LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14555 del ruolo generale per l’anno 2011 proposto da:
Agenzia della entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
S.L.M., titolare dell’impresa individuale Blu motori di S.L., rappresentato e difeso dall’avv. Luciana Tullia Bertoli per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cola di Rienzo, n. 69, presso lo studio dell’avv. Gian Alberto Ferretti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 47/44/2010, depositata il giorno 26 aprile 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018 dal Consigliere Dr. Giancarlo Triscari;
RILEVATO IN FATTO
Che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che l’Agenzia delle entrate di Desio aveva emesso avviso di accertamento nei confronti di S.L.M., quale titolare della ditta Blu Motori, con il quale aveva proceduto, per l’anno di imposta 2001, al recupero IVA di Euro 95.306,27 per indebita utilizzazione del regime del margine, per avere questi importato, come evincibile dai libretti di circolazione, veicoli intestati a soggetti esercenti l’attività di autonoleggio e, in quanto tali, non beneficianti del regime speciale in esame; a seguito di impugnazione proposta dal contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva respinto il ricorso, avendo ritenuto che l’acquisto dei veicoli usati era avvenuto con operatori comunitari non rientranti nelle categorie previste dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, in quanto i beni erano stati utilizzati un funzione strumentale alle finalità aziendali e, quindi, della conseguente detrazione dell’imposta da essi assolta nell’iniziale fase di acquisto; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello il contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha parzialmente accolto l’appello proposto dal contribuente, ritenendo infondato il motivo di impugnazione relativo alla ripresa a tassazione dell’imposta non versata, stante la non applicabilità della disciplina del regime del margine e fondato, invece, il motivo di impugnazione relativo alla non applicabilità delle sanzioni, per difetto dell’elemento della colpevolezza, non potendosi richiedere a carico del contribuente, ai fini della regolarizzazione dell’operazione, di procedere ad un controllo delle effettiva veridicità e pertinenza della qualificazione giuridica della transazione data dal soggetto emittente le fatture;
l’Agenzia delle entrate ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia in epigrafe;
il controricorrente si è costituito depositando ricorso incidentale con il quale censura con cinque motivi la sentenza impugnata.
RITENUTO IN DIRITTO
Che:
con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e del D.L. n. 41 del 1995, artt. 36 e 37, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto non applicabili le sanzioni, connesse al maggior imponibile accertato per difetto dell’elemento della colpevolezza, sulla base della considerazione, ritenuta errata, che il cessionario di un bene, nel ricevere una fattura irregolare, è tenuto a regolarizzazione l’operazione nei limiti della immediata verificabilità del documento contabile ricevuto, non potendo il controllo essere esteso alla valutazione dell’effettiva veridicità e pertinenza della qualificazione giuridica della transazione data dal soggetto che ha emesso la fattura;
il motivo è fondato;
la mancata regolarizzazione dell’operazione, con conseguente obbligo di versamento dell’imposta dovuta, e, quindi, la conseguente applicazione della sanzione, è strettamente connessa alla rilevata non applicabilità del regime speciale del margine nel caso, quale quello di specie, in cui il contribuente si trovava nelle condizioni di potere accertare, sulla base della verifica dei libretti di circolazione degli autoveicoli usati acquistati, che la cessione era stata compiuta da soggetto che, utilizzando gli stessi nell’ambito della propria attività di impresa, aveva, in tal modo, la possibilità di detrarre l’IVA assolta sugli acquisti;
in questo contesto, il contribuente-cessionario deve dimostrare la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell’assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un’evasione dell’IVA, sia dell’uso della necessaria diligenza, ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi, rientrando, nell’ambito delle precauzioni che si possono senz’altro richiedere ad un cessionario di veicoli usati l’esame della “storia” del veicolo, quanto meno con riferimento all’individuazione dei precedenti intestatari del mezzo risultanti dalla carta di circolazione, documento in possesso dell’acquirente in quanto indispensabile ai fini del perfezionamento dell’operazione;
la mancata osservanza dell’obbligo di diligenza richiesto, certamente riferibile ad una condotta omissiva del contribuente, consente, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di appello, di ritenere sussistente una condotta rientrante nell’ambito di applicazione della previsione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5;
nè sono convincenti le considerazioni espresse dal controricorrente sul punto, posto che questa Corte ha precisato che, con riferimento all’orientamento costante secondo cui il controllo sulla (ir)regolarità della fattura richiesto al cessionario/committente dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, lett. b), è intrinseco al documento, in quanto limitato alla regolarità formale della fattura e, dunque, alla verifica dei suoi requisiti essenziali, individuati dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, tra i quali rilevano, tra gli altri, i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e dei servizi, all’ammontare del corrispettivo, all’aliquota e all’ammontare dell’imposta e dell’imponibile) non trova applicazione “il diverso indirizzo sugli oneri di diligenza con riguardo all’applicabilità del regime del margine, giacchè, essendo questo un regime speciale, implica un vaglio critico della sussistenza dei relativi presupposti, pienamente compatibile con la diligenza qualificata prevista dall’art. 1176 c.c., comma 2” (Cass. civ., Sez. 5, 21 luglio 2015, n. 15302);
con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere erroneamente ritenuto non sufficiente, ai fini dell’applicazione della disciplina speciale del margine, che il soggetto cedente aveva formalmente dichiarato nelle fatture di trovarsi nelle condizioni soggettive di applicabilità del suddetto regime;
il motivo è infondato;
il motivo in esame riguarda la questione dei presupposti per l’applicabilità del regime del margine e della individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova tra Amministrazione finanziaria e contribuente nonchè della verifica del comportamento diligente che quest’ultimo è tenuto in tali circostanze ad assumere; sulla questione in esame, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza 12 settembre 2017, n. 21105, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, il c.d. regime del margine, previsto dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36 (convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85) e dagli artt. da 311 a 325 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (e, già, dall’art. 26 bis della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977) per le cessioni, da parte di rivenditori, di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime d’imposizione speciale, facoltativo e derogatorio, in favore del contribuente, del sistema normale dell’IVA: ne consegue che la sua disciplina va interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi, nei limiti di quanto necessario al raggiungimento dello scopo dell’istituto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, il cessionario, al quale l’amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, tale fruizione, deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Rientra in tale condotta anche l’individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell’ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione: in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l’amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l’imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui dalla verifica del contribuente emerga che i precedenti titolari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per l’acquisto dei veicoli stessi, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole”;
la pronuncia impugnata ha fatto applicazione di questo orientamento, peraltro già espresso da questa Suprema Corte, Sez. 5, con la pronuncia 12/02/2010, n. 3427, e Sez. 5, 24/07/2015, n. 15630, in quanto, essendo emerso che i precedenti cedenti delle autovetture erano società di autonoleggio, non è sufficiente, affinchè il cessionario possa fruire del regime fiscale speciale, la regolarità formale della fattura ricevuta dal cedente ovvero la circostanza che non sussistevano rapporti diretti con le suddette imprese, essendo, invece, rilevante che nella catena delle operazioni di cessione tra i cedenti figurano anche soggetti passivi IVA che per le qualità soggettive rivestite (società di autonoleggio) erano legittimate a portare in detrazione l’imposta sugli acquisti dei medesimi veicoli successivamente rivenduti agli intermediari nazionali;
pertanto, la pronuncia impugnata ha correttamente escluso che nella fattispecie potesse trovare applicazione il regime del margine, ritenendo implicitamente insufficiente la mera presenza nelle fatture del cedente delle indicazioni del detto regime ed attribuendo, invece, al cessionario un onere di prova connesso alla particolare vicenda posta all’attenzione, in cui è emerso che le vetture acquistate avevano, come titolare precedente, imprese di autonoleggio, dovendosi in tal caso richiedere al contribuente di fornire ogni elementi di valutazione utile e necessario per ritenere non applicabile il regime ordinario concernente gli scambi intracomunitario;
non vale, peraltro, allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando “nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Corte Cass., sez. 5, 12 febbraio 2010 n. 3427);
l’Ufficio finanziario aveva fornito idonea prova presuntiva della mancanza delle condizioni che legittimavano l’applicazione del regime del margine di utile, in quanto tra i soggetti IVA cedenti, risultavano, dall’esame dei libretti di circolazione, anche società di autonoleggio che utilizzavano i veicoli come beni strumentali all’esercizio della impresa, ed in quanto tali aveva diritto di portare in detrazione l’IVA fatturata sull’acquisto a monte. Nella specie ricorre lo schema legale della presunzione ex artt. 2717 e 2729 c.c., atteso che da un lato, dal fatto certo (qualità soggettiva degli operatori economici) è ben possibile in linea teorica pervenire, mediante applicazione dello schema probatorio presuntivo, alla conoscenza di distinti fatti ignorati, dall’altro occorre rilevare come, nel caso di specie, la strumentalità del bene (ovvero la “inerenza” od “afferenza” del bene acquistato all’esercizio della attività economica) non si identifica con l’oggetto della prova presuntiva, ma costituisce soltanto uno degli elementi ricostruttivi del fatto ignorato (detrazione della imposta) che è da ritenersi l’unico fatto oggetto di prova, in quanto fatto impeditivo del diritto alla fruizione del regime fiscale c.d. del margine;
nello specifico caso la rilevazione dai documenti di circolazione della qualità di autonoleggiatore delle società originarie cedenti, e quindi della qualità di soggetto “primo immatricolatore” che – secondo l’id quod plerumque accidit” – acquista l’autoveicolo per destinarlo alla propria attività imprenditoriale con conseguente legittimazione a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa sull’acquisto del bene strumentale, doveva indurre quanto meno nel dubbio il cessionario sulla effettiva applicabilità alla operazione economica del regime del margine, e quindi ad acquisire, preventivamente, dalla cedente nazionale ulteriori elementi comprovanti la mancata detrazione della imposta nel Paese membro da cui provenivano i veicoli, rimanendo escluso, in difetto di tale verifica, un incolpevole affidamento del medesimo fondato esclusivamente sulla mera annotazione, nella fattura emessa dal cedente, della applicazione del regime del margine. Tale annotazione in fattura, infatti, non è sufficiente ex se ad integrare un artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto-cessionario, nonostante la dovuta diligenza impiegata (e dunque non costituisce ex se prova adeguata della buona fede del cessionario), laddove questi, sulla scorta degli stessi documenti indispensabili al perfezionamento della operazione commerciale, pervenuti in suo possesso, possa agevolmente rilevare ulteriori elementi fattuali (nella specie il tipo di attività imprenditoriale svolta dalle società comunitarie, ed il normale impiego dei veicoli come beni strumentali della impresa) che presentino una connotazione antitetica a quelle condizioni soggettive dell’operatore-cedente previste dalla legge per l’applicabilità del regime del margine di utile, e che impongono pertanto al cessionario, che intenda beneficiare del regime fiscale speciale, l’onere di acquisire con la dovuta diligenza informazioni più dettagliate sull’effettivo assoggettamento, in via definitiva, del cedente intracomunitario all’IVA versata “a monte” (ad esempio nel caso in cui gli autoveicoli siano stati utilizzati dalla società di noleggio come “fringe benefit” attribuito ai propri dipendenti e non come bene strumentale destinato – in via esclusiva o promiscua all’esercizio della impresa), tanto al fine di dirimere ogni possibile futura contestazione in ordine alla correttezza fiscale della operazione intracomunitaria;
con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, commi 2 e 6, e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere ritenuto che l’onere gravante sul cessionario del bene è quello di accertare che la fattura sia completa dei dati fiscalmente rilevanti senza alcun ulteriore obbligo di accertamento dei profili sostanziali sottesi all’operazione;
le considerazioni espresse con riferimento all’unico motivo di ricorso principale e al primo motivo di ricorso incidentale hanno valenza assorbente rispetto al presente motivo di ricorso incidentale;
con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la pronuncia acriticamente aderito alla tesi prospettata dall’Agenzia delle entrate;
il motivo è inammissibile;
parte controricorrente censura l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), senza tuttavia indicare il fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento al quale è postulato il vizio in esame;
non si rinviene, peraltro, come invece argomenta parte controricorrente, una carenza di motivazione della sentenza impugnata, avendo il giudice di appello, nel tenere conto degli elementi di fatto addotti dalle parti, in particolare la circostanza che era risultato dai libretti di circolazione che i primi esclusi intestatari delle autovetture erano delle società di autonoleggio, espressamente considerato, una volta illustrate le finalità delle disciplina del regime del margine, che se l’operatore comunitario, abbia, come è da presumersi, esercitato il diritto di portare l’IVA in detrazione avvalendosi della propria qualità di imprenditore, l’operatore italiano che ne abbia acquistato il veicolo usato, di converso, non può usufruire del beneficio connesso al regime del margine (…) perchè questa agevolazione è condizionata ad un acquisto che il venditore nazionale ne abbia fatto da un soggetto/operatore economico non abilitato ad esercitare la detrazione, motivazione, per quanto detto, coerente con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte;
con il quarto motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per mancata osservanza delle regole sulle prove legali, non avendo la pronuncia rilevato il vizio del procedimento amministrativo e dei conseguenti avvisi di accertamento privi di motivazione nonchè la mancanza di prova di prova da parte dell’ente impositore;
con il quinto motivo di appello incidentale si censura la nullità della sentenza o del procedimento per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per essere la decisione basata su fatti non conosciuti dal contro ricorrente e su cui non si potuto difendere;
i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono inammissibili;
gli stessi sono genericamente proposti senza alcuna specifica indicazione dei diversi profili in relazione ai quali si ritiene che sussistano le violazioni di legge indicate, facendo riferimento ai vizi propri degli atti di accertamento (omessa motivazione, mancanza di prova e mancanza dei presupposti dell’atto impositivo) e non a vizi della sentenza impugnata ovvero richiamando la violazione dei principi in materia di onere della prova e del principio dispositivo delle prove, senza tuttavia indicare espressamente le ragioni della ritenuta violazione di legge ovvero della nullità della sentenza o del procedimento;
la ricostruzione sopra operata nella materia in esame, relativa al regime dell’onere probatorio in caso di applicazione del regime del margine per la cessione di autoveicoli usati ove l’intestatario originario dei beni, come evincibile dai libretti di circolazione delle autovetture, sia un soggetto che può detrarre l’IVA, rende chiaro come la pronuncia in esame abbia fatto corretta applicazione delle norme di riferimento, ponendosi a carico del cessionario l’onere di dar prova della propria diligente condotta;
ne consegue l’accoglimento del motivo di ricorso principale, con conseguente decisione nel merito, il rigetto del primo motivo di ricorso incidentale, l’assorbimento del secondo motivo di ricorso incidentale, l’inammissibilità del terzo, quarto e quinto motivo di ricorso incidentale, con condanna della parte contro ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento del motivo di ricorso principale, cassa decidendo nel merito la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’applicabilità delle sanzioni amministrativa connesse al maggior imponibile accertato.
Condanna parte controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio che si liquidano in complessive Euro 5.000,00.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 21 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018