Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27648 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. SCALISI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 789-2015 proposto da:

C.F.P., nella qualità di procuratore generale del marito G.A., rappresentata e difesa dall’avvocato ELVIRA MACHI’;

– ricorrente-

contro

B.F., L.B.A., L.B.F.P., U.G., U.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1560/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 17/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dr. SCALISI ANTONINO;

lette le considerazioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

B.F. con atto di citazione, notificato il 12 novembre 2002, conveniva in giudizio il sig. G.A., esponendo di essere proprietario dei 2/6 del fondo rustico, sito in *****, individuato a catasto dei terreni alla partita *****, foglio *****, particella *****. L’attore precisava che la proprietà della predetta quota gli derivava per un 1/6, per averla usucapita, giusto possesso ultraventennale, sia proprio e sia dei propri genitori, ed in forza del decreto pretorile del 2 aprile 1990 per l’altro sesto per averla usucapita con il possesso pacifico, ininterrotto e pubblico della de cuius B.G., la quale lo aveva designato erede universale ed, inoltre, giusto decreto pretorile del 1990. Chiedeva la condanna del convenuto, ai sensi dell’ art 948 c.c., oltre il risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio G.A. a mezzo della sua procuratrice generale C.F.P., deducendo l’inefficacia del decreto pretorile del 2 aprile 1990 quale titolo inidoneo a fondare l’accoglimento delle domande proposte dal B. ed, in ogni caso, osservava che detto decreto era frutto di testimonianze compiacenti e, comunque, emesso in assenza dei presupposti richiesti dalla legge, perchè non notificato a tutti i titolari del diritto di proprietà sull’immobile. Il G. osservava, altresì, di avere posseduto il fondo per cui è C.F.P. – B.F. e altri causa per oltre vent’anni a partire dal 1963 di averlo, pertanto, usucapito. Deduceva, inoltre, che il decreto pretorile, ottenuto anche dalla propria madre, non aveva alcun riflesso sulla propria sfera giuridica, essendo possessore con animus domini e iure proprio ed, in conseguenza, proprietario nei confronti di chiunque, anche della di lui madre.

Prima della trattazione della causa, intervenivano in giudizio L.B.A., L.B.F.P., U.A. ed U.G. per spiegare domanda di rivendica di altri 2/6 del fondo e per chiedere il risarcimento dei danni per il mancato utilizzo dello stesso.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 2882/07 del 29/06/2007, accoglieva l’azione di rivendica dell’attore e degli intervenienti e dichiarava B.F., L.B.A. L.B.F.P., U.A. ed U.G. proprietari delle quote rispettivamente richieste con atto di citazione e comparsa di intervento.

Avverso tale sentenza proponeva appello C.F.P., chiedendo la riforma integrale della sentenza impugnata e ribadendo quanto già eccepito in primo grado.

Si costituiva in giudizio B., proponendo appello incidentale e si costituivano, altresì, le sig.re L.B.A. L.B.F.P., ed U.G., le quali chiedevano la conferma della sentenza impugnata ed aderivano all’appello incidentale proposto dal B..

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1560 del 2013, rigettava l’appello principale ed accoglieva parzialmente l’appello incidentale, ed in riforma della sentenza appellata, condannava C.F.P. n.q. a restituire a B.F. i 2/6 del fondo per cui è causa; condannava C.F.P. n.q. al pagamento delle spese del giudizio in favore degli appellati. Secondo la Corte di Appello di Palermo, l’acquisto delle quote del fondo da parte degli appellati attribuiti dal primo giudice risultava dai titoli di acquisto prodotti, rimanendo l’accertamento contenuto in altro giudizio, tra diverse parti, relativo all’acquisto del 50% del fondo da parte di tali C.G. e C.R..

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.F.P. n.q. con ricorso affidato a tre motivi. B.F. L.B.A. L.B.F.P. e U.G. in questa fase non hanno svolto attività giudiziale.

RAGIONI DELLA DECISIONE.

1. Con il primo motivo C.F.P. n.q. lamenta (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e falsa applicazione della L. 10 maggio 1976, n. 346, art. 3. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ritiene che “la documentazione in atti non comprova la sussistenza di alcun vizio procedimentale, non rilevandosi, in particolare, in base a quali considerazioni non possa ritenersi assolto dalle parti istanti l’onere della notifica del ricorso, per il riconoscimento della proprietà, ai titolari del bene immobile oggetto del ricorso, tali M.S., M.E., M.C., M.R. e M.G., tutti residenti negli U.S.A., che, con atto in data 23 marzo 1971, in notar C.D., hanno nominato procuratore speciale C.M., al quale è stata notificata – come si rileva dal decreto pretorile – copia del ricorso di riconoscimento della proprietà e successivi atti (…)”, perchè non avrebbe tenuto conto che il decreto pretorile 2/4/1990 era, senz’altro nullo in quanto non sarebbe stata notificata l’istanza di riconoscimento ai sig.ri M., così come stabilito dal Pretore con ordinanza del 16.03.1984.

1.1. Il motivo è infondato perchè si risolve nella richiesta di una nuova valutazione dei dati processuali, non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione della Corte distrettuale non solo è puntuale e non presenta vizi di alcun genere, nè logico nè giuridico. L’affermazione della ricorrente secondo cui il decreto pretorile del 2 aprile 1990 sarebbe nullo perchè non sarebbe stata notificata l’istanza di riconoscimento ai sigg. M., non supera il limite di un’opinione soggettiva, senza alcun riscontro concreto, considerato che la Corte distrettuale ha avuto modo di affermare che i titolari sul bene immobile oggetto del ricorso (tali i sigg. M.) “(…) con atto in data 23 marzo 1971, in notar C.D., hanno nominato procuratore speciale C.M., al quale è stata notificata – come si rileva dal decreto pretorile – copia del ricorso di riconoscimento della proprietà e successivi atti (…)”. Piuttosto, e/o comunque, il preteso errore denunciato, tutt’al più potrebbe integrare un’ipotesi di errore revocatorio, dovendosi ritenere che l’errore di fatto revocatorio, ex art. 395 c.p.c., n. 4 consiste nel c.d. “abbaglio dei sensi” e, cioè, nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduce a ritenere inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa, ovvero, in un errore di fatto quale divergenza tra la realtà processuale e ciò che risulta espressamente dalla sentenza. Epperò, l’errore di cui si dice andava denunciato mediante impugnazione per revocazione non mediante ricorso per la cassazione della sentenza.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione artt. 948,2697,1158 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.. Secondo la ricorrente, l’azione di rivendica proposta dagli odierni ricorrenti non avrebbe potuto esser accolta, posto che il decreto pretorile (oltre che, erroneamente, ritenuto valido) non era idoneo ad assolvere l’onero probatorio richiesto dall’azione di rivendica, a fondare l’accoglimento della domanda dia rivendica. Infatti, il decreto emesso dal Pretore, ai sensi della L. n. 346 del 1976, in tema di usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, pur costituendo titolo per la trascrizione, non avrebbe natura di sentenza e non acquisterebbe autorità ed efficacia di cosa giudicata.

E di più, avendo l’attuale ricorrente eccepito di avere il possesso solo di metà del fondo incombeva agli attuali resistenti di fornire la prova del possesso esclusivo sull’intero fondo con la conseguenza che in difetto di tale prova la Corte distrettuale avrebbe dovuto rigettare la domanda quantomeno limitatamente alla quota di 1/6. E, comunque, la Corte distrettuale non avrebbe esaminato correttamente la documentazione prodotta, dalla quale emergeva che, il terreno per cui è causa, era stato posseduto dal 1963 da G.A. e che, al tempo del decreto, il G.A. era già divenuto proprietario e, pertanto, avrebbe dovuto accogliere l’eccezione riconvenzionale di usucapione.

2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Va qui confermato, quanto è già stato detto da questa Corte in altra occasione (Cass. n. 11394 del 2011) che il decreto emesso dal Pretore, ai sensi della L. 14 novembre 1962, n. 1610, in tema di cosiddetta usucapione abbreviata, pur costituendo titolo per la trascrizione e per usufruire delle agevolazioni creditizie e fiscali previste dalla legge, non ha natura di sentenza e non acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata. Pertanto, da un lato, coloro che da esso ricevono pregiudizio possono proporre opposizione, su cui il pretore decide con sentenza e, qualora siano rimasti estranei al procedimento, possono agire autonomamente per l’accertamento dei loro diritti reali; dall’altro lato, il decreto, ove il soggetto che lo ha ottenuto agisca in rivendicazione, può concorrere, insieme ad altri elementi, a fornire la prova incombente sul rivendicante (Cass. 11394 del 2011). Ora, nel caso in esame, appare dirimente il fatto che nel giudizio di assegnazione del bene risulta presente (in giudizio), la madre del G.A. e, pertanto, l’accertamento contenuto in quel decreto si è svolto nel contraddittorio delle parti e, soprattutto, quel decreto è stato emesso sulla base della rappresentazione fornita al Giudice per l’ottenimento del decreto di cui della L. n. 346 del 10 maggio 1976, art. 3, anche da parte della B.M. madre del G.A.. Come ha avuto modo di affermare il Tribunale di Palermo (sent. n. 2882 del 2007) “(….), del tutto prive di rilevanza si appalesano, invero, le difese spiegate dal G.A.. Esse infatti trascurano tutte di considerare che, secondo quanto è pacifico inter partes, il convenuto è figlio ed erede di B.M. e che il decreto sopra indicato è stato reso all’esito di un procedimento di cui era parte pure quest’ultima (…)” sicchè “(….) una volta accertato, perchè non contestato, che il bambino è erede di B.M., non può che ribadirsi la piena efficacia dell’accertamento contenuto nel decreto de quo anche nei confronti del G.A..

2.2. Inammissibile è la censura relativa al possesso del fondo che, secondo il ricorrente, G.A. avrebbe eccepito fin dall’atto di risposta, che il fondo per cui controparte agiva era posseduto dallo stesso, per metà, perchè non risultando tale eccezione dalla sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe dovuto indicare quando e con quale atto, tale eccezione fosse stata riproposta in sede di appello e, comunque, se avesse provato di possedere il fondo di cui si dice solo nella misura del 50%. Senza dire che, comunque, anche il parziale possesso del bene rivendicato, è sufficiente a legittimare l’azione di rivendica che, se accolta, comportava la restituzione di quella parte del bene illegittimamente posseduta. Piuttosto, la Corte distrettuale ha avuto modo di specificare che: a) “(…) comunque, l’appellante non ha, in alcun modo, provato di avere usucapito il bene per cui è causa, mediante idoneo possesso (art. 1158 e ss. c.c.) e che il suo acquisto prevale sull’accertamento contenuto nel decreto pretorile (…..)”; b) che la restituzione era stata disposta, in conseguenza dell’accoglimento della domanda di rivendica, limitatamente alla quota di 2/6 richiesta dall’attore con l’atto introduttivo del giudizio, perchè non poteva provvedere alla restituzione delle altre quote derivanti dai successivi acquisti effettuati del B., in quanto domande nuove e, dunque, inammissibili, ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,). Secondo la ricorrente, avrebbe errato la Corte distrettuale nel condannare il ricorrente alle spese lite, violando, tale decisione, il disposto dell’art. 91 c.p.c., che vuole che le spese del giudizio seguano la soccombenza.

3.1. Il motivo è inammissibile per genericità perchè il ricorrente si limita a ritenere che la decisione impugnata viola il disposto di cui all’art. 91 c.c., senza dar conto delle ragioni per le quali quella disposizione risulterebbe lesiva della normativa di cui all’art. 91 c.c.p.. Piuttosto, correttamente la Corte distrettuale ha condannato la parte appellata al pagamento delle spese di lite per una prevalente soccombenza e tale rilievo non risulta censurato.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio, dato che gli intimati in questa sede, non hanno svolto attività giudiziale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dell’ art. 13 comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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