Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.27631 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1849/2014 proposto da:

W.C.S., *****, S.R.F. *****, M.E.P., *****, P.O.D., *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 283, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CALA’, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DEL DEMANIO, in persona rappresentanti pro tempore,dei rispettivi legali elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

ABITANTI del Comune di SANREMO quali eredi o aventi causa degli ABITANTI ex Comune di BUSSANA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 693/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 24/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2018 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GIUSEPPE CALA’, difensore dei ricorrenti principali, che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte ed in atti, con accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del controricorso e ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. W.C.S., S.R.F., M.E.P. e P.O.D. nel 1992 proponevano, nei confronti del Ministero delle finanze, domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà di beni immobili situati in *****, deducendo che da oltre venti anni si erano insediati nella borgata occupandone immobili abbandonati a seguito di un terremoto, che)nel 1887, aveva distrutto l’abitato costringendo i residenti ad abbandonarlo. Il Ministero delle finanze si costituiva affermando l’infondatezza della domanda sia per difetto del decorso del termine ventennale, sia per essere stata abusiva l’occupazione posta in essere dagli attori; in via riconvenzionale chiedeva il riconoscimento in capo allo Stato della proprietà degli immobili, il loro rilascio previa rimozione di ogni opera illegittimamente posta in essere e la condanna degli attori al pagamento di un indennizzo per l’occupazione. Con sentenza non definitiva n. 3390/2000, il Tribunale di Genova rigettava la domanda degli attori, accoglieva la domanda riconvenzionale del Ministero e così dichiarava l’appartenenza allo Stato dei beni immobili, condannava gli attori al rilascio dei medesimi, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in prosieguo di giudizio. Il Tribunale di Genova, con sentenza definitiva n. 694/2008, rigettava la domanda riconvenzionale risarcitoria del Ministero. 2. La sentenza non definitiva è stata impugnata dai ricorrenti: la Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 135/2004, ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata l’impugnazione. Avverso la pronuncia è stato proposto ricorso in cassazione: la Corte, con sentenza n. 13625/2009, ha accolto il terzo e dichiarati assorbiti gli altri due motivi di ricorso, ha cassato il provvedimento impugnato e rinviato la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Genova. Riassunto il giudizio, questo è stato riunito all’impugnazione instaurata dal Ministero contro la sentenza definitiva n. 694/2008. La Corte d’appello di Genova – con la pronuncia 24 maggio 2013, n. 693 – ha deciso i due procedimenti: ha respinto l’appello degli originari attori confermando l’appartenenza dei beni al patrimonio dello Stato, ha respinto anche l’appello del Ministero ritenendo che la domanda risarcitoria debba essere rigettata. 3. Contro la sentenza ricorrono in cassazione W.C.S., S.R.F., M.E.P. e P.O.D.. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del demanio resistono con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Gli abitanti del Comune di Sanremo, intimati quali eredi o aventi causa degli abitanti dell’ex Comune di *****, non hanno proposto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale – il cui vizio di notificazione, segnalato da controparte, è da ritenersi sanato a seguito della costituzione del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia del demanio – è articolato in tre motivi. a) Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c., per non avere la Corte del merito di Genova ottemperato al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione”. Il motivo è infondato. La Corte di cassazione, nella pronuncia n. 13625/2009 che ha accolto il terzo motivo del ricorso allora fatto valere dai ricorrenti, ha richiamato l’orientamento consolidato secondo cui in tema di possesso per usucapione non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dall’art. 2943 c.c. e ha enunciato il seguente principio: “non potendo riconoscersi efficacia interruttiva del possesso se non ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente, deve escludersi in radice tale efficacia interruttiva ad altri atti come la diffida o la messa in mora o a quelli valorizzati dalla sentenza impugnata, a nulla rilevando in senso contrario che essi provengano da una p.a.”, precisando che “in sede di rinvio occorrerà procedere a un nuovo esame (dell’acquisto del diritto di proprietà sui beni per usucapione) alla luce del principio di diritto ora enunciato”. Correttamente il giudice di rinvio, premesso che – in base al principio enunciato dalla Corte di cassazione – non può riconoscersi efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli indicati dall’art. 2943 c.c., come invece aveva fatto la Corte territoriale, ha ritenuto di dover “vagliare l’esistenza degli elementi necessari a far ritenere compiuta l’usucapione in capo agli occupanti degli immobili questione”, profili che non sono stati scrutinati dalla pronuncia della Corte di cassazione. b) Il secondo motivo contesta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5". Il motivo è inammissibile: esso si sostanzia non nella contestazione del mancato esame di un fatto, ma piuttosto della valutazione operata dalla Corte d’appello dei documenti prodotti e delle dichiarazioni testimoniali raccolte, valutazione che ha portato il giudice del merito – cui spetta il compito di valutare il materiale probatorio secondo il suo prudente apprezzamento – a concludere per l'”insufficienza delle prove acquisite a suffragare la sussistenza del possesso ultraventennale in capo agli attori relativamente a ciascuno dei beni immobili descritti negli atti introduttivi del giudizio”. c) Il terzo motivo fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione della legge regolatrice del processo per inosservanza da parte della Corte di merito dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 118 c.p.c.”: il giudice di rinvio avrebbe “omesso di comparare tutte le prove documentali prodotte alla luce del disposto della sentenza di rinvio della Suprema Corte”. Il motivo è inammissibile. Esso ripropone, sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo di motivazione – obbligo che è stato adempiuto dalla Corte d’appello (cfr. pp. 13-16 della sentenza impugnata) – la doglianza, fatta valere con il secondo motivo, circa la valutazione del materiale probatorio posta in essere dal giudice di rinvio. Il ricorso principale va pertanto rigettato. 2. Il ricorso incidentale si articola in due motivi, tra loro strettamente connessi. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e segg., nonchè dei principi afferenti l’onere della prova: le affermazioni della Corte d’appello circa l’impossibilità di determinare il danno, come richiesto dallo Stato, sulla base del canone locatizio che poteva essere ricavato dai beni in oggetto, violerebbero “i principi quieti affermati da questa Corte in ordine alla configurazione di un danno in re ipsa nel caso di occupazione sine titulo”. Il secondo motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un punto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti: la Corte d’appello, “appiattendosi” sulla decisione di primo grado, ha omesso di motivare circa l’entità del canone, determinato dal consulente tecnico d’ufficio “in maniera del tutto irrisoria e sicuramente coerente con la configurazione iniziale dei beni abusivamente occupati come ruderi”. I motivi non possono essere accolti. E’ vero che, secondo il principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte, in caso di occupazione illegittima di un immobile, “l’esistenza di un danno in re ipsa discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla sua natura normalmente fruttifera, e costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum, onde la relativa liquidazione può ben essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo, qual è il valore locativo del bene usurpato” (così, da ultimo, Cass. 16670/2016). Ma, appunto, l’esistenza del danno è oggetto di una presunzione “che poggia sul presupposto dell’utilità normalmente conseguibile dal proprietario nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto dominicale. Ne consegue, in particolare, che la presunzione in parola non può operare allorchè risulti positivamente accertato che il proprietario si sia intenzionalmente disinteressato dell’immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione, non potendosi, in tal caso, ragionevolmente ipotizzare la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dal mancato godimento del bene per effetto dell’illecito comportamento altrui” (Cass. 14222/2012, più di recente Cass. 20823/2015). Nel caso concreto, ove a seguito del terremoto, gli immobili in oggetto, ridotti a ruderi, sono rimasti inutilizzati per quasi un secolo, la presunzione del danno in re ipsa non può operare, nè può quindi valere, come argomentatamente afferma la Corte d’appello (p. 17 della sentenza impugnata), il criterio del valore locativo del bene usurpato, utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio nella sua relazione (il denunciato omesso esame di un fatto decisivo non è quindi ravvisabile, avendo il giudice di rinvio esaminato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ma non avendole condivise). Il ricorso incidentale va quindi rigettato. 3. Considerata la reciproca soccombenza dei ricorrenti, le spese vengono compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensa le spese del giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda Sezione Civile, il 14 marzo 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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