Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27328 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18019/2017 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO BIANCHI;

– ricorrente –

contro

T.M., T.P., T.L.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 23/2017 della corte d’appello di CATANZARO, depositata il 16/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nulla camera di consiglio non partecipata del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

La Corte:

RILEVATO

che:

S.G. conveniva davanti al Tribunale di Crotone T.M., T.P. e T.L.S. adducendo di essere subentrato come conduttore in un contratto locatizio stipulato in data ***** avente ad oggetto un immobile adibito a birreria, e del quale sarebbero stati locatori i convenuti, anch’essi subentrati all’originale locatore T.F.. Adduceva altresì che la Polizia Municipale avrebbe rilevato nel ***** la necessità di opere di straordinaria manutenzione, che T.F. non avrebbe però voluto eseguire; di qui in data ***** la risoluzione consensuale del contratto. L’attore sosteneva che per la chiusura forzata del locale derivata dalla mancata esecuzione di tali lavori egli avrebbe subito danni, di cui chiedeva quindi il risarcimento nella misura di 500 milioni di Lire o nella diversa somma di giustizia, oltre ad accessori. I convenuti si costituivano resistendo e proponendo domanda riconvenzionale risarcitoria. Il Tribunale con sentenza del 3 novembre 2010 rigettava ogni domanda compensando le spese.

Il S. proponeva appello, cui resistevano le controparti, e che veniva rigettato dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 16 gennaio 2017.

Il S. ha presentato ricorso articolato in quattro motivi.

RITENUTO

che:

I quattro motivi del ricorso sono di contenuto a ben guardare del tutto analogo e unitario, nonostante le differenti rubriche. Seguendo queste ultime, formalmente il primo motivo denuncia errata qualificazione dei lavori da eseguire, nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 1575,1576,1577,1581 e 1584 c.c. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b), ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della normativa edilizia nonchè erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 bis, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1175 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il quarto motivo lamenta omesso esame di fatti discussi e decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In realtà, come già si è accennato, tutte queste censure sono orientate nello stesso senso, e prospettano una serie di alternatività fattuali rispetto all’accertamento operato – per di più esternandolo con una motivazione davvero accurata sulla situazione concreta, sia quanto al contratto sia quanto al locale in sè – dalla corte territoriale. Il ricorso persegue quindi, incorrendo in una evidente inammissibilità, un terzo grado di merito tramite una revisione da parte del giudice di legittimità dell’accertamento al riguardo svolto dal giudice d’appello.

Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile, non essendovi luogo a pronunciare sulle spese per non essersi difesi gli intimati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e non luogo a provvedere sulle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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