LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 5672/’14) proposto da:
S.A.S. D.C.S. ARREDAMENTI & C., in persona del legale rappresentante pro tempore D.C.S. (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Maurizio Sante Masellis e domiciliata
“ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione, in Roma, piazza Cavour;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO “*****”, (C.F.: *****), in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù
di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Stefano Pio Foglia ed elettivamente domiciliato presso il dr.
Alfredo Placidi, in Roma, v. Cosseria, n. 2;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1304/2012, depositata il 12 dicembre 2012 (e non notificata).
RILEVATO IN FATTO
Con atto di citazione notificato nel 2001 la s.a.s. D.C. Arredamenti & c. impugnava – dinanzi al Tribunale di Foggia (sez. dist. di Manfredonia) – la delibera condominiale adottata dall’assemblea del Condominio “*****” di ***** del 15 settembre 2001, con la quale contestava la sua legittimità nella parte in cui, nell’affidamento di taluni lavori condominiali all’impresa edile Tagliafilo, aveva ripartito le relative spese considerandosi come parti condominiali anche i balconi e quanto occorrente per il montaggio del ponteggio per il rifacimento dell’intera facciata e per il pozzo luce, esclusa la pavimentazione.
Nella costituzione del convenuto Condominio, il Tribunale adito, con sentenza n. 186/2007, accoglieva l’impugnazione fondando la decisione sulla essenziale ragione in base alla quale l’art. 9 del regolamento di condominio indicava i balconi, ad ogni effetto (compreso quello estetico), quale porzione dell’edificio di proprietà esclusiva.
Decidendo sull’appello formulato dal soccombente Condominio e nella resistenza dell’appellata, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1304/2012, previo rigetto dell’eccezione di improcedibilità del gravame, accoglieva l’appello e, di conseguenza, in riforma della statuizione di primo grado, rigettava l’impugnativa della delibera di assemblea condominiale che aveva determinato l’instaurazione della controversia.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte barese – ravvisata l’inconferenza del riferimento, considerato risolutivo dal primo giudice, all’art. 9, del regolamento condominiale, siccome dallo stesso non era possibile evincere che anche i frontalini dei balconi rientrassero nella proprietà esclusiva dei singoli condomini – rilevava la fondatezza del proposto gravame sul presupposto della ricomprensione dei suddetti frontalini, per pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, nell’ambito delle parti comuni, siccome componenti del “decoro architettonico” dell’edificio condominiale.
Avverso la sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, la società appellata, al quale ha resistito con controricorso l’intimato Condominio, che ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso siccome non notificato presso il domicilio eletto nel giudizio di secondo grado bensì direttamente nelle mani dell’amministratore del Condominio medesimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, avuto riguardo alla supposta novità dell’eccezione relativa alla mancata prova di titolo contrario secondo il disposto normativo di cui all’art. 1117 c.c..
2. Con la seconda censura la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., e degli artt. 3 e 9, del regolamento condominiale, con riferimento alla valutazione compiuta dalla Corte di appello secondo la quale il citato art. 9, del regolamento non conteneva una regola che faceva eccezione all’art. 1117 c.c., in tema di balconi, limitandosi ad imporre ai proprietari di porzioni esclusive gli stessi limiti stabiliti dall’art. 1120 c.c., comma 3.
3. Con il terzo mezzo di ricorso la società ricorrente ha prospettato un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla mancata considerazione – nella sentenza impugnata – delle questioni relative al pozzo luce ai lavori di manutenzione che lo avevano interessato.
4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., circa l’asserita illegittimità della sua condanna alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
5. Osserva il collegio, in primo luogo, che la pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso – formulata dal Condominio controricorrente – per invalidità della sua notificazione non può avere alcun seguito poichè il ricorso ha comunque raggiunto il suo scopo (con conseguente sanatoria del relativo vizio), essendosi l’intimato ritualmente costituito nella fase di legittimità rispondendo su tutti i motivi dedotti dalla ricorrente e, quindi, spiegando pienamente le sue difese.
6. Ciò premesso, rileva il collegio che il primo motivo è manifestamente infondato.
Infatti, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, la deduzione operata dal Condominio in sede di appello circa la mancata prova di titolo contrario secondo il disposto normativo di cui all’art. 1117 c.c., non configurava un’eccezione in senso proprio ma – come correttamente ritenuto dalla Corte di appello – si è sostanziata in una mera difesa sull’idoneità probatoria del titolo contrario offerto nel giudizio di primo grado dal condomino appellato.
A tal proposito basti considerare che – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 2641/2013) – nel giudizio di appello può qualificarsi come eccezione nuova solo quella che non abbia alcuna connessione logica con quanto dedotto in primo grado, così da costituire una ragione di indagine diversa da quella ivi espletata, senza che questo possa trovare giustificazione nello svolgimento precedente del processo; nè può essere considerata nuova la questione di diritto prospettata a corredo della già avvenuta deduzione di un fatto impeditivo od estintivo della pretesa azionata con la domanda avversaria. In altri termini, in tema di impugnazioni, costituiscono eccezioni nuove, inammissibili ex art. 345 c.p.c., solo quelle che implicano la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, la deduzione di nuovi fatti, l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di decisione, l’alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della controversia, in modo da dar luogo ad una allegazione difensiva diversa da quella sviluppata ed esplorata in primo grado.
Alla stregua di tali principi appare evidente che la deduzione dell’appellante sull’idoneità probatoria del titolo contrario offerto nel giudizio di prime cure dalla parte appellata integrava una mera difesa, come tale pacificamente ammissibile in appello.
7. Anche la seconda censura è priva di fondamento giuridico e deve, perciò, essere respinta.
Innanzitutto, deve osservarsi che la ricorrente non ha contestato propriamente (ed infatti non risulta indicata specificamente la violazione di alcun parametro normativo di cui agli artt. 1362 – 1371 c.c.) i criteri ermeneutici posti a fondamento della decisione del giudice di appello circa la portata del contestato art. 9 del regolamento condominiale, ma ha inteso confutare – mediante la prospettazione della supposta violazione o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., messo in correlazione con gli artt. 3 e 9, del suddetto regolamento – la ritenuta riconduzione, da parte del giudice di appello, dei “frontalini esterni” dei balconi alla proprietà condominiale, da cui è derivata l’affermazione della legittimità dell’impugnata delibera condominiale.
Osserva il collegio che la Corte barese ha, invero, correttamente escluso che la previsione della disposizione contenuta nell’art. 9 del regolamento condominiale contenesse una deroga all’operatività della disciplina di cui all’art. 1117 c.c., dal momento che essa, in effetti, obbligava ogni condomino ad eseguire sui locali di sua proprietà, compresi i balconi, le riparazioni necessarie per una loro corretta manutenzione; ma da ciò la stessa Corte territoriale ha giustamente inferito che la previsione regolamentare, nell’individuare il richiamato obbligo (preposto ad impedire soltanto l’adozione di cattive condotte manutentive sulle sole parti di proprietà esclusiva), non poteva determinare un’incidenza sulla modificazione – sotto il profilo della titolarità delle parti di proprietà condominiale, estendendo il concetto di proprietà esclusiva anche ai suddetti frontalini che, invece, dovevano continuare a ritenersi riferibili alle parti condominiali siccome attinenti al decoro architettonico dell’edifico comune.
Pertanto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 568/2000; Cass. n. 14576/2004; Cass. n. 6624/2012 e, da ultimo, Cass. n. 30071/2017), ha rilevato che i frontalini dei balconi (siccome configuranti, per l’appunto, elementi decorativi della facciata del fabbricato comune) dovessero considerarsi beni comuni, la cui riparazione, perciò, sarebbe dovuta rimanere assoggettata ai criteri generali di ripartizione condominiale.
Deve, quindi, trovare conferma in questa sede il principio secondo cui gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio – come i cementi decorativi relativi ai frontali (ed ai parapetti) – svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio inserendosi nel suo prospetto, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3, con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.
8. Il terzo motivo si profila inammissibile sia per difetto di specificità (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) non risultando riportato il contenuto del motivo di gravame sul quale il giudice di appello non si sarebbe pronunciato sia per erroneità della censura dedotta perchè avrebbe dovuto essere ricondotta ad un’eventuale violazione dell’art. 112 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) e non formulata con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, (deducendosi un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti). A quest’ultimo proposito va risottolineato (come già statuito dalle S.U. con la sentenza n. 17931/2013) che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, pur non essendo indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., è, tuttavia, necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè – pur deducendosi, sul piano sostanziale, un vizio di omessa pronuncia – sostenga che ricorra un vizio di omesso esame riconducibile al motivo enucleato nel citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (v., da ultimo, Cass. n. 10862/2018, ord.).
9. Il quarto ed ultimo motivo è, ovviamente, infondato per consequenzialità logica dal rigetto dei precedenti motivi e per effetto della legittimità della sentenza di appello che aveva regolato le spese del doppio grado di giudizio riformando la decisione di prime cure – applicando il criterio della globale e finale soccombenza della parte appellata.
10. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018
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