LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13317/2013 proposto CENTRO STUDI RIUNITI S.r.l., in persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI MARCIALIS;
– ricorrente –
contro
M.L., in proprio e quale erede di P.F., e P.R.N., quale erede di P.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato MICHELE TAMPONI, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 170/2012 del TRIBUNALE di TEMPIO PAUSANIA, depositata 11 19/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2018 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
Con citazione del 22.11.2004 P.F. e M.L. iniziavano la causa di merito relativa alla denuncia di nuova opera proposta ed accolta dal Tribunale di Tempio Pausania nei confronti della Società Centro Studi Riuniti; chiedevano accertarsi l’inesistenza del diritto della convenuta ad aprire vedute verso la loro proprietà e l’eliminazione di quelle esistenti, oltre al risarcimento dei danni.
Si costituiva la convenuta ed eccepiva la carenza di legittimazione attiva e passiva, insistendo nel rigetto della domanda.
Il Tribunale di Tempio Pausania, con sentenza del 19.4.2012 accoglieva la domanda.
Proposto appello dalla Società Centro Studi Riuniti, la Corte d’Appello di Cagliari, pronunciava ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., in data 12 marzo 2013 comunicata in data 13.3.2013.
Propone ricorso in cassazione Società Centro Studi Riuniti s.r.l. sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., depositata in prossimità dell’udienza; resistono con controricorso P.F. e M.L..
Con il primo motivo di ricorso si allega la violazione dell’art. 184 c.p.c. e art. 184 bis c.p.c. e dell’art. 187c.p.c., art. 115c.p.c. e art. 87 disp. att. c.p.c.; assume la società ricorrente di non essere proprietaria del bene al momento dell’instaurazione del giudizio di merito, in data 22.11.2004, per averlo trasferito alla Edilmel s.r.l. il 6.7.2004 sicchè avrebbe errato la corte territoriale a non dichiarare la sua carenza di legittimazione passiva. Sosteneva che, pur avendo riacquistato il bene nel corso del giudizio, gli attori avrebbero fornito la prova della sua legittimazione passiva tardivamente, dopo lo spirare dei termini di cui all’art. 184 c.p.c., con il deposito di note autorizzate e in violazione dell’art. 87 disp. att. c.p.c..
Il motivo non è fondato.
Come affermato da questa Corte, nell’actio negatoria servitutis la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, e, nel caso in cui la legittimazione di una delle parti sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all’emissione della decisione, poichè la sua sopravvenienza rende proponibile l’azione ab origine, indipendentemente dal momento in cui si verifichi (Cass. Civ. 18.7.2002 n. 10443).
Nella specie, al momento della proposizione del ricorso per denuncia di nuova opera 19.7.2004, il Centro Studi Riuniti s.r.l. era proprietaria del bene, che venne, infatti, trasferito alla Edimel s.r.l. solo in data 21.7.2004. Nonostante al momento dell’introduzione del giudizio di merito, in data 22.11.2004 la Società Centro Studi Riuniti non fosse legittimata passiva, lo sarebbe diventata successivamente, riacquistando il bene, con atti pubblici del 21.6.2005 e 30-11-2006, e quindi la titolarità soggettiva passiva.
Non sussiste pertanto alcuna violazione dell’art. 184 c.p.c. e art. 184 bis c.p.c., in quanto la titolarità del rapporto passivo è sopravvenuta nel corso del giudizio e la prova della proprietà è stata fornita dagli attori, con la produzione degli atti pubblici da cui risultava l’acquisto del bene da parte del Centro Studi Riuniti s.r.l.. Nè sussiste la violazione art. 87 disp. att. c.p.c., in quanto la produzione documentale, avvenuta con allegazione degli atti alle note autorizzate, è stata regolarizzata con il rituale deposito in udienza.
Con il secondo motivo di ricorso si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., artt. 823 e 1145 c.c., artt. 1158 e 1159 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la strada antistante l’immobile sulla quale si eserciterebbero le vedute fosse di proprietà degli attori, per titolo e per usucapione mentre, sostiene la ricorrente, era stata oggetto di esproprio da parte del Comune di Tempio Pausania, che si era immesso nel possesso dell’area il 29.11.1989, interrompendo, in tal modo il possesso esercitato dai ricorrenti ai fini dell’usucapione.
Il motivo non è fondato.
La corte territoriale ha ritenuto che gli attori fossero proprietari del bene, e quindi, legittimati attivi, sia sulla base del titolo del 19.5.1981, sia sull’usucapione decennale o ventennale ex art. 1159 c.c..
La decisione impugnata poggia, pertanto, su due distinte ed autonome rationes decidendi, singolarmente idonee a sorreggerlo sul piano logico e giuridico.
Poichè una delle due non è stata impugnata, seppur si riconoscesse il buon fondamento della censura attinente all’acquisto della proprietà per usucapione, l’altra ratio, in quanto destinata a rimaner impregiudicata, in ogni caso è atta a “sostenere” in parte qua la decisione impugnata.
In tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le “rationes decidendi” rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (Cass. 11.1.2007, n. 389).
Va, inoltre, osservato che la corte territoriale ha accertato che, l’area in contestazione non era stata interessata dall’esproprio da parte del Comune di Tempio Pausania, alla luce degli accertamenti svolti dal CTU e delle prove testimoniali; ha quindi escluso che, nonostante il riferimento, negli atti di esproprio alla p.lla 325 c.p.c., il Comune non si era materialmente immesso nel possesso della striscia di terreno in contestazione e non l’aveva mai occupata (pag. 2-3 della sentenza).
Nessuna incidenza interruttiva può, comunque, avere sul decorso del termine per l’usucapione da parte del possessore, una procedura di espropriazione per pubblica utilità promossa contro l’intestatario dell’immobile e da quest’ultimo contestata, poichè la interruzione del possesso può derivare solo da situazioni di fatto che ne impediscano materialmente l’esercizio, e non da vicende giudiziali tra l’intestatario della titolarità del bene e i terzi, che non comportano alcuna conseguenza nella continuità del possesso (Cassazione civile, sez. 2, 06/06/1983, n. 3836).
Con il terzo motivo di ricorso si allega la violazione dell’art. 183 c.p.c., art. 189 c.p.c. e art. 112 c.p.c., per avere la corte territoriale pronunciato su domande nuove tardivamente proposte dagli attori oltre l’udienza di trattazione. Afferma la ricorrente che, poichè all’udienza di trattazione, i ricorrenti chiesero di dichiarare l’illegittimità dell’opera ed il risarcimento dei danni, la richiesta di riduzione in pristino formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni costituiva domanda nuova, con la conseguenza che la pronuncia sarebbe avvenuta in violazione dell’art. 112 c.p.c..
Il motivo non è fondato.
Dall’esame degli atti processuali, consentito in questa sede perchè dedotto un error in procedendo, risulta che, con l’ordinanza interinale del 19.10.2004, la convenuta fu condannata alla riduzione in pristino. Con le memorie ex art. 183 c.p.c., gli attori “confermato il provvedimento interinale” avevano chiesero anche il risarcimento dei danni.
Ne consegue che non sussiste alcun vizio di extrapetizione, in quanto, attraverso la richiesta di conferma del provvedimento interinale, è stata ribadita la domanda di riduzione in pristino, cui si è aggiunta quella risarcitoria.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 4100,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge nella misura del 15%, iva e cap come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Corte di Cassazione, il 27 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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