LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende per legge;
– ricorrenti –
contro
P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANCORA LUCIANO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 585/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 08/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 8/9/2014, la Corte d’appello di Lecce, in accoglimento dell’appello proposto da P.R., e in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Repubblica italiana, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, e il Ministero dell’Università e della Ricerca, in solido tra loro, al risarcimento, in favore del P., dei danni da quest’ultimo sofferti a seguito del mancato recepimento, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie 75/363/CEE e 82/76/CEE, avendo il P., dopo il conseguimento della laurea in medicina, frequentato i corsi di specializzazione in chirurgia generale (dall’anno accademico 1983/84 all’anno accademico 1987/88) e in chirurgia di urgenza e pronto soccorso (dall’anno accademico 1988/89 all’anno accademico 1991/92), senza percepire l’equa remunerazione al riguardo prevista dalla disciplina comunitaria a carico di ciascuno Stato nazionale; che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, disattesa ogni altra eccezione sollevata dalla difesa erariale, ha sottolineato il carattere incontestato dell’inadempimento dello Stato italiano, rispetto all’obbligazione dedotta in giudizio dal P., conseguentemente provvedendo alla liquidazione, in termini monetari, di quanto a quest’ultimo dovuto; che, avverso la sentenza d’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione; che P.R. resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria;
CONSIDERATO
che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, le autorità ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma) nella versione consolidata, dell’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 16 della direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente considerato, ai fini della liquidazione dell’equa remunerazione riconosciuta in favore della controparte, il secondo diploma di specializzazione conseguito dal P. in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso, nonostante il diploma rilasciato a seguito di tale ultima specializzazione non rientrasse tra quelli indicati nella direttiva 93/16/CEE riconosciuti da due o più paesi dell’Unione Europea e nelle direttive 74/362/CEE e 75/363/CEE; che il ricorso è inammissibile; che, sul punto, osserva preliminarmente il Collegio come la questione sollevata dalle amministrazioni ricorrenti con l’odierna impugnazione (con particolare riguardo al tema dell’avvenuta erronea considerazione, ai fini della liquidazione dell’equa remunerazione riconosciuta in favore del P., di un diploma di specializzazione non rientrante tra quelli indicati nella disciplina comunitaria ai fini dell’attribuzione del ridetto beneficio) non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata; che, al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975 – 01); che non avendo le ricorrenti provveduto adeguatamente alle ridette allegazioni, il ricorso deve ritenersi per ciò stesso inammissibile; che, sul punto, varrà sottolineare come la deduzione contenuta in ricorso, circa l’avvenuta contestazione della circostanza de qua nella comparsa di risposta (cfr. pag. 2 del ricorso), oltre ad essere articolata in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (non avendo le ricorrenti provveduto all’esatta localizzazione dell’atto in questo giudizio di legittimità, nemmeno allegando di voler far riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio, eventualmente comprensivo del fascicolo di primo grado: cfr. Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317 – 01), risulta inconferente anche sotto il profilo contenutistico, atteso che la breve frase riportata in ricorso non risulta espressiva di alcuna contestazione così come prospettata; che, sotto altro profilo, detta contestazione non risulta neppure ritualmente coltivata fino alla rimessione della decisione in primo grado, nè eventualmente dedotta con la comparsa di costituzione in appello; che, peraltro, varrà rilevare come la questione sollevata dalle ricorrenti – oltre a non prospettare una quaestio iuris (tale non essendo quella della valutazione di corrispondenza di un corso denominato in un certo modo nell’ordinamento interno a quello indicato negli elenchi della disciplina comunitaria, atteso che detta valutazione non poteva essere affrontata solo tramite un mero confronto di denominazione) – risulta enunciata in modo del tutto assertivo, non svolgendosi alcuna attività argomentativa tendente a dimostrare le ragioni concrete per cui il corso frequentato dal P., con la sua denominazione, non fosse corrispondente ad alcuno di quelli indicati nella disciplina comunitaria, con la conseguente inammissibile pretesa di demandare a questa Corte la ricerca del modo in cui l’assunto del motivo potrebbe trovare giustificazione (cfr. Sez. 6 – 3, Sentenza del 31 marzo 2015, n. 6472, in motivazione); che, pertanto, sulla base delle argomentazioni sin qui illustrate, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna delle amministrazioni ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo; che non vi è luogo – in ragione della natura statale delle amministrazioni ricorrenti – per l’attestazione della sussistenza dei presupposti relativi al versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 luglio 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018