Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27706 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14661/2016 proposto da:

FALLIMENTO ***** S.P.A., C.F. *****, in persona del curatore fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA n. 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

C011ttO BANCA MONTE PASCHI SIENA S.P.A., C.F./P.I. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CONFALONIERI n.5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato GIUSEPPE TRABUCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1968/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI.

La Corte:

FATTO E DIRITTO

rilevato che la curatela del FALLIMENTO ***** S.P.A. ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame da essa proposto avverso la sentenza di rigetto della sua domanda di declaratoria di inefficacia, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, delle rimesse avvenute nel periodo sospetto su due conti correnti intrattenuti dalla società fallita con la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.;

che BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., incorporante la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., e della L. Fall., art. 67, comma 2, lamentando che la Corte di merito avrebbe ritenuto che fosse necessario provare la diretta conoscenza dello stato di insolvenza e che non fosse possibile fornire la prova stessa a mezzo di presunzioni, ed in ogni caso avrebbe omesso di compiere una approfondita valutazione della idoneità degli elementi acquisiti a provare la pretesa dedotta in giudizio;

che il secondo motivo denuncia “Vizio di motivazione, artt. 2727 e 2729 c.c., L. Fall., art. 67, comma 2, ex art. 360 c.p.c., n. 5”, deducendo che il giudice di appello avrebbe valutato gli elementi probatori forniti in maniera atomistica, laddove dalla loro complessiva – e non meramente riduttiva – valutazione sarebbe emersa la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca;

che la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, di cui chiede comunque il rigetto nel merito;

ritenuto che il primo motivo di ricorso è infondato atteso che, contrariamente a quanto argomentato, la corte territoriale ha esattamente premesso alla sua analisi i corretti presupposti ermeneutici della fattispecie, osservando (cfr. pag. 1, in fondo) come la conoscenza dello stato di insolvenza debba essere effettiva e tale effettività possa essere dimostrata anche per presunzioni; che per il resto il motivo va dichiarato inammissibile in quanto si sostanzia in una richiesta a questa Corte di sovrapporre il proprio giudizio a quello dei giudici di merito sulla idoneità degli elementi di fatto forniti a provare il requisito soggettivo della proposta revocatoria, che non è operazione consentita in questa fase di legittimità;

che il secondo motivo di ricorso è del pari inammissibile atteso che all’esame puntuale ed esaustivo compiuto dalla Corte di merito circa gli elementi di fatto offerti dalla Curatela quest’ultima si limita ad opporre una generica doglianza relativa ad un preteso carattere riduttivo del giudizio compiuto sui medesimi elementi, senza peraltro farsi carico di censurare specificamente le (molteplici) ragioni esposte in sentenza a sostegno del giudizio stesso;

che si impone dunque il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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