LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 11936-2010 proposto da:
C. CHANCLAIRE S.A.S. DI C.E. & C., in persona del legale rappresentante p.t., C.E. C.L. elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’Avv.to ENRICO DANTE, che li rappresenta e difende assieme all’Avv.to LORENZO BERTAGGIA giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18/29/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 19.3.2009, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26.2.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto dei motivi 1 e 4 del ricorso principale, l’accoglimento dei motivi 5 e 9, assorbiti gli altri;
uditi l’Avvocato LORENZO BERTAGGIA per i ricorrenti e l’Avvocato dello Stato PAOLO GENTILI per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 19.3.2009 la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dalla società C. CHANCLAIRE S.A.S. di C.E. & C. e dai soci E. e C.L. e respingeva l’appello incidentale proposto da questi ultimi avverso la sentenza n. 170/02/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli, che aveva accolto i ricorsi proposti dalla società e dai soci avverso avvisi di accertamento per il recupero a tassazione del maggior reddito accertato a fini ILOR, con sanzioni ed interessi, per gli anni di imposta 1992-1993-1994-1995, avvisi di rettifica delle dichiarazioni annuali IVA presentate dalla società per gli anni di imposta 1993-1994-1995, con sanzioni ed interessi, ed avvisi di accertamento (nei confronti dei soci) a fini IRPEF e contributo SSN relativamente al maggior reddito da partecipazione loro attribuibile per gli anni di imposta 1993-1994-1995.
In particolare l’Ufficio finanziario aveva apportato variazioni in aumento del reddito per ricavi accertati induttivamente in relazione ad accertamenti bancari effettuati nei confronti della società, del coniuge del legale rappresentante della società e dei loro figli, avendo considerato come ricavi della società sia i prelevamenti che i versamenti; erano state inoltre apportate variazioni in aumento del reddito contestando l’indebita sottrazione di costi relativi a fatture emesse dalla società per operazioni ritenute inesistenti, nonchè variazioni in diminuzione del reddito per maggiori costi riconosciuti in corrispondenza dei maggiori costi accertati.
Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per cassazione la società C. CHANCLAIRE S.A.S. di C.E. & C. ed i soci E. e C.L., affidato a tredici motivi.
Con un primo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1362 c.c. e ss., del D.M. n. 37 del 1997, art. 2 per aver la sentenza erroneamente qualificato l’atto di “rettifica parziale in autotutela degli accertamenti emessi” depositato dall’Agenzia come una mera proposta dì conciliazione e non atto di autotutela”.
Con un secondo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio… per aver la sentenza ritenuto l’atto di “rettifica parziale in autotutela degli accertamenti emessi” depositato dall’Agenzia una mera proposta di conciliazione e non atto di autotutela; omesso esame del predetto atto di rettifica nonchè erronea e/o mancata interpretazione delle risultanze e dei documenti agli atti”.
Con un terzo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione… del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 per c.p.c., per avere la sentenza operato una reviviscenza degli avvisi originari omettendo di rilevare che con il predetto atto di “rettifica parziale in autotutela degli accertamenti emessi” l’Agenzia delle Entrate aveva rinunciato parzialmente alle pretese contenute negli originari avvisi di accertamento ed alle domande giudiziali proposte nel contenzioso riducendo la materia del contendere”.
Con un quarto motivo hanno denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio… per aver la sentenza operato una illegittima reviviscenza degli avvisi originari da ritenere invece parzialmente rinunciati”.
Con un quinto motivo hanno denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed all’art. 132 c.p.c. ed all’art. 111 Cost. in quanto priva di motivazione di diritto”.
Con un sesto motivo hanno denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 “omessa, insufficiente, illogicà motivazione della sentenza… stante la mancata esposizione delle ragioni di diritto e fatto fondanti la decisione”.
Con un settimo motivo hanno denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 “violazione e/o falsa applicazione… dell’art. 112 c.p.c., per aver la sentenza… omesso di esaminare il motivo di appello riferentesi alla violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e l’assenza di elementi di prova da parte dell’Agenzia delle Entrate che ha fondato le pretese su presunzioni prive dei requisiti di legge”.
Con un ottavo motivo hanno denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 “violazione e/o falsa applicazione… del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, degli artt. 2697 e 2729 c.c., artt. 3,24 e 111 Cost. per aver la sentenza ritenuto fondata la pretesa dell’Agenzia in mancanza di presunzioni gravi, precise e concordanti fondanti gli accertamenti, in mancanza della prova a carico dell’Ufficio che le movimentazioni dei c/c bancari intestati ad altri soggetti (diversi dal contribuente) erano riferibili ad operazioni commerciali della società, ed in assenza di prova alcuna”.
Con un nono motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza… circa punti determinanti e controversi del giudizio stante l’assenza di presunzioni gravi precise e concordanti fondanti gli accertamenti, nonchè illegittimità degli accertamenti per aver l’indagine bancaria riguardato c/c intestati a terzi la cui attività era estranea a quella svolta dalla società C. Chanclaire s.a.s.”.
Con un decimo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione… del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dell’art. 5 c.p.c., degli artt. 2697 e 2729 c.c., per aver ritenuto la sentenza corretta la ricostruzione dell’Agenzia in assenza di prova alcuna da parte dell’amministrazione ed in presenza di copiosa prova contraria fornita dagli odierni ricorrenti”.
Con un undicesimo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente, illogica motivazione della sentenza… stante l’omesso esame delle prove fornite dagli odierni ricorrenti ed erronea o mancata interpretazione delle risultanze e dei documenti agli atti”.
Con un dodicesimo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “violazione e/o falsa applicazione… dell’art. 112 c.p.c. per aver la sentenza affermato, senza che nessuna delle parti avesse proposto istanza, la tardiva esibizione di documentazione”.
Con un tredicesimo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente, illogica motivazione della sentenza… che non esplicita… quale documentazione sarebbe stata esibita tardivamente”.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale.
I contribuenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo di ricorso, ammissibile, in quanto corredato di quesito idoneo ad assolvere la precipua funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, è fondato.
1.2. In materia tributaria, il potere della pubblica amministrazione di provvedere in via di autotutela all'”annullamento d’ufficio” o alla “revoca”, anche in pendenza di giudizio o di non impugnabilità degli atti illegittimi od infondati, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1, convertito, con modifiche, in L. 30 novembre 1994, n. 656 (cfr. Cass. n. 22827/2013) e dal D.M. n. 37 del 1997.
1.3. Il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione dei primo) o quella della “riforma” (atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso); entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico.
1.4. Accanto a tale tipizzato “rimedio demolitorio”, la giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della Pubblica amministrazione in materia tributaria anche all’ipotesi di intervento “sostitutivo”, laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo.
1.5. Come ribadito da questa Corte (cfr. Cass. nn. 3248/2016; 4029/2015), in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di un altro, precedentemente annullato, non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonchè del generale potere di autotutela, in ordine alla quale, peraltro, l’Amministrazione non gode di alcun margine di discrezionalità (diversamente da quanto accade ordinariamente), trattandosi di integrare le parti che hanno dato luogo all’invalidità dell’atto precedente.
1.6. La sua emissione, pertanto, non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, come prescritto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, ma può aver luogo anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’Ufficio.
1.7. L’atto integrativo/sostitutivo è, dunque, in genere, un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perchè in relazione ad un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dal primo, dispone un nuovo contenuto (cfr. Cass. n. 937/2009).
1.8. L’esercizio del potere di autotutela, pertanto, può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente atto o alla sua eliminazione e alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato; tuttavia, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento, specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario – il quale si aggiunge a quello originario, ovvero lo sostituisce -, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una “nuova” pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa “minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari (cfr. Cass. n. 22240/2015; 22019/2014; 12814/2000).
1.9. Nella specie, fu riscontrata dall’Ufficio, nell’accertamento originario (trascritto dai ricorrenti in ricorso), una “mancanza di aderenza alla realtà nell’ammontare dei maggiori imponibili rilevati dalla Guardia di Finanza,…(pur)… riman(endo)… validi nel complesso i motivi di fondo degli accertamenti” ed essendo stato ritenuto quindi “corretto rettificare in misura percentuale gli ammontari accertati” con “ammontare dei versamenti nei c/c bancari personali accertati:ridotti al 10%; ammontare dei costi fittizi accertati: ridotti al 5%; minori giacenze di magazzino: Lire 54.497.000 – rilievo accolto anche dalla società”.
1.10. Trattandosi della riduzione della pretesa impositiva, senza effetto innovativo-sostitutivo ed esercizio di una nuova pretesa fiscale, lo stesso non necessitava di motivazione particolare e di ulteriori formalità, risultando peraltro il deposito dell’atto nel giudizio innanzi alla CTP tra i contribuenti e l’Ufficio, con relativa indicazione del numero dei singoli ricorsi a cui esso ineriva, anche pienamente conforme a quanto prescritto dal D.M. n. 37 del 1997, art. 4, comma 2, (“Dell’eventuale annullamento, o rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, è data comunicazione al contribuente, all’organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso…”).
1.11. Ne consegue l’erroneità della affermazioni della CTR in merito alla natura dell’atto in questione quale “mera proposta di conciliazione” e non quale atto di autotutela.
2. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo, del terzo, del quarto motivo di ricorso, con cui si formulano sostanzialmente le medesime doglianze anche sotto il profilo del vizio motivazionale.
3.1. Il quinto motivo di ricorso, con cui si censura, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la motivazione apparente della sentenza impugnata e la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., si rivela inammissibile, atteso che la motivazione deve ritenersi apparente solo allorchè sia intrinsecamente inidonea a fare percepire le ragioni che stanno alla base della decisione.
3.2. Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dover confermare quanto statuito dai Giudici di primo grado in ordine alla correttezza dell’azione accertatrice in mancanza di idonea prova contraria da parte dei ricorrenti, stante anche la tardiva produzione documentale dei ricorrenti; si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.
3.3. I profili di apoditticità della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. n. 5315/2015).
4. E’ inammissibile il sesto motivo di ricorso; la denunciata “mancata esposizione delle ragioni di diritto e di fatto fondanti la decisione” non configura vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del Giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione.
5.1. E’ inammissibile anche il settimo motivo di ricorso, laddove i ricorrenti lamentano che la CTR non avrebbe esaminato “il motivo di appello riferentesi alla violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e l’assenza di elementi di prova da parte dell’Agenzia delle Entrate che ha fondato le pretese su presunzioni prive dei requisiti di legge”.
5.2. Il tenore della sentenza impugnata, laddove si afferma espressamente la mancanza di prova contraria, da parte dei contribuenti, riguardo alla ricostruzione dei fatti operata dall’Ufficio e la tardiva produzione di documentazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, mostra chiaramente che la CTR si è pronunciata sul motivo di appello, svolgendo sul punto una, sia pur sintetica, motivazione.
6.1. Il dodicesimo motivo di ricorso ed il tredicesimo motivo di ricorso (limitatamente alla censura di “ultrapetizione e/o extrapetizione”), da esaminare preliminarmente perchè logicamente prodromici rispetto ai rimanenti motivi, sono infondati.
6.2. Osserva la Corte che, con entrambi i motivi in esame, i contribuenti contestano l’applicazione d’ufficio del D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 32 da parte del Giudice di appello, censurando la sentenza impugnata per aver affermato “senza che nessuna delle parti avesse proposto istanza, la tardiva esibizione di documentazione”.
6.3. Occorre allora evidenziare che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, prevede quanto segue: “(4) Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. (5) Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
6.4. Il tenore letterale della norma consente di enucleare un’efficacia automatica della sanzione di inutilizzabilità della documentazione prodotta tardivamente, in presenza dei presupposti ivi previsti, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita agli stessi e non è stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilità che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalità ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado; ne consegue che l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa, e non trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che consente alle parti nuove produzioni documentali anche nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza (cfr. Cass. n. 5734/2016, 10489/2014).
6.5. La CTR poteva quindi legittimamente procedere, d’ufficio, anche senza essere stata sollecitata sul punto dalle parti, a sancire l’inutilizzabilità della suddetta documentazione.
7.1. Il tredicesimo motivo di ricorso – corredato di quesito di diritto conforme ai canoni ermeneutici indicati dalla Corte, non risolvendosi in una mera e generica declaratoria iuris, senza alcun collegamento alla fattispecie concreta -, nella parte in cui i contribuenti, con riguardo alla tardiva produzione documentale da parte dei ricorrenti, lamentano la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è invece fondato, con assorbimento delle rimanenti censure su vizio motivazionale.
7.2. Nella sentenza impugnata – in particolare nella parte relativa allo svolgimento del processo – si evidenzia che in primo grado i contribuenti avevano espressamente lamentato che l’Ufficio si era sottratto all’obbligo di instaurare preventivamente un contraddittorio con il contribuente (cfr. pag. 2 sentenza CTR) e che essi avevano poi, in appello, “ribadi(to)…le difese svolte nel giudizio di primo grado”, il che, preliminarmente, priva di fondamento le eccezioni dell’Agenzia controricorrente circa la novità delle suddette questioni, sottoposte all’esame della Corte.
7.3. Tanto premesso, il Collegio osserva che la disposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in forza della quale la CTR ha affermato l’inutilizzabilità in giudizio degli atti e documenti che non erano stati tempestivamente esibiti in ottemperanza agli inviti dell’ufficio, costituisce disposizione che deroga, Cass. 20487/2013, che si richiama a quanto affermato da Cass. S.U. n. 45/2000).
7.4. Occorre quindi che il comportamento del contribuente sia idoneo a far fondatamente dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito, ed inoltre sia meritevole di sanzione per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il fisco; questa considerazione induce ad un’interpretazione rigorosa del termine “invito”, contenuto nella norma, occorrendo che tale invito sia specifico e puntuale, oltre che accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza (cfr. Cass. 11765/2014).
7.5. Orbene, nel caso in esame la sentenza della CTR non è conforme a tali principi interpretativi, essendo stata affermata l’applicabilità della sanzione di inutilizzabilità della documentazione in sede contenziosa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 senza precisare se l’Amministrazione avesse fatto specifica e puntuale richiesta di determinati documenti, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza.
8.1. L’ottavo ed il nono motivo dì ricorso, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
8.2. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi, come nel caso in esame, su verifiche di conti correnti bancari, che l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (cfr. Cass. nn. 10249/2017, 15857/2016, 4829/2015, 18081/2010, 22179/2008).
8.3. il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in tema di indagini bancarie, pone, invero, una presunzione relativa a carico del contribuente assoggettato a verifica in relazione ai conti correnti intestati sia al contribuente stesso, sia a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a disposizione del contribuente, come amministratori, soci, congiunti o terzi in genere con i quali abbiano particolari rapporti di cointeressenza, rappresentanza organica, procura generale, mandato e simili (cfr. ex plurimis, Cass. n. 21318/2010); in difetto di prova contraria, la ristretta base partecipativa della società è sufficiente a fondare la suddetta presunzione a carico della società in base alle risultanze dei conti correnti bancari dei soci (cfr. ex plurimis, Cass. n. 20851 e n. 20849 del 2016; n. 12776 e n. 428 del 2015; n. 26829 del 2014; n. 4904 del 2013; n. 21420 del 2012; n. 26173 del 2011; n. 18083 del 2010; cfr., in particolare, in tema di società che agisce tramite conti correnti intestati ai soci, Cass. n. 20449/2011), e dei loro congiunti (cfr. ex plurimis, Cass. n. 4904/2013).
8.4. Ne consegue, nel caso in esame, la piena legittimità delle indagini bancarie estese ai congiunti (moglie e figlia) della persona fisica amministratore della società contribuente, trovando legittima applicazione la presunzione legale prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2) per cui i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili”, non operando tra presunzione semplice e presunzione legale il divieto di praesumptio de praesumpto ex art. 2727 c.c. (cfr. Cass. n. 374/2009, 27032/2007).
9.1. Il decimo motivo è inammissibile, laddove la parte ricorrente qualifica come vizio di violazione di legge l’omesso esame di elementi fattuali (“copiosi e rilevanti documenti prodotti in giudizio dagli odierni ricorrenti dai quali risultava l’erroneità della pretesa dell’amministrazione”) da parte del Giudice di merito.
9.2 Emerge dal contesto del motivo, che parte ricorrente, pur denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lungi dall’indicare erronea interpretazione di norme da parte della corte di merito e dal fornire la prospettazione di diversa lettura ritenuta viceversa “corretta” delle medesime (cfr. Cass., 8/05/2006, n. 10500), si limita sostanzialmente a dolersi dello sfavorevole esito della lite contrario alle proprie aspettative, per essere state le risultanze di causa valutate in modo difforme dal proprio; in particolare, l’Ufficio si è limitato a censurare la sentenza della CTR in quanto avrebbe accolto le tesi dell’Ufficio “in assenza di prova alcuna da parte dell’amministrazione ed in presenza di cospicua prova contraria fornita dagli odierni ricorrenti”.
9.3. Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso non essendo state indicate le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non consentendo così alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. Cass. nn. 9245/2007, 8932/2006, 1108/2006, 21659/2005, 16132/2005, 3803/2004).
10.1. L’undicesimo motivo di ricorso, laddove si lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame, da parte della CTR, degli elementi di prova contraria forniti dagli odierni ricorrenti (ovvero della documentazione della quale era stata sancita dalla CTR la tardiva produzione) è assorbito dall’accoglimento del tredicesimo, nei limiti dianzi indicati.
11. Si impone, quindi, in relazione all’accoglimento del primo e del tredicesimo (nei limiti dianzi indicati) motivo di ricorso, assorbiti il secondo, il terzo, il quarto e l’undicesimo, respinti l’ottavo, il nono ed il dodicesimo, dichiarati inammissibili il quinto, il sesto, il settimo ed il decimo, la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e che provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, accoglie altresì il tredicesimo motivo di ricorso, nei limiti indicati in motivazione, assorbiti il secondo, terzo, quarto ed undicesimo, respinge l’ottavo, nono e dodicesimo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il quinto, sesto, settimo e decimo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 27 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018
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