Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27348 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25921-2016 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO, 13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI I2, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ape legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 628/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 14/04/2016, R.G.n. 6483/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA.

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’appello di Perugia, con decreto 628/16 dep. il 14.4.2016 ha dichiarato l’estinzione del procedimento di equa riparazione instaurato da T.G. in relazione alla irragionevole durata di un giudizio di opposizione all’esecuzione.

Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale ha rilevato che il procedimento, interrotto per un evento riguardante il difensore, ma portato a conoscenza legale della parte in data 24.10.2013, era stato riassunto il 17.9.2014, quindi oltre il termine perentorio di tre mesi prescritto dall’art. 305 c.p.c..

2 Per la cassazione del decreto la T. ha proposto ricorso sulla base di due motivi illustrati da memoria; il Ministero della giustizia resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 89 del 2001, nonchè dell’art. 305 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c. rimproverando alla Corte territoriale di avere errato nel ritenere tardiva la riassunzione del procedimento dopo l’evento interruttivo riguardante il proprio difensore. Dopo avere trascritto la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati applicativa della sanzione della sospensione a tempo indeterminato dell’avv. S. (delibera contenente anche la trascrizione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare), la ricorrente richiama la regola della conoscenza legale dell’evento interruttivo e osserva che la documentazione richiamata dalla Corte d’Appello valeva ad assicurare la conoscenza dell’evento interruttivo al solo avvocato S., ma non anche a lei; di conseguenza, essendo stato interrotto il processo in data 21.5.2014, la riassunzione del 17.9.2014 doveva ritenersi tempestiva.

1.2 Col secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. nonchè omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360, n. 5 per avere la Corte d’Appello ritenuto non contestata la conoscenza, da parte dell’avv. T., della comunicazione di sospensione dell’avv. S. in ragione del fatto che detta comunicazione sarebbe pervenuta nello stesso studio. Afferma al contrario di avere contestato non solo l’eccezione di estinzione, ma anche l’eccezione di avvenuta conoscenza legale della suddetta sospensione, come si evince dal verbale del 18.1.2016.

2 Le due censure (connesse per il comune riferimento al terna della conoscenza dell’evento interruttivo riguardante il difensore) vanno esaminate congiuntamente e disattese per infondatezza.

Come già rilevato da questa Corte in una fattispecie assolutamente analoga alla presente, addirittura speculare (v. Sez. 2, Ordinanza n. 238759/2017 dep. il 30.11.2017 emessa sul ricorso n. 25919/2016 proposto da S.N. contro il Ministero della Giustizia per conseguire l’equa riparazione in relazione al medesimo giudizio presupposto), il giudice di merito ha accertato le seguenti circostanze di fatto:

– T.G. e S.N. sono entrambi avvocati e coniugi;

– l’una e l’altro fanno parte dello stesso studio;

– i due avvocati sono stati fatti segno, in dipendenza del coinvolgimento nello stesso procedimento penale, di analogo provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione a tempo indeterminato da parte del competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.

Dal ricorso risulta poi che l’avvocato S.N. e l’avvocato T.G. sono stati coinvolti in veste di indagati nel medesimo procedimento penale per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati nell’ambito del quale è stata adottata e nei confronti dell’uno e nei confronti dell’altra la misura della custodia cautelare in carcere (v. ordinanza di applicazione di misura cautelare trascritta nel ricorso unitamente al provvedimento disciplinare).

Ciò premesso, l’art. 305 cod. proc. civ. – a seguito delle sentenze n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, n. 159 del 1971 e n. 36del 1976 della Corte costituzionale – deve essere interpretato nel senso che il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo, interrotto per morte o impedimento del procuratore, decorre non dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui lo stesso evento sia venuto a conoscenza della parte, interessata alla riassunzione, in forma legale, risultante cioè da dichiarazione, notificazione o certificazione, non essendo sufficiente la conoscenza “aliunde” acquisita (cfr. Cass. sez. lav. 29.12.1999, n. 14691; Cass. 25.2.2015, n. 3782 e, da ultimo Sez. 2, Ordinanza n. 28759 del 2017 cit.).

Ebbene, nel caso in esame, è innegabile che, allorquando la odierna ricorrente ha ricevuto notificazione del provvedimento ad essa indirizzato di “sua” sospensione cautelare dall’esercizio della professione a tempo indeterminato, ha inevitabilmente preso atto che il “suo” provvedimento le prefigurava – le “dichiarava” – al contempo – in ragione delle premesse (“visto l’esposto disciplinare (…) a carico degli avvocati S.N. e T.G. (…) attualmente entrambi sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere (…)”), della riproduzione nel corpo del provvedimento dell'”ordinanza di applicazione di misura cautelare” e delle imputazioni elevate e nei suoi confronti e nei confronti del coniuge nonchè delle “osservazioni” inserite nel testo, ove è riferimento all’istanza di ricusazione congiuntamente formulata da essa ricorrente e dal marito l’analoga sospensione assunta, per i medesimi illeciti penali, nei confronti del coindagato, collega di studio e coniuge.

La notificazione del “suo” provvedimento di sospensione è valsa in guisa di “dichiara ione” e dunque in forma legale a rendere la T. pienamente edotta dell’analogo provvedimento di “sospensione” assunto dallo stesso Consiglio dell’Ordine nei confronti del coniuge, suo difensore nel procedimento ex lege n. 89/2001 introdotto in data 17.11.2011 innanzi alla corte d’appello di Perugia.

Non si è quindi al cospetto di una conoscenza acquista aliunde ovvero induttivamente, bensì di una conoscenza radicatasi direttamente ed immediatamente in occasione della notificazione al ricorrente del “suo” provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione (così Sez. 2, Ordinanza n. 28759 del 2017 cit.).

Alla luce degli enunciati rilievi va perciò condivisa la conclusione cui è pervenuta la corte di Perugia, ossia che il giudizio ex lege “Pinto” è stato riassunto tardivamente in data 17.9.2014 e cioè oltre i tre mesi decorrenti dalla data di conoscenza legale dell’evento interruttivo (comunicazione del provvedimento del Consiglio dell’Ordine del 2013).

Il rigetto del ricorso comporta addebito di spese alla parte soccombente, ma non l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e S.U. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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