LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21836/2017 proposto da:
TG2 GIUSSANI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 12, presso lo studio dell’avvocato FIAMMETTA FIAMMERI, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTO DALLA BONA, LIUCCIA SAFFIOTI, ALESSANDRA MIGLIORE;
– ricorrente –
contro
ITALFONDIARIO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso lo studio dell’avvocato TEODORO CARSILLO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FILIPPO CARIMATI, STEFANO MARIA CAVALLINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2466/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 5/6/2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla TG2 Giussani s.r.l. e da G.G. per la condanna della Italfondiario s.p.a al risarcimento dei danni sofferti dagli attori a seguito della illegittima segnalazione degli stessi alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia in relazione a un relativo debito contestato;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, sul presupposto della natura più liquida della ragione evidenziata, ha sottolineato la mancata dimostrazione, da parte degli attori, di alcun eventuale danno dagli stessi sofferto come conseguenza del comportamento illecito contestato a carico della controparte;
che, avverso la sentenza d’appello, TG2 Giussani s.r.l. e G.G. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
che la Italfondiario s.p.a. resiste con controricorso;
che, con provvedimento reso in data 26/10/2017, il Presidente del Collegio ha dichiarato non luogo a provvedere su un’istanza di rimessione intermini avanzata dalla società ricorrente;
che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis Italfondiario s.p.a. ha presentato memoria.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 276 c.p.c. e dell’art. 111Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto applicabile, al caso di specie, il principio della cosiddetta ragione più liquida in relazione alla pretesa mancata prova dei danni denunciati dagli attori, avendo il giudice d’appello propriamente disatteso l’ammissione delle istanze istruttorie dagli stessi avanzate in relazione a tale specifico punto;
che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 189,190 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per avere la corte territoriale trascurato di procedere alla valutazione della illegittimità della segnalazione operata dalla controparte alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, così come documentatamente comprovato nel corso del giudizio;
che, con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 99,112,189 e 190 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che gli appellanti avessero rinunciato alle istanze istruttorie avanzate nel corso del giudizio di primo grado sul presupposto della relativa mancata reiterazione, una volta disattese, all’udienza di precisazione delle conclusioni, dovendo escludersi che tale comportamento processuale degli attori potesse interpretarsi nei termini così indicati dai giudici d’appello;
che, preliminarmente, rileva il Collegio di dover provvedere sussistendone i presupposti – alla rimessione in termini, già invocata dal ricorrente, in relazione al deposito degli atti del processo ai fini della procedibilità del ricorso;
che, nel merito, l’impugnazione dev’essere disattesa, attesa la manifesta infondatezza del primo e del terzo motivo, suscettibile di assorbire la rilevanza del secondo;
che, con specifico riguardo alla questione concernente la riconosciuta rinuncia implicita degli attori alle istanze istruttorie avanzate nel corso del giudizio di primo grado, osserva il Collegio come la corte territoriale si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (che il Collegio integralmente condivide e richiama in questa sede, al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poichè, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello;
che tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito definitivamente proposte (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Ordinanza n. 19352 del 03/08/2017, Rv. 645492-01);
che questa Corte ha altresì precisato come l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 c.p.c., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nè con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con L. 2 agosto 2008, n. 130), nè con gli artt. 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poichè dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere nè rendere disagevole il diritto di “difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato (Sez. 6-2, Ordinanza n. 10748 del 27/06/2012, Rv. 623121-01);
che, sotto altro profilo, con riguardo al contestato riferimento del giudice a quo al principio della c.d. ragione più liquida, è appena il caso di osservare come del tutto correttamente la corte territoriale si sia richiamata, ai fini della decisione dell’odierna controversia, all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, risalente all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490-01), che, in particolare, in applicazione del ridetto principio processuale della “ragione più liquida” (desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost.), la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (v. da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510-01);
che, pertanto, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure in esame, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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