Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27470 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio di Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

S.A., A.H., G.G.G., C.M., U.A., elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato ARIETA GIOVANNI, rappresentati e difesi dall’avvocato DEL VECCHIO MARIANTONIETTA giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 687/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 21/5/2015, la Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello proposto da U.A., A.H., C.M., G.G.G. e S.A., e in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento, in favore degli appellanti, dei danni da questi ultimi sofferti a seguito del mancato recepimento, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, avendo gli stessi, dopo il conseguimento della laurea in medicina, frequentato i corsi di specializzazione dagli stessi dedotti ( U. e C. in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso e A., G. e S. in radiodiagnostica, negli anni accademici tra la fine degli anni ‘80 e i primi degli anni ‘90), senza percepire l’equa remunerazione al riguardo prevista dalla disciplina comunitaria a carico di ciascuno Stato nazionale;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, disattesa ogni altra eccezione sollevata dalla difesa erariale, ha sottolineato il carattere incontestato dell’inadempimento dello Stato italiano, rispetto all’obbligazione dedotta in giudizio dagli originari attori, conseguentemente provvedendo alla liquidazione, in termini monetari, di quanto a questi ultimi dovuto;

che, avverso la sentenza d’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione, illustrato da successiva memoria;

che U.A., A.H., C.M., G.G.G. e S.A. resistono con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di ulteriore memoria;

CONSIDERATO

che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma) nella versione consolidata come modificati e ridenominati dal Trattato di Lisbona dal 1 dicembre 2009, dell’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 16 della direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente considerato, ai fini della liquidazione dell’equa remunerazione riconosciuta in favore delle controparti, i diplomi di specializzazione conseguiti in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso e in radiodiagnostica, nonostante i diplomi rilasciati a seguito di tali ultime specializzazioni non rientrassero tra quelli indicati nella direttiva 93/16/CEE riconosciuti da due o più paesi dell’Unione Europea e nelle direttive 74/362/CEE e 75/363/CEE;

che il ricorso è inammissibile;

che, sul punto, osserva preliminarmente il Collegio come la questione sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con l’odierna impugnazione (con particolare riguardo al tema dell’avvenuta erronea considerazione, ai fini della liquidazione dell’equa remunerazione riconosciuta in favore delle controparti, di diplomi di specializzazione non rientranti tra quelli indicati nella disciplina comunitaria ai fini dell’attribuzione del ridetto beneficio) non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata;

che, al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975 – 01);

che non avendo la ricorrente in alcun modo provveduto alle ridette allegazioni, il ricorso deve ritenersi per ciò stesso inammissibile;

che, peraltro, varrà rilevare come la questione sollevata dalla ricorrente – oltre a non prospettare una quaestio iuris (tale non essendo quella della valutazione di equivalenza di un corso di specializzazione con quelli indicati come comuni a due o più stati membri, secondo le previsioni della disciplina comunitaria) – risulta enunciata in modo del tutto assertivo, non svolgendosi alcuna attività argomentativa tendente a dimostrare le ragioni concrete per cui i corsi frequentati dagli originari attori, con le loro denominazioni, non fossero corrispondenti ad alcuno di quelli indicati nella disciplina comunitaria, con la conseguente inammissibile pretesa di demandare a questa Corte la ricerca del modo in cui l’assunto del motivo potrebbe trovare giustificazione (cfr. Sez. 6 – 3, Sentenza del 31 marzo 2015, n. 6472, in motivazione);

che, pertanto, sulla base delle argomentazioni sin qui illustrate, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

che non vi è luogo – in ragione della natura statale dell’amministrazione ricorrente – per l’attestazione della sussistenza dei presupposti relativi al versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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