Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27462 del 30/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.A. F.LLI L. SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e legale rappresentante Dott. B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato DE MAJO GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato PINTO GIAN LUCA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S., ME.SU., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato AMERICO FRANCESCO, rappresentate e difese dall’avvocato BRUNI MARICA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2394/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 15/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO.

FATTI DI CAUSA

D.V.A., M.S. e Me.Su., coniuge e figlie di Me.Si., convenivano in giudizio la F.lli L., s.r.l., esponendo che il loro congiunto, dipendente della suddetta società dal 1956 al 1979 quale meccanico, era deceduto per mesotelioma pleurico a seguito delle inalazioni di polveri, determinate dallo svolgimento delle sue mansioni, imputabili alla convenuta per violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ.. Chiedevano pertanto il risarcimento dei danni non patrimoniali “iure hereditatis” e, in relazione alla perdita del rapporto parentale, “iure proprio”.

La F.lli L. s.r.l. resisteva controdeducendo che non vi era prova del nesso causale, nè della sussistenza della colpa posto il rispetto degli standard di sicurezza esigili nel tempo, nè della concreta misura del danno, sia di quello assunto come subito dal dipendente, sia di quello richiesto a titolo ereditario, che non poteva ritenersi “in re ipsa”, a maggior ragione per le figlie in quanto non conviventi.

Il tribunale accoglieva la domanda con pronuncia impugnata sia dalla società che dalle attrici in via incidentale, da queste ultime con riferimento alla spettanza di interessi e rivalutazione sulle somme liquidate “iure proprio”.

La corte di appello rigettava l’appello principale e separava la causa sul risarcimento del danno richiesto in proprio, sospendendo quest’ultima in attesa dell’esito del ricorso per cassazione avente ad oggetto la domanda svolta a titolo ereditario.

Le attrici riassumevano la causa dopo che la Corte di cassazione aveva rigettato il ricorso della società proposto nella causa scissa e non sospesa.

La corte territoriale, all’esito, rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale, rilevando che sulla responsabilità datoriale era sceso il giudicato con la sentenza della Corte di legittimità; che doveva confermarsi la sussistenza dell'”an debeatur”, atteso che il pregiudizio per la perdita del rapporto parentale era un dato di comune esperienza; e che non vi era impugnazione sul “quantum”, mentre andava accordata la maggiorazione degli interessi sulle somme annualmente rivalutate, trattandosi di debito di valore.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la F.lli L. s.r.l. in liquidazione, formulando due motivi.

Resistono con controricorso M.S. e Me.Su. anche quali eredi di D.V.A., che hanno altresì depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., art. 112 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che la situazione giuridica soggettiva oggetto del giudicato sarebbe stata diversa da quella oggetto dell’odierno processo, posto che la prima concerneva la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, mentre la seconda aveva riguardo a una responsabilità aquiliana. Dunque, nel primo caso la colpa non sarebbe stata elemento costitutivo della fattispecie, dovendo il datore dimostrare di non aver potuto adempiere per una specifica causa a esso non imputabile. Nel secondo caso, invece, le istanti avrebbero dovuto dimostrare la colpa del convenuto, sicchè la corte di appello, nello scrutinare questa pretesa, avrebbe dovuto esaminare in questa chiave, come aveva del tutto omesso, il motivo di appello in ordine all’insussistenza della violazione delle regole di diligenza esigibili.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2697,2727,2729 cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che, non potendosi ammettere danni “in re ipsa” o a titolo punitivo, avrebbe dovuto offrirsi, previa specifica allegazione, la prova non solo dell’inadempimento ma altresì della concreta misura ed entità del pregiudizio, alla mancanza della quale non avrebbe potuto sopperire la natura equitativa della liquidazione. La corte di appello avrebbe quindi errato nel presumere il pregiudizio dallo stesso evento del decesso, e nell’affermare che tale presunzione avrebbe spostato sull’assunto autore dell’illecito l’onere della prova contraria.

2. Il primo motivo è infondato.

Nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, così come in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile e il nesso di causa tra questa e il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti distinti, e, nei primi, l’art. 1218 cod. civ., solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, che in tal modo viene presunta ma dalla quale non si prescinde (cfr., da ultimo, sia pure in altro ambito, la ricostruzione dei principi in parola richiamata da Cass., 15/02/2018, n. 3704, punto 2 della motivazione).

Dunque, anche responsabilità contrattuale datoriale ex art. 2087 cod. civ., è colposa e non oggettiva.

Ne deriva che nella causa separata avente ad oggetto il danno richiesto a titolo ereditario, sono stati accertati, tra le stesse parti, tanto il nesso di causa quanto la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano fatto riferimento al medesimo rapporto giuridico e uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il “petitum” del primo (Cass., 10/05/2018, n. 11314).

Nel caso qui in scrutinio il rapporto giuridico oggetto di giudicato è rappresentato dalla prestazione di lavoro e dalle sue conseguenze sulla salute del lavoratore. E si tratta del medesimo rapporto giuridico che viene in rilievo nel presente giudizio, sia pure quale sotteso di domande distinte.

La diversità della “causa petendi” delle differenti domande, infatti, non sposta, per un motivo prima logico che giuridico, l’unicità di quel rapporto.

E’ questo il motivo per cui questa Corte ha già affermato che nel caso di responsabilità civile per la morte del lavoratore, l’accertamento in ordine al nesso di causalità tra condotta ed evento nonchè alla colpa del datore di lavoro, contenuto nella sentenza definitiva che lo abbia condannato al risarcimento del danno sulla domanda proposta dai congiunti “iure hereditatis”, costituisce giudicato esterno nel diverso giudizio promosso dai medesimi ex art. 2043 cod. civ. per il ristoro del pregiudizio subito “iure proprio”, restando irrilevante che l’azione ex art. 2087 cod. civ., abbia natura contrattuale e sia soggetta alla presunzione di colpa della parte datrice alla quale spetta dimostrare l’assenza di rimproverabilità soggettiva, giacchè la definitiva statuizione sull’esistenza dell’elemento soggettivo ha una valenza ontologica che prescinde dalle effettive modalità del suo accertamento (Cass., 04/05/2018, n. 10578).

In altri termini, il giudicato scende sul rapporto e non sui meccanismi di riparto dell’onere della prova.

Ne consegue l’infondatezza del motivo, sia perchè sul punto vi è stata pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.) sia perchè non vi è stata infrazione all’art. 2909 cod. civ..

2.1. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

La corte non ha ritenuto la sussistenza di un danno “in re ipsa” e non ha violato alcun riparto dell’onere della prova, nè ha sopperito a tale assunta mancanza attraverso la liquidazione equitativa.

Il collegio di merito, infatti, ha rilevato che il danno da perdita del rapporto parentale, dal punto vista relazionale come della sofferenza, è un dato di comune esperienza che, per lo stesso motivo, non viene meno per l’assenza di convivenza, nel caso quella delle figlie (pagg. 4-5 della sentenza impugnata).

Parte ricorrente confonde l’allegazione e prova di circostanze eccezionali che possano incidere sul “quantum” della liquidazione, con l’accertamento presuntivo della sussistenza del pregiudizio, pacificamente oggetto di domanda, nella sua ordinaria misura.

La corte territoriale in tal senso ha osservato (pag. 4 della sentenza impugnata) che non era in discussione la misura della liquidazione ma la sussistenza del pregiudizio, da ritenersi in base a quanto appena richiamato. E solo in questa chiave ha affermato che la prova contraria, che potesse legittimare una differente misura della liquidazione, era a carico della società convenuta responsabile (pag. 5).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte il fatto illecito, costituito dalle gravissime lesioni patite dal congiunto, così come, quindi, dalla sua perdita, dà luogo a un danno non patrimoniale presunto, consistente nella conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale ovvero nella fine di quello, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, restando irrilevante, per l’operare di detta presunzione, la sussistenza di una convivenza tra gli stretti congiunti e la vittima del sinistro (Cass., 14/06/2016, n. 12146).

Dal che discende l’anticipata conclusione.

4. Spese secondo soccombenza.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti liquidate in Euro 9.200,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472