Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27444 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.R., M.L., M.A., S.C., M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 9, presso lo studio dell’avvocato MAZZA GIOVANNA, rappresentati e difesi dagli avvocati AMATO GIUSEPPE, FIORESTA RAFFAELE, ALLEGRINI EUGENIA giuste procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CASTELLANA IMMOBILIARE SRL, in persona del suo legale rappresentante p.t. sig. C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVAN BATTISTA MARTINI 2, presso lo studio dell’avvocato MARASCIO FRANCESCO, rappresentata e difesa dagli avvocati PULLANO FRANCESCO, POERIO DOMENICO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1490/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/11/2015 la Corte d’Appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame interposto dalla società Castellana Immobiliare s.r.l. e in conseguente totale riforma della pronunzia Trib. Catanzaro 15/12/2008, ha rigettato la domanda originariamente proposta dal sig. M.F. nei confronti della prima e di altri di riscatto delle quote societarie della società ***** s.r.l. da quest’ultimo alla prima cedute giusta scrittura privata d.d. 15/6/2001, con declaratoria di nullità dell’art. 7 della medesima “limitatamente all’inciso ove si prevede un importo per la restituzione del bene superiore a quello versato in occasione della vendita”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. A.R. ed altri, quali eredi del defunto M.F., propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso società Castellana Immobiliare s.r.l..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 1362 c.c., e s.s., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1470,2469 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1346,1418,1344 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare all'”atto di citazione del 13 giugno 2002", alla “scrittura privata del 15 giugno 2001”, alla “scrittura autenticata per atto notaio G. del 18.06.2001”, alla “scrittura… del 17 dicembre 2001", all'”art. 7 della scrittura del 15.06.2001", alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello, all'”annotamento nel libro dei soci del trasferimento delle quote, avvenuto in effetti nel dicembre 2001”, al “comportamento complessivo delle parti”, al “confronto tra il patrimonio netto quantificato al “signing” e il patrimonio netto risultante alla data del “closing””) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

I requisiti di formazione del ricorso rilevano infatti ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e le relative valutazioni operate dalla corte di merito nell’impugnata sentenza rimangono invero non idoneamente censurate dagli odierni ricorrenti.

Va per altro verso, quanto al merito, posto in rilievo che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’interpretazione del contratto (e in base al combinato disposto di cui all’art. 1324 c.c., art. 1362 c.c., e s.s., all’interpretazione degli atti unilaterali: v., da ultimo, Cass., 6/5/2015, n. 9006) è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo 6 per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296).

Diversamente da quanto prospettato dagli odierni ricorrenti in critica alla qualificazione del contratto de quo in termini di cessione di quote societarie con patto di retrovendita operato dalla corte di merito nell’impugnata sentenza, il sindacato di legittimità può avere invero ad oggetto, non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).

Deve porsi altresì in rilievo che, pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso (v., Cass., 10/10/2003, n. 15100; Cass., 23/12/1993, n. 12758), risponde ad orientamento consolidato che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate.

Si è al riguardo peraltro precisato che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).

Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295). Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).

A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).

Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).

Orbene, i suindicati principi risultano dalla corte di merito invero pienamente osservati nell’impugnata sentenza.

Nell’escludere che la fattispecie in argomento “possa essere ricondotta come ha inteso il primo giudice in un contratto di vendita con patto di riscatto contenente la disposizione sulla restituzione del prezzo emessa in violazione del disposto di cui all’art. 1500 c.c., comma 2”, e nel qualificarla quale “vendita di una partecipazione societaria in società fallita” con “l’opzione di riacquisto della stessa partecipazione societaria in una società in bonis”, ha sottolineato che una differenza di prezzo è “intuitivamente” giustificata “dalla differenza del valore della quota essendo nel caso dell’acquisto da parte di Castellana Immobiliare un acquisto del 51% di una società fallita, mentre nell’ipotesi di riacquisto da parte di M.F. nel biennio tra il 30 giugno 2004 al 30 giugno 2006 (e quindi dai tre ai cinque anni dal ritorno in bonis della società stessa) di un riacquisto del 51% della società in bonis con l’aggiunta del premio di maggioranza poichè detto 51% di nuovo acquisto andava ad aggiungersi per il M. al 46,75% che già possedeva e portava nel contempo all’esclusione completa di Castellana Immobiliare s.r.l. dalla compagine sociale”.

Ha quindi affermato che l'”acquisto da parte di Castellana Immobiliare s.r.l. della quota del 51% della società fallita ***** s.r.l. va… inquadrato… nel contratto aleatorio dove l’alea è insita nella variazione del valore della partecipazione che può colpire tanto l’una che l’altra parte”, escludendo “qualsivoglia supposizione di approfittamento dello stato di bisogno di M.F. che al momento della dichiarazione di fallimento della ***** s.r.l. ne deteneva la quota del 97,75% e la amministrava quale amministratore unico”, e sottolineando come le “parti stipulanti la scrittura del 15 giugno 2001 avevano… lo scopo dichiarato di rendere attiva sul mercato la ***** s.r.l. tornata in bonis e di produrre utili per trarne partecipazione”; avevano pertanto “interesse a mettere a profitto la società nel loro esclusivo interesse”, e “il M. si era riservato l’opzione di riacquisto nel termine di tre o cinque anni dopo la redazione della scrittura tornando così ad essere in buona sostanza il socio unico con la quota del 97,75%”.

E’ pervenuta quindi a concludere che con “il negozio di riacquisto della partecipazione sociale le parti/soci si erano… reciprocamente garantite dall’alea contrattuale avendo liberamente e ragionevolmente previsto un prezzo minimo di vendita per Castellana Immobiliare s.r.l. ed un tetto massimo di riacquisto per il M., negozio da perfezionarsi con l’offerta di acquisto da parte del M. e la disponibilità alla vendita di Castellana Immobiliare s.r.l. entro un prezzo non determinato ma determinabile entro un preciso minimo e massimo e da quantificarsi a seconda dell’andamento della società successivo al ritorno in bonis ed al momento dell’incontro tra dichiarazione di offerta di acquisto ed adesione alla stessa che doveva avvenire come minimo dopo tre anni dalla scrittura e come massimo dopo cinque anni dalla stessa”.

E’ d’altro canto appena il caso di sottolineare come, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass., 2/5/2006, n. 10131; Cass., 25/10/2006, n. 22899).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento,in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente società Castellana Immobiliare s.r.l..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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