Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27376 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11334-2013 proposto da:

K.O. C.F. *****, S.M. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato ANNA BEVILACQUA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO BRIGHINA, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

WHIRPOOL EUROPE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIACINTO FAVALLI, GIORGIO COSCIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO, senza numero di R.G. proposto da:

WHIRPOOL EUROPE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIACINTO FAVALLI, GIORGIO COSCIA, giusta delega in atti;

– ricorrente successivo –

contro

C.M., SE.MO., A.G. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio dell’Avvocato ROSSANA MARTIGNONI, rappresentati e difesi dall’Avvocato ANTONIO BRIGHINA, giusta delega in atti;

– controricorrenti al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 1140/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/10/2012 R.G.N. 1308/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato BRIGHINA ANTONIO;

udito l’Avvocato CHIODETTI GUIDO per delega verbale Avvocato ZUCCHINALI PAOLO.

FATTI DI CAUSA

1) Con sentenza del 2009 il Tribunale di Varese accertava la nullità del termine di due contratti stipulati dalla società Whirpool con C.M. e respingeva le domande degli altri lavoratori, S.M., Se.Mo., A.G. e K.O., sempre dirette a far accertare la nullità del termine apposto ai contratti stipulati con Whirpool, accogliendo l’eccezione della società di risoluzione dei contratti per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c..

2) La corte d’appello di Milano, relativamente alla posizione della C., ha parzialmente accolto l’appello di Whirpool, ritenendo la legittimità del primo contratto a termine ed ha invece respinto tale appello accertando la nullità del secondo contratto, per non avere la datrice di lavoro fornito la prova dell’effettivo aumento della produzione in ragione di”nuovi modelli” mai specificati, se non in maniera generica ed esemplificativa, senza allegazione relativa alla dimostrazione che l’assunzione fosse riferibile all’incremento di precisi prodotti ed ha dichiarato pertanto la sussistenza del rapporto a tempo indeterminato dal secondo contratto a far tempo dal 12.1.2004, condannando la società al solo pagamento dell’indennità pari ad otto mensilità – con applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 dichiarando cessata la materia del contendere in ordine al ripristino del rapporto.

3) Quanto agli appellanti A. e Se. la corte milanese ha respinto l’appello incidentale della Whirpool relativamente al mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità delle domande per intervenuta rinuncia all’azione contenuta, secondo la società negli “atti di quietanza” da loro sottoscritti e ha ritenuto tali dichiarazioni mere dichiarazioni di scienza. La corte distrettuale ha invece accolto l’appello principale dei lavoratori, accertando I’ invalidità della clausola del termine apposta ai contratti stipulati dai lavoratori, ritenendo che le assunzioni non fossero giustificate da reali esigenze temporanee, essendo anche emerso dalle testimonianze che vi era stato un calo nella produzione, in contrasto con quanto indicato nella causale dell’assunzione, dove si indicava la necessità di incrementare la produzione.

4) La Corte di merito ha invece respinto l’appello dei lavoratori S. e K., confermando il giudizio del primo giudice circa la sussistenza di una risoluzione per mutuo consenso, ritenendo che, a fronte di un contratto a termine di breve durata – di tre mesi per il S. e di quattro mesi per k.) i lavoratori avevano atteso quattro anni per formulare la domanda di convocazione alla DPL dopo la cessazione del rapporto, oltre ad aver svolto attività lavorativa per altri datori di lavoro.

5) Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società Whirlpool nei confronti di C., Sa. e A. affidato a tre motivi, a cui hanno opposto difese i lavoratori con controricorso.

6) Avverso la sentenza hanno proposto ricorso anche K.O. e S.M., affidato a due motivi, cui ha opposto difese con controricorso la società Whirpool. I ricorsi sono stati riuniti. Sono state depositate difese ex art. 378 c.p.c. dai ricorrenti e dai contro ricorrenti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorso della srl Whirpool Europe srl.

1) con il primo motivo di ricorso la società deduce la violazione e falsa applicazione art. 1372 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la corte milanese ritenuto che l’inerzia nei confronti della datrice di lavoro prolungatasi per anni (tre per C. e due per Sa. e A.) dovesse assumere un significato evidente di una tacita rinuncia, proprio in ragione del disinteresse mostrato per facta concludentia dai lavoratori, i quali nonostante la precarietà o l’assenza di lavoro, non hanno ritenuto di chiedere alla società un immediato ripristino del rapporto.

Il motivo non merita accoglimento. Premesso che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per nullità del termine apposto al contratto grava sul datore di lavoro che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso del rapporto l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr Cass.2279/2010), deve rilevarsi che, come statuito da questa corte (cfr Cass. n. 1841/2016, Cass. n. 2732/16) l’accertamento di una concorde volontà delle parti diretta a sciogliere un contratto costituisce un giudizio che attiene al merito della causa, demandato ad un accertamento in fatto (cfr Cass. SU n. 21691/2016). Ciò comporta che, ove nel giudizio di merito sia stato valutato il comportamento delle parti e non sia stata ritenuta rilevante la durata di un comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine perchè assenti ulteriori elementi convergenti, tale motivazione è sindacabile in sede di legittimità solo in base alle regole dettate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la formulazione vigente ratione temporis.

Tale orientamento ha espresso di recente la cassazione con la sentenza n. 29781/2017 che, sulla scia delle decisioni prima ricordate, a cui questo collegio ritiene di dare continuità, ha rilevato come non è conferito al giudice di legittimità di riesaminare gli aspetti in fatto della vicenda processuale, solo potendosi valutare la coerenza logico-formale e la correttezza giuridica della decisione assunta dal giudice di merito, “senza che sia consentito al giudice di legittimità sostituire una diversa massima di esperienza diversa da quella utilizzata, quando questa non sia neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita”.

Nel caso in esame la corte di merito ha valutato che l’elemento temporale, ossia il tempo intercorso tra la fine della prestazione lavorativa e la data di messa in mora della società Whirpool srl non poteva ritenersi da solo significativo, apprezzabile come circostanza utile per la configurazione di una volontà dismissiva del rapporto e che l’aver svolto in tale periodo temporale qualche lavoro precario, non poteva comunque significare il disinteresse per la prosecuzione del rapporto. La motivazione della corte territoriale sul punto non può ritenersi priva di logicità e dunque non è sindacabile in questa sede, dove “l’oggetto del sindacato non è il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso” (così Cass. n. 29781/2017 cit.).

2) con il secondo motivo di ricorso la società deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte di merito valutato correttamente, con riferimento alla posizione della lavoratrice C., le circostanze dedotte nella memoria di costituzione di primo grado, da cui di ricavava che presso lo stabilimento *****, dove si producevano forni e piani di cottura – circostanza non contestata – si era avviata nel 2004 la produzione di un nuovo modello “gamma svizzera”, con l’obiettivo di aumentare l’indice di penetrazione di vendita dei nuovi prodotti e che i testi escussi in primo grado avevano confermato tale crescita di produzione, con messa in produzione di nuovi modelli.

La censura viene fatta impropriamente ricadere nel motivo di violazione di legge che postula il principio di un’errata sussunzione della fattispecie concreta che si esamina in quella in astratto prevista da una norma e comunque un’erronea applicazione di una norma giuridica al fatto esattamente ricostruito; nel caso in esame invece la ricorrente lamenta un errore di valutazione delle prove offerte da Wirpool da parte della corte di merito, dunque un’ erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa,per avere la corte milanese ritenuto non idonei i dati cartacei forniti dalla società, precisando che gli stessi non erano tali da fornire alcuna dimostrazione di un incremento della produzione proprio con riferimento ai “nuovi modelli” di cui alla causale del contratto a termine, così escludendo la corte che fosse stata dimostrata la correlazione causale tra l’assunzione della lavoratrice e la produzione di tali nuovo modelli. Ma una simile censura è inammissibile in sede di legittimità.

3) Con il terzo motivo e con riferimento alle posizioni dei lavoratori A. e Se., la società deduce la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 da parte della corte territoriale, perchè la causale dei loro contratti era rispettosa degli elementi richiesti dal citato articolo quanto alle esigenze tecniche, produttive ed organizzative mentre, diversamente da quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, il requisito della temporaneità non va necessariamente desunto dalla causale, ma deve intendersi tutt’ al più come aspetto sostanziale, accertabile e valutabile sulla base delle prove assunte.

Anche tale motivo non merita accoglimento. Premesso che questa corte ha ben chiarito che il datore di lavoro deve indicare le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare, e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (cfr Cass. n. 10033/2010), nel caso in esame la censura non coglie nel segno, perchè la corte milanese ha ritenuto l’illegittimità del termine in particolare accertando l’insussistenza della ragione giustificatrice addotta, in quanto dalle prove testimoniali raccolte in primo grado era emerso che dopo una punta estremamente favorevole nel periodo 2003/2004, vi era stato un progressivo calo della produzione, che ancora durava.

4) con il quarto motivo la Whirpool srl deduce la violazione della L. n. 183 del 2010, art.32, comma 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla determinazione dell’indennità risarcitoria in favore della C., liquidata in otto mensilità di retribuzione, per avere la corte territoriale valutato la complessiva durata di entrambi i contratti, anche di quello dichiarato legittimo, che proprio in quanto tale non poteva essere utilizzato per sanzionale una successiva e distinta condotta ritenuta illegittima.

Il motivo è infondato. La determinazione dell’indennità risarcitoria tra un minimo ed un massimo sulla base di elementi di fatto è operazione rimessa al giudice di merito, come statuito da questa corte (cfr per tutte Cass. n. 13380/2006); pertanto anche in relazione alla misura dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, la determinazione, operata dal giudice di merito – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 è censurabile solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria (cfr Cass. n. 1320/2014).

Conseguentemente non risulta viziata la sentenza impugnata che, in carenza di deduzioni difensive specifiche che ne giustificassero una liquidazione superiore o inferiore, ha determinato l’indennità in misura di otto mensilità. Nel caso in esame peraltro non ha errato la corte nel far riferimento all’intera durata del periodo di prestazione lavorativa globalmente resa dalla lavoratrice presso l’azienda e quindi anche prendendo in esame il precedente contratto a temine ritenuto legittimo; uniformata al principio desumibile dal criterio dell'”anzianità di servizio” previsto dalla L. n. 604 del 1966, citato art. 8.

Ricorso di K.O. e S.M..

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per carenza di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte contraddittoriamente ritenuto non sussistente la volontà risolutiva con riferimento alle posizioni del lavoratori Se. e A., che avevano atteso due anni prima di mettere in mora la società ed avevano effettuato dei lavori precari nel frattempo e invece aveva poi ritenuto che sussistesse tale volontà risolutiva per quanto attinente alle posizioni dei lavoratori K. e S., che avevano agito dopo quattro anni dalla cessazione del loro contratto a termine ed avevano lavorato costantemente in tale periodo. Secondo i ricorrenti la sentenza, senza in alcun modo esplicitare le ragioni in virtù delle quali gli elementi evidenziati dovevano ritenersi fatti concludenti, non avrebbe esplicitato perchè ed in che senso sarebbero manifestazione di un consenso incompatibile con la volontà di proseguire il rapporto di lavoro ed evidenzierebbero il disinteresse per la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1422 e 1362 c.c., art. 1227 c.c. e art. 4 Cost., ancora D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che i fatti evidenziati comprovavano la comune volontà di porre fine al rapporto, tenendo in considerazione non il comportamento complessivo di entrambe le parti ma solo del lavoratore, senza inoltre considerare che l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione, nessuna norma attribuendo rilevanza al fattore tempo, prima della riforma di cui alla L. n. 183 del 2010; non avrebbe poi considerato la corte che era onere dei lavoratori attivarsi per reperire altra occupazione, potendo gli stessi trarre sostentamento solo dall’attività lavorativa; non avrebbe potuto infine la corte trarre il suo convincimento sull’accordo risolutorio solo dalla durata dei contratti di lavoro a tempo determinato impugnati.

Il primo motivo è inammissibile perchè si denuncia un’omessa motivazione richiamando l’art. 132 c.p.c. in termini di nullità della sentenza. Premesso che sussiste il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione allorchè essa sia del tutto priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione, nel caso in esame la corte ha fornito una motivazione effettiva e non apparente, così che la censura si sostanzia in realtà in una mera critica di tale motivazione, lamentandone in concreto insufficienza e contraddittorietà, non condividendo i ricorrenti la valutazione effettuata dalla corte degli elementi di fatto presi in esame, quali il tempo trascorso, l’inerzia dei ricorrenti e l’attività lavorativa, costantemente svolta dopo la cessazione della prestazione presso la Whirpool alla scadenza del termine apposto al contratti di lavoro.

Anche il secondo motivo, che si articola in varie censure anche prive di specificità con il richiamo di norme di legge non strettamente legate alla concreta fattispecie esaminata, contiene analoghi profili di inammissibilità perchè le censure apparentemente sembrano lamentare una violazione di legge, ma in realtà finiscono per esaminare il merito della questione con l’analisi degli elementi in fatto che per la corte sono idonei a dimostrare l’intervenuta risoluzione per concorde volontà delle parti, mentre non sono tali per i ricorrenti.

Sotto questo profilo il motivo non merita comunque accoglimento per ragioni che sono speculari a quelle già esposte in precedenza con riferimento al contratto a termine dei ricorrenti C., Sa. e A. e pertanto ci si riporta a quanto già osservato, solo precisandosi che nel caso in esame, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la corte ha coerentemente motivato in ordine alla rilevanza dell’elemento relativo allo svolgimento di altra attività lavorativa in maniera continuativa, e dunque non precaria, presso altro datore di lavoro nei quattro anni precedenti alla messa in mora della società Whirpool.

I ricorsi avverso la sentenza impugnata presentati dalla società Whirpool srl e dai lavoratori K. e S. devono pertanto essere respinti ed i ricorrenti soccombenti vanno condannati alla rifusione delle spese di lite, precisandosi che le spese liquidate pro quota in favore del contro ricorrente vittorioso A., ammesso al gratuito patrocinio, vanno liquidate ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133 nella misura precisata in dispositivo, a favore dello Stato.

Che inoltre, tenuto conto del gratuito patrocinio a cui è stato ammesso, per il ricorrente soccombente K. va escluso il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (cfr. Cass. n.7368/2017).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di Whirpool Europe srl e la condanna al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 7000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con liquidazione pro quota, in ragione di un terzo in favore dello Stato per la parte ammessa al gratuito patrocinio.

Rigetta il ricorso di K.O. e S.M. e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti S.M. e Whirpool srl dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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