudizio.

6. Con il quinto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato – in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la violazione degli artt. 91,92 e 112 c.p.c., avuto riguardo alla mancata pronuncia da parte del giudice di appello in ordine alla domanda relativa al rimborso delle spese del consulenze tecnico di parte.

7. Rileva il collegio che la prima censura è infondata e deve, perciò, essere rigettata.

Innanzitutto la doglianza si rivela inammissibile nella parte in cui, con essa, risulta essere stato dedotto anche il (supposto) vizio di contraddittorietà della motivazione, poichè, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (“ratione temporis” applicabile nel caso di specie siccome la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente all’il settembre 2012), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. 23940/2017).

Il motivo è, invece, propriamente privo di pregio giuridico quanto alle altre violazioni dedotte.

Infatti, la Corte territoriale ha – nella sentenza oggetto di ricorso adeguatamente dato conto del suo convincimento circa il ritenuto abbandono (siccome implicitamente rinunciata) della domanda di demolizione o di ripristino da parte degli odierni ricorrenti (già attori originari e, poi, appellanti principali), sul presupposto che la stessa non venne più ulteriormente coltivata nel giudizio di merito di primo grado tanto che non fu riproposta all’atto della precisazione delle conclusioni nè reiterata nella comparsa conclusionale, confortando la soluzione raggiunta anche sulla scorta della pregressa condotta processuale che era stata adottata dai sigg. B.- V., dal momento che la loro difesa non aveva giammai formulato istanze volte ad individuare le opera da demolire ed aveva impostato la linea difensiva esclusivamente al fine dell’ottenimento del risarcimento dei danno in conseguenza della realizzazione delle opere illegittime da parte della F., domanda che, in effetti, era stata poi accolta.

Orbene, sulla base della suddetta ricostruzione del percorso logico compiuto dal giudice di appello, bisogna evidenziare che le Sezioni unite, recentemente, con la sentenza n. 1785/2018, hanno chiarito che, se anche nel vigore dell’attuale art. 189 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990, affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, il giudice del merito deve, comunque, avere riguardo – al fine di inferire tale eventuale conseguenza – alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento (senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali). Pertanto, nella fattispecie, la Corte di secondo grado ha applicato legittimamente tale diritto vivente, non limitandosi a riscontrare la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni (oltre che in comparsa conclusionale) della domanda di condanna alla demolizione delle opere edificate dalla originaria convenuta, ma procedendo alla valutazione, sufficientemente motivata, dell’intero comportamento processuale osservato dalle (allora) parti attrici nel giudizio di prime cure, da cui deriva anche l’infondatezza della parte della doglianza relativa al mancato ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti degli indicati condomini proprio perchè essa sarebbe stata necessaria solo in presenza della necessaria cognizione di una domanda demolitoria incidente direttamente sulla possibile comproprietà dei beni.

8. Il secondo motivo prospettato dai ricorrenti si profila inammissibile sia perchè, per un verso, con esso si fa valere un vizio di omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (non più deducibile – per quanto già posto in risalto – ai sensi del novellato n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1 che consente la prospettazione del solo “omesso esame” di un fatto decisivo (comunque non configuratosi nel caso di specie) e, per altro verso, nel resto, investe la confutazione di mere valutazioni di merito del giudice di appello, che non sono sindacabili nella presente sede di legittimità, la cui valorizzazione, oltretutto, deve ritenersi superata per effetto del ritenuto abbandono della domanda di demolizione delle opere accertate come illegittime.

In ogni caso, ad abundantiam, la Corte veneta ha dato sufficientemente spiegazione sull’insussistenza delle asserite violazioni urbanistiche e della prospettata violazione di distanze legali, escludendo, altresì, la dedotta violazione dell’art. 885 c.c. e/o dell’art. 1102 c.c. con riferimento alla indicata opera di sottomurazione, chiarendo che trattavasi di muro comune preesistente che il c.t.u. aveva accertato essere stato oggetto di intervento di rafforzamento ma senza alcuna alterazione della destinazione alla quale esso era già preposto.

9. Il terzo motivo è, anch’esso, per le già evidenziate ragioni, inammissibile con riguardo alla supposta omessa e contraddittoria motivazione e, ugualmente, inammissibile con riferimento all’asserita violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè, mediante tale deduzione, i ricorrenti hanno inteso sollecitare – per l’appunto inammissibilmente – una rivalutazione di merito da parte di questa Corte sulle circostanze fattuali relative all’accertamento – compiuto dalla Corte veneziana anche mediante il ricorso a c.t.u. – dell’addotta illegittimità delle opere.

Sul piano generale si deve, peraltro, ribadire che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. A ciò si aggiunga che, in materia di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. tra le tante, Cass. n. 27000/2016, ord., e Cass. n. 23940/2017).

10. Il quarto motivo è inammissibile – per le ragioni più volte menzionate – in ordine al dedotto vizio di omessa motivazione mentre è destituito di fondamento in relazione alla supposta violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., poichè – contrariamente all’avviso della difesa dei ricorrenti – la Corte veneta ha provveduto ad accogliere l’appello incidentale con riguardo alla riduzione della misura del risarcimento riconosciuto in favore degli odierni ricorrenti per effetto dello scomputo della somma di Euro 6.000,00, versata precedentemente in acconto, circostanza eccepita ritualmente già nel corso del giudizio di primo grado e reiterata con l’appello incidentale da parte della F. in conseguenza dell’omessa considerazione da parte del Tribunale di prima istanza.

11. Anche il quinto ed ultimo motivo non coglie nel segno e deve essere disatteso, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 1023/2013 e Cass. n. 17739/2016) ha stabilito che le spese della consulenza tecnica d’ufficio rientrano tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicchè possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, costituendo tale statuizione una variante verbale della tecnica di compensazione espressa per frazioni dell’intero. Nè – va aggiunto – si ravvisa il dedotto vizio di omessa pronuncia, poichè la Corte territoriale, nel disciplinare le spese processuali, ha argomentato globalmente, in osservanza del principio generale della omogeneità della liquidazione degli oneri economici giudiziali, sull’intero regolamento delle spese di lite, respingendo, anche in considerazione delle condotta processuale osservata, del ridimensionamento della misura dell’accoglimento dell’azionata pretesa risarcitoria e del – ritenuto non adeguatamente giustificato – rifiuto di addivenire ad una bonaria composizione della controversia, la richiesta degli appellanti principali di porle, nella loro interezza, a carico della F..

12. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, ricorso deve essere dichiarato integralmente respinto, con la correlata condanna, in virtù del principio della soccombenza, dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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