LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. Giulia – Consigliere –
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13210/2013 R.G. proposto da:
Quadrifoglio s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Costantini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Federico Antignani, sito in Roma, via Fusco, 104;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. dist. di Latina, n. 597/40/12, depositata il 13 novembre 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2018 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– la Quadrifoglio s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. dist. di Latina, depositata il 13 novembre 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della Quadrifoglio s.r.l. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2007, erano state recuperate a tassazione le imposte non versate;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso per difformità tra la copia depositata presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente e quella presentata presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale;
– il giudice di appello, pur ritenendo ammissibile il ricorso introduttivo, ha respinto il gravame ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.
CONSIDERATO
CHE:
– con il primo motivo del ricorso principale la società contribuente denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il giudice di appello omesso di prendere in considerazione l’istanza di sospensione dell’avviso di accertamento e della sentenza di primo grado avanzata con il ricorso in appello;
– il motivo è inammissibile per difetto di interesse, venendo in rilievo un vizio procedimentale – attinente un subprocedimento finalizzato all’emanazione di un provvedimento dalla natura strumentale, provvisoria e non definitiva, in quanto destinato ad essere sostituito dalla decisione di merito – inidoneo ad esplicare effetto sulla sentenza definitiva;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39, 41 bis e 61, artt. 2697 e 2729 c.c. e art. 53 Cost. per aver la sentenza impugnata ritenuto legittimo l’atto impositivo benchè fondato su semplici indizi;
– con l’ultimo motivo di ricorso si duole dell’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione alla sussistenza di valide presunzioni a fondamento della determinazione del maggior reddito imponibile;
– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati;
– dalla sentenza di appello – oltre che dagli atti delle parti – si evince che la rettifica della dichiarazione della contribuente è stata effettuata dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), all’esito dell’accertamento dell’inesattezza degli elementi indicati nella contabilità tenuta;
– in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che la situazione aziendale fosse “del tutto inverosimile rappresentando una sproporzione tra acquisti e vendite, che portano a pensare a vendita senza fattura o scontrino: e comunque in evasione i.v.a.”;
– ha tratto tale convincimento dalla presentazione da parte della società contribuente, ogni anno, di un notevole credito i.v.a., in assenza di documentazione idonea a giustificare le relative operazioni attive e passive, nonchè dal fatto che la contribuente continuasse ad effettuare acquisti di merce pur praticando sulle vendite un ricarico negativo;
– ha, inoltre, evidenziato che la società contribuente aveva effettuato nell’anno cessione di merce a stock senza che venissero rispettati i dettati normativi, omettendo di specificare la natura e la qualità dei beni ceduti e in tal modo non consentendo una valutazione sulla congruità dei corrispettivi, anche in considerazione del fatto che alcune delle relative fatture mancavano della sottoscrizione del cessionario;
– ha, dunque, ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio che ha disatteso gli elementi emergenti dalla contabilità aziendale, “confliggente con le regole fondamentali di ragionevolezza, non dimenticando, fra l’altro, il profilo di antieconomicità del comportamento aziendale” e rideterminato i redditi della società;
– l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della relazione inferenziale tra i fatti noti accertati e il fatto ignoto da dimostrare appare immune da vizi, anche in considerazione dell’assenza di decisivi elementi probatori dissonanti rispetto all’applicata presunzione, per cui non si ravvisa la prospettata violazione del richiamato dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nè, tanto meno, l’allegato vizio motivazionale;
– il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, articolato in un unico motivo con cui si censura la sentenza di appello per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18 e art. 22, commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ha natura di ricorso condizionato e non va esaminato per difetto di attualità dell’interesse, avuto riguardo all’infondatezza del ricorso principale (cfr. Cass. 1 marzo 2016, n. 4047; Cass. 6 marzo 2015, n. 4619);
– pertanto, il ricorso principale non può essere accolto, mentre quello incidentale risulta assorbito;
– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018