Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27412 del 29/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26406/’14) proposto da:

R.S., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Silvana Cristoforo ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Luca Petrucci, in Roma, v. Premuda, n. 6;

– ricorrente –

contro

RE.GI., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Raffaella Ranaldi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Raffaele Del Gaudio, in Roma, v. P. Belon, n. 135;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2956/2014, depositata il 7 maggio 2014 (e non notificata).

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato il 21 novembre 2011 il sig. R.S. proponeva appello nei confronti delle due sentenze emesse, rispettivamente, il 27 settembre 2007 (quella non definitiva) e il 18 aprile 2011 (quella definitiva) del Tribunale di Cassino con le quali era stata definita la causa instauratasi tra lo stesso attore R.S. e il convenuto Re.Gi., con cui il primo aveva chiesto la riduzione per lesione di legittima e la nullità del testamento del 15 gennaio 1998 con il quale il di lui genitore R.G. – nonchè zio del convenuto – aveva lasciato a quest’ultimo (quale nipote) una parte dei suoi beni.

In particolare, il Tribunale di primo grado, nella costituzione del convenuto che aveva resistito, con la sentenza non definitiva, aveva dichiarato la nullità dell’impugnato testamento nella parte in cui il testatore aveva lasciato a favore di R.S. tutti i diritti sui terreni siti in ***** (siccome non erano risultati appartenere al “de cuius”), ritenendo, altresì, inammissibile la domanda di riduzione avanzata dall’attore. Con la sentenza definitiva, poi, lo stesso Tribunale aveva rigettato tutte le richieste dell’attore, con sua conseguente condanna alla rifusione delle spese di causa e di quelle occorse per la c.t.u.. Decidendo sull’appello proposto dal R.S., la Corte di appello di Roma, nella costituzione dell’appellato, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte capitolina riteneva, in particolare, infondate la censura circa l’asserita causa di nullità del testamento ai sensi dell’art. 624 c.c. (non sussistendone i presupposti), con la conseguente legittimità del lascito testamentario a favore del Re.Gi. con riferimento ad un bene (terreno con sovrastante fabbricato) di cui era titolare per intero, e la doglianza relativa alla pretesa annullabilità dello stesso per assunta incapacità di testare del “de cuius” (non potendo conferirsi un rilievo decisivo ai risultati della perizia medico-legale fatta svolgere nel procedimento di interdizione nei riguardi del R.G.).

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, il R.S., al quale ha resistito con controricorso l’intimato Re.Gi., la cui difesa ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione o falsa applicazione dell’art. 934 c.c., per assunta erroneità dell’applicazione dell’istituto dell’accessione ad un fatto da esso non regolato, incontrando limiti di legge riscontrabili nelle disposizioni in materia di edilizia, e, in particolare, nella L. n. 47 del 1985, art. 40 sulla scorta del quale il trasferimento di un suolo, stipulato dopo il 17 marzo 1985, non avrebbe potuto comportare anche il trasferimento automatico del fabbricato totalmente abusivo sullo stesso edificato.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – il vizio di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c., avuto riguardo alla nullità del trasferimento del terreno soggetto ad uso civico disposto con rogito del 30 settembre 1999 intervenuto all’esito della procedura di legittimazione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunciato – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – un altro asserito vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla violazione dell’art. 1418 c.c., art. 1325 c.c., n. 3, e art. 1344 c.c., sempre con riferimento alla nullità del suddetto trasferimento per asserita illiceità del suo oggetto.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto – ancora in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – il vizio di asserita insufficiente motivazione circa lo stesso fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’assunta violazione degli artt. 581,1346 e 1418 c.c., affermando che il testatore non avrebbe potuto disporre di un bene (ovvero del fabbricato insistente sul richiamato terreno) in quanto esso apparteneva, nella misura della metà, anche alla moglie G.L., coniuge in regime di comunione legale, ragion per cui il trasferimento per successione testamentaria di quel bene del quale il testatore non era il solo proprietario integrava un causa di nullità dell’atto per carenza nell’oggetto del requisito della possibilità.

5. Rileva, in primo luogo, il collegio che, pur avendo il ricorrente posto riferimento all’art. 366-bis c.p.c. (ormai abrogato) ed aver individuato i relativi quesiti di diritto riferiti ai distinti motivi, questa indicazione non comporta, di per sè, l’inammissibilità delle doglianze.

Tuttavia, le censure sono inammissibili nella parte in cui si rivolgono a vizi di motivazione strutturati secondo la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non più applicabile nel caso di specie (poichè la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente all’11 settembre 2012, ovvero il 7 maggio 2014).

Infatti, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. 23940/2017), prospettazione non ritualmente operata nel caso di specie.

6. Le censure ricondotte a violazioni di legge sono tra loro all’evidenza collegate e afferiscono a questioni interconnesse sotto plurimi profili, ovvero all’asserita applicabilità, nel caso in esame, della disciplina dell’accessione, alla ravvisata nullità del trasferimento per ritenuta violazione della norma imperativa della L. n. 1766 del 1927, art. 9 oltre che per la mancata menzione del fabbricato nello stesso atto di alienazione del 30 settembre 1999 e, infine, all’affermata nullità del testamento siccome mediante lo stesso era stato disposto con riferimento ad un oggetto impossibile (ovvero di un bene quello lasciato in eredità al nipote Re.Gi. – del quale il testatore non era proprietario).

Occorre, però, notare che le questioni di fatto – e degli inerenti temi di diritto sulle quali sono state fondate le censure in questa sede di legittimità sono nuove rispetto alle doglianze specificamente dedotte con i motivi di appello come riportati nell’impugnata sentenza.

Lo stesso ricorrente – nel ripercorrere lo svolgimento del processo – attesa come egli stesso avesse censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del testamento in discorso con il quale era stato attribuito, in favore del Re.Gi., il fabbricato sovrastante il terreno (distinto in NCEU del Comune di ***** alla part. *****) siccome di proprietà dei suoi genitori che si trovavano in regime di comunione legale nella misura del 50% ciascuno, onde l’immobile avrebbe dovuto considerarsi di proprietà di esso appellante in ragione del legame parentale e dei diritti che la normativa codicistica assegna ai figli legittimi.

Solo questa (ed in tali termini) era – per stessa ammissione del ricorrente – la portata della doglianza essenziale che era stata formulata con l’atto di appello (a cui si era accompagnata l’altra censura sulla supposta annullabilità del testamento per asserita incapacità a testare del “de cuius”, la cui decisione sul punto adottata della Corte capitolina non risulta, tuttavia, attinta da alcun motivo del ricorso in cassazione).

E in tale circoscritta dimensione questo motivo risulta riportato anche nell’impugnata sentenza di secondo grado, laddove si pone riferimento alla sola assunta causa di nullità del testamento circa il lascito in favore del nipote del “de cuius” (a cui la moglie, in regime di comunione legale dei beni, era oltretutto premorta) in relazione all’assunta violazione dell’art. 624 c.c., che la Corte di secondo grado ha legittimamente escluso. A tal proposito essa ha, invero, fatto propriamente opportuno richiamo al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 7060/2004; Cass. n. 20508/2010 e Cass. n. 16670/2013, ord.), ad avviso del quale il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c., in base al quale il proprietario del suolo acquista “ipso iure” al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177 c.p.c., comma 1, hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, ai sensi dell’art. 2033 c.c., il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese.

Sulla base di questa premessa deve evidenziarsi che non risulta da alcun passaggio motivazionale della sentenza di appello nè da alcuno specifico richiamo dell’iter processuale che il ricorrente avrebbe dovuto riportare puntualmente nel corpo del ricorso stesso che fosse stata posta nel giudizio di appello la questione fattuale sull’asserita abusività del fabbricato sovrastante il terreno di cui all’atto di trasferimento del 30 settembre 1999 (nel quale non era stato menzionato tale fabbricato), con la derivante nullità di quest’ultimo, che, per la prima volta, risulta dedotta nella presente sede di legittimità con il primo ed il terzo motivo di ricorso, così introducendosi temi di indagine completamente nuovi e, quindi, inammissibili.

Così anche la prospettazione – contenuta nel secondo motivo di ricorso riferita all’asserita nullità del medesimo atto di trasferimento per assunta violazione della L. n. 1766 del 1927, art. 9 in ordine al regime dei terreni soggetti ad uso civico a seguito di legittimazione non risulta che fosse stata formulata con l’atto di appello (senza, perciò, nemmeno costituire oggetto di riproposizione della precisazione della domanda che esso attore aveva compiuto nella memoria depositata in primo grado in data 21 settembre 2005, come si evince dal ricorso stesso).

Il quarto ed ultimo motivo – così come precedentemente riportato – è da dichiararsi inammissibile perchè pone riguardo ad un asserito vizio di insufficiente motivazione non più deducibile ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, in ogni caso, il supposto “deficit” logico è insussistente per aver adeguatamente risposto la Corte capitolina sulla validità del testamento del R.G. per quanto da essa esplicitato con riguardo al rigetto del primo motivo di appello (la cui risposta ha costituito propriamente oggetto dell’esame della prima censura prospettata in questa sede di legittimità, con il conseguente assorbimento – ancorchè in senso improprio della valutazione del quarto motivo qui formulato relativo all’asserita nullità del testamento per impossibilità dell’oggetto, invece non configuratasi sulla scorta della sua corretta dichiarata validità).

7. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del’ presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472