LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15934-2014 proposto da:
M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO X.;
– ricorrente –
contro
R.A., P.E., P.F., P.P., P.R., P.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F.CONFALONIERI, 1 (STUDIO C.CIPRIANI), presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA ROMITO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1742/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/06/2018 dal consigliere Dott. Antonio Oricchio.
RILEVATO
che:
è stata impugnata da M.V. la sentenza n. 1742/2013 della Corte di Appello di Bari con ricorso fondato su tre ordini di motivi e resistito con controricorso delle parti intimate.
Per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, va riepilogato, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.
La decisione della Corte territoriale impugnata innanzi a questa Corte, disponendo la consegna al M. (succeduto in giudizio, per intervenuto acquisto della res litigiosa, alle originarie attrici R.M. e ri.ma.lu.) delle chiavi dei vani condominiali di cui in motivazione, riformava parzialmente l’appellata sentenza di primo grado.
Quest’ultima aveva rigettato la domanda delle originarie attrici tendente al riconoscimento della comproprietà di talune parti comuni dell’edificio, di cui in atti, ubicato a *****), con particolare riferimento al giardino dello stesso immobile.
Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. con ordinanza in camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte devè pronunciare.
CONSIDERATO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si censurano i vizi di insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Quanto alla parte delle censure relative alla pretesa lamentata carenza motivazionale della gravata decisione il motivo è inammissibile poichè presuppone come ancora esistente (ed applicabile nella concreta fattispecie) il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo – alla stregua della detta novella legislativa – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 8053/2014).
In relazione al vizio di violazione di legge (artt. 948 e 1362 c.c.) il motivo non è fondato.
Con lo stesso si svolge, nella sostanza, una censura in ordine alla pretesa erroneità “della ricostruzione della situazione fattuale costituita dagli atti di trasferimento” (p. 11 del ricorso).
La censura è, quindi, solo apparentemente svolta in punto di diritto, ma sostanza – in effetti – una impropria istanza di revisione in punto di fatto del giudizio svoltosi innanzi alla Corte del merito.
Al riguardo va riaffermato il principio per cui “in ogni caso non può ammettersi, anche attraverso la formale e strumentale deduzione di vizio di violazione di legge, una revisione in punto di fatto del giudizio di merito già svolto”, giacche “il controllo di logicità del giudizio di fatto non può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608), specie quando non ricorre – come nella fattispecie – l’ipotesi di “un ragionamento del giudice di merito dal quale emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).
Il motivo deve, pertanto, essere rigettato nel suo complesso.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deducono i vizi di omessa o insufficiente motivazione e di violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Quanto alla denunciata carenza motivazionale non può che ribadirsi, alla stregua di quanto analogamente già innanzi affermato, l’inammissibilità, in punto, della svolta censura.
In ordine alla prospettata violazione di norme di diritto (artt. 1159,1164 e 2907 c.c.) la doglianza attiene alla pretesa erroneità della valutazione della Corte di merito nel ritenere esclusa l’appartenenza del giardino (per cui è sostanzialmente causa) alle parti comuni dello stabile come pertinenza della stesso.
Anche per tal caso si tratta di censura solo apparentemente svolta in punto di diritto.
Rapporto pertinenziale è, innanzitutto, quaestio facti.
Il motivo è, quindi, nel suo complesso inammissibile.
3.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione sia in punto di carenza motivazionale che di violazione di norme di diritto.
Per la prima delle due esposte e svolte censure non può che ripetersi, come già innanzi detto e ribadito, l’inammissibilità della censura.
Quanto alla pretesa violazione di norme di diritto la censura attiene, in sostanza, alla questione della pretesa intervenuta usucapione svolta in primo grado e riprospettata, in via subordinata dall’odierno ricorrente, nell’ipotesi di accoglimento dell’avversa domanda di declaratoria di proprietà comune del controverso giardino.
vi era necessità alcuna di disposizione sull’usucapione, richiesta – con prospettazione di questione assorbita per effetto dell’esito del giudizio- in via del tutto ipotetica.
4.- Il ricorso va, dunque e nel suo complesso, rigettato.
5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo con unica e complessiva liquidazione.
6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in complessivi Euro 3.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018