LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3027 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
L.B., rappresentata e difesa, per procura a speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Filippo Fiorillo, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Carraresi n. 23, presso lo studio dell’Avv. Massimo Prosperi;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 188/10/2009, depositata il giorno 9 dicembre 1999;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2018 dal Consigliere Dr. Giancarlo Triscari;
RILEVATO IN FATTO
Che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che l’Agenzia delle entrate di Venezia aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di L.B. con il quale aveva rettificato la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione IVA, relative all’anno di imposta 1999, in considerazione di ricavi non contabilizzati e della non corretta deduzione di costi rilevati dal p.v.c. della Guardia di Finanza; in particolare, i maggiori ricavi erano stati accertati tenuto conto della diversa percentuale di ricarico nella vendita dei beni determinata dall’Amministrazione finanziaria; a seguito di impugnazione proposta dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Cosenza aveva accolto il ricorso, avendo ritenuto illegittimo l’uso della media aritmetica semplice per la determinazione della percentuale di ricarico;
la Commissione tributaria regionale della Calabria, ha rigettato l’appello, in quanto, ai fini dell’applicazione dell’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, non era sufficiente, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, fare riferimento alla diversa applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella determinata dall’Ufficio, essendo necessario un qualche ulteriore elemento che incidesse sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, tanto più che, nella fattispecie, la percentuale di ricarico era stata determinata con il metodo della media aritmetica piuttosto che con quello della media ponderata;
l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria in epigrafe;
si è costituita L.B., depositando controricorso;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente nel controricorso per decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso;
in particolare, secondo la controricorrente, il ricorso risulta accettato dal centro postale di ***** in data 25 gennaio 2011 e poi recapitata alla ricorrente in data 28 gennaio 2011, e, quindi, lo stesso sarebbe da considerarsi tardivamente proposto, tenuto conto che il termine di scadenza era il 24 gennaio 2011;
l’eccezione è infondata, in quanto dall’esame della relata di notifica del ricorso si ricava l’apposizione del timbro postale di spedizione con indicata la data del 24 gennaio 2011, sicchè, tenuto conto che la sentenza è stata depositata il 9 dicembre 1999 e che non è stata notificata, in applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, v.t., il ricorso risulta tempestivamente notificato;
con riferimento ai motivi di ricorso proposti, si ritiene di dovere prima esaminare, per ragioni di coerenza logica e sistematica, il terzo motivo, con il quale la ricorrente cesura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che l’accertamento induttivo non possa trovare fondamento unicamente sull’applicazione delle diverse percentuali di ricarico applicate dal contribuente, tenuto conto che, nella fattispecie, il ricarico dichiarato (28%) era di molto inferiore a quello accertato dai dati aziendali (44,88%);
il motivo è fondato;
secondo la giurisprudenza di questa Corte L’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purchè preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata;
la pronuncia in esame non si è adeguata al superiore orientamento, in quanto ha ritenuto che la regolarità formale della contabilità precluda la possibilità di ricorrere all’accertamento induttivo anche utilizzando un unico elemento indiziario, quale quello della percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio;
peraltro, la stessa pronuncia, laddove ha ritenuto che l’utilizzo della media aritmetica, piuttosto che quella ponderata, non costituisce presunzione grave, precisa e concordante non è in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento tributario, nel caso di accertamento fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, la scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e di quella ponderale dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi, assumendo il criterio della media aritmetica semplice valenza indiziaria, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato sulle vendite effettuate “a nero”, quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto di fatto, che l’attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore, e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio. In mancanza di tali presupposti, è legittima la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta è uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente, a meno che il contribuente non provi di aver venduto a prezzi inferiori le merci non documentate, e ciò anche con riferimento alla media del medesimo settore merceologico;
nella fattispecie, la pronuncia impugnata ha astrattamente ritenuto che la determinazione del maggior ricavo secondo la media aritmetica non costituisse presunzione, mentre avrebbe dovuto accertare, sulla base delle allegazioni e degli elementi di prova forniti dalle parti, la natura omogenea o disomogenea della merce venduta; con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per non avere tenuto conto che la percentuale di ricarico operata in sede di accertamento era stata determinata secondo il metodo della media ponderata, nonchè della circostanza che la percentuale di ricarico era stata determinata tenendo conto di una vasta gamma merceologica dei prodotti commercializzati e, infine, per non avere argomentato sulla circostanza che la presenza di una contabilità regolarmente tenuta avrebbe potuto impedire la contestazione di un ricarico incongruo;
il motivo è fondato;
la pronuncia impugnata, ha ritenuto di rigettare l’appello dell’Agenzia sulla base di tre considerazioni: a) la percentuale di ricarico era stata calcolata con il metodo della media aritmetica; b) la stessa, calcolata per l’anno 2000 è stata poi estesa all’anno 1999; c) la suddetta percentuale di ricarico non può costituire fatto noto e certo su cui fondare la legittimità dell’atto impugnato;
rispetto a tale percorso motivazionale, le considerazioni già espresse con riferimento al terzo motivo di ricorso hanno evidenti ricadute anche con riferimento alla considerazione di cui al sopra indicato punto c), atteso che, come detto, in caso di in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, l’Amministrazione finanziaria può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente;
inoltre, si evince dal ricorso, che sul punto è caratterizzato dai necessari requisiti dell’autosufficienza, che in diverse occasioni l’Ufficio aveva evidenziato che la media utilizzata era quella ponderata (avviso, pag. 4, rigo 28-29), controdeduzioni procedimento di primo grado (pag. 5, righe 11 e 14, atto di appello (pag. 27, righe 23-26) e tale circostanza, decisiva per la decisione, non è stata considerata dal giudice di appello che, invece, ha ritenuto che era stata applicata la media aritmetica e che la stessa non era sufficiente a fondare la presunzione della ricostruzione del reddito; con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697,2700 e 2730 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che il ricarico calcolato per l’anno 2000 non fosse estensibile anche all’anno 1999;
il motivo è fondato;
nell’illustrare il presente motivo di ricorso, viene riportato quanto contenuto nel p.v.c. a pag. 5 (peraltro già riportato nell’atto di appello a pag. 8 righe 25 e ssgg.) circa il fatto che la percentuale “è stata tenuta a base per tutti gli anni oggetto di ispezione anche in considerazione che la parte, all’atto dell’accesso, ha dichiarato che per gli anni 1998-1999 e 2000 non vi sono state variazioni sostanziali di prezzo dei prodotti commercializzati”;
la suddetta dichiarazione, riportata come detto nel processo verbale di constatazione, ha valenza confessoria in ordine alla identità dei prezzi per tutti gli anni in esame, sicchè la mancata considerazione degli effetti di quanto dichiarato dalla parte costituisce violazione della previsione di cui all’art. 2730 c.c.;
ne deriva, in conclusione, che il ricorso è fondato, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla commissione tributaria regionale, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento del ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 6 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018