LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24243/2017 proposto da:
BANCA POPOLARE DELL’ALTO ADIGE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MAIOLINO;
– ricorrente –
contro
B.M., M.P., BA.DI.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 576/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
che:
con sentenza resa in data 14/3/2017, la Corte d’appello di Venezia, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a. per la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di due atti di trasferimento di nuda proprietà immobiliare posti in essere da B.M. (debitore, in qualità di fideiussore, della banca attrice) in favore di BA.DI. e di M.P.;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato come l’insieme degli elementi di prova complessivamente acquisiti nel corso del giudizio non avesse consentito il raggiungimento della prova dell’effettiva consapevolezza, da parte degli acquirenti, del pregiudizio arrecato alle ragioni della banca creditrice;
che, avverso la sentenza d’appello, la Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
che nessun intimato ha svolto difese in questa sede;
che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis la ricorrente ha presentato memoria.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di impugnazione proposto, la banca ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice d’appello erroneamente inteso la nozione di scientia damni richiamata dall’art. 2901 c.c., essendosi limitato alla valutazione di elementi circostanziali (quale quello relativo alla mancata consapevolezza, da parte degli acquirenti, dell’insolvenza del venditore o delle relative condizioni economiche), del tutto irrilevanti a tal fine, sotto altro profilo trascurando il decisivo rilievo probatorio degli altri elementi indiziari specificamente richiamati in ricorso a sostegno della domanda proposta;
che il motivo è inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di fatti in sè incontroversi, insistendo propriamente, la banca istante, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti; requisiti che sono stati indicati dalle Sezioni Unite nelle sentenza nn. 8853 e 8034 del 2014;
che, pertanto, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
che non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede;
che, viceversa, dev’essere attestata la sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018