Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27910 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21797/2014 proposto da:

A.N., anche nella qualità di titolare e legale rappresentante dello Studio A. & Associati, rappresentata e difesa dall’Avvocato VINCENZO LUBELLI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Roberto Masiani in ROMA, PIAZZA ADRIANA 5;

– ricorrente –

contro

COMUNE di CONVERSANO, in persona del Sindaco pro tempore Avv. L.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato FRANCESCO LOGRIECO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Gian Franco d’Onofrio in ROMA, PIAZZA A. MANCINI 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1062/14 della CORTE DI APPELLO di BARI, pubblicata il 28/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/05/2018 dal Consigliere UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

L’avv. A.N. promuoveva procedimento monitorio per l’attività professionale svolta in favore del COMUNE di CONVERSANO (consulenza legale per la costituzione di società di capitali, a prevalente finanziamento pubblico locale, per la gestione di servizi pubblici).

Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Rutigliano, emetteva decreto ingiuntivo n. 131/2002 in data 20.6.2002, contenente l’intimazione a pagare a favore della istante la somma di Euro 56.868,10, oltre interessi e accessori.

Avverso detto decreto ingiuntivo proponeva opposizione il Comune di Conversano, il quale deduceva il difetto di legittimazione ad agire dell’avv. A., in quanto l’incarico era stato conferito allo studio A. & Associati; nel merito, l’ente asseriva la preventiva determinazione consensuale del compenso spettante, richiedendo, in via subordinata, il calcolo del compenso mediante applicazione degli onorari minimi.

Si costituiva in giudizio l’avv. A. contestando l’atto di opposizione e chiedendone il rigetto.

Istruita la causa con prove testimoniali e CTU, con sentenza n. 101/2009, depositata l’8.4.2009, il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Rutigliano, rigettava l’opposizione proposta dal Comune di Conversano e confermava il detto decreto ingiuntivo opposto.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Conversano per i motivi già proposti in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, relativi al difetto di legittimazione attiva dell’avv. A., nonchè alla predeterminazione convenzionale del compenso, rilevando l’ulteriore motivo di nullità della delibera della Giunta Comunale n. 164/1998 di conferimento dell’incarico per mancanza dell’impegno di spesa, valevole ad inficiare anche il successivo contratto di prestazioni professionali dell’11.6.1998, oltre alla nullità della delibera della Giunta Comunale n. 436/1999.

Si costituiva in giudizio l’avv. A., contestando ogni censura e chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello di Bari, con ordinanza, rigettava l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza, per cui l’ente provvedeva successivamente al pagamento della somma dovuta pari ad Euro 83.072,27.

Con sentenza n. 1062/2014, depositata il 28.6.2014, la Corte d’Appello di Bari revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’avv. A. a restituire al Comune di Conversano, con gli interessi legali dal pagamento al saldo, l’importo dallo stesso pagato, oltre alle spese di lite del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’avv. A. sulla base di due motivi; cui resiste il Comune di Conversano con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 1990, art. 53, comma 1, e art. 55, comma 5; dell’art. 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la Corte d’appello, nell’accogliere il gravame, si è limitata ad affermare (con riguardo alla Deliberazione della G.M. n. 164/1998, che affidava la prestazione di consulenza professionale de qua all’avv. A., con la contestuale approvazione di specifica convenzione volta a regolamentare il rapporto di collaborazione di alta specializzazione, riservando all’adozione di una successiva “determinazione” l’assunzione dell’impegno di spesa) la nullità della stessa e del contratto a seguito di essa intervenuto, giacchè, da un lato, non vi era stata una delibera che comportasse un impegno di spesa, “e, dall’altro lato, non vi (era) stata, successivamente ad essa, nè la trasmissione al responsabile del servizio finanziario nè l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria”; da ciò la nullità della Deliberazione. La ricorrente lamenta, altresì, che la Corte di merito non abbia considerato anche la successiva delibera della Giunta comunale n. 436 del 23.12.1999 che aveva sostituito la precedente deliberazione, ritenendo altrettanto erroneamente che, con tale secondo provvedimento di Giunta, questa non avesse conferito un nuovo incarico, inglobando il precedente, ma avesse esteso detto incarico affetto da nullità (sentenza impugnata pag. 4).

1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", in quanto, con riferimento alla seconda deliberazione n. 436/1999, il Giudice d’Appello ha ritenuto che con essa la Giunta non intendesse conferire un nuovo incarico che inglobava il precedente, bensì estendere l’incarico in precedenza affidato, che era comunque affetto fa nullità; ed ha evidenziato, altresì, come a tale delibera non avesse fatto seguito un contratto in forma scritta, di modo che, ove si fosse riconosciuto alla delibera carattere novativo, si sarebbe comunque in presenza di un incarico professionale affidato senza l’osservanza della forma scritta, imposta dal legislatore a pena di nullità. Sottolinea, viceversa, la ricorrente che nella deliberazione n. 436/1999 veniva specificato che l’incarico assorbiva e teneva luogo di quello precedente conferito con delibera n. 164/1998 e che era prevista come spesa la somma di Lire 13.000.000, da versare quale acconto sull’importo presunto di cui alla delibera 164/1998.

2. – Data la stretta connessione logico giuridica dei due motivi di ricorso gli stessi vanno decisi congiuntamente.

2.1. – La Corte d’appello di Bari ha fondato la propria decisione di revoca del decreto ingiuntivo opposto, emesso dal Tribunale di Bari in data 20.6.2002 su due rationes decidendi, ciascuna autonomamente idonea a sorreggere la pronuncia.

L’una riferita alla nullità della Deliberazione della Giunta Comunale di Conversano n. 164 del 20.5.1998 (di affidamento delle prestazioni di consulenza professionale de quibus) per i motivi riportati sub 1.1., conseguentemente ritenendo la nullità del successivo contratto di prestazioni professionali dell’11.6.1998, oltre alla nullità della delibera della Giunta Comunale n. 436 del 23.12.1999, cui non aveva fatto seguito la stipulazione di un contratto in forma scritta.

L’altra (sub 1.2.) riguardante la nullità di un incarico professionale affidato senza l’osservanza della forma scritta, imposta dal legislatore.

3. – Muovendo dalla seconda ratio decidendi, questo Collegio rileva come, del tutto correttamente, la Corte distrettuale abbia ritenuto, con riferimento alla deliberazione n. 436/1999, che la Giunta non intendesse conferire con essa un nuovo incarico che inglobava il precedente, bensì estendere l’incarico in precedenza affidato, già comunque affetto da nullità; evidenziando, altresì, come a tale delibera non avesse fatto seguito un contratto in forma scritta; di modo che, anche ove si fosse riconosciuto a tale delibera carattere novativo, si sarebbe comunque stati in presenza di un incarico professionale affidato senza l’osservanza della forma scritta, imposta dal legislatore a pena di nullità.

3.1. – Tale affermazione risulta in linea con i consolidati principi giurisprudenziali, secondo i quali, in tema di contratti della P.A., il contratto d’opera professionale deve essere stipulato in forma scritta, a pena di nullità, dall’organo rappresentativo dell’ente (Cass. n. 1167 del 2013). Infatti, il contratto d’opera professionale con la P.A., ancorchè quest’ultima agisca iure privatorum, deve rivestire, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex artt. 16 e 17, la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, ed agevola l’espletamento della funzione di controllo; esso, pertanto, deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo, altresì, escludersene la possibilità di conclusione tramite corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente. (Cass. n. 24679 del 2013; cfr. anche Cass. n. 21477 del 2013).

3.2. – Nè valgono le considerazioni, svolte dalla ricorrente in ordine al fatto che, nella specie, la Giunta Comunale, avendo urgenza di acquisire i dati richiesti vista l’imminenza delle festività natalizie, disponeva espressamente di attribuire valore negoziale alla deliberazione a seguito di sottoscrizione della stessa da parte dello studio incaricato.

Questa Corte ha, infatti, chiarito che non è sufficiente che il professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, poichè questa, anche se sottoscritta dall’organo rappresentativo medesimo, resta un atto interno, che l’ente può revocare ad nutum (Cass. n. 1167 del 2013). L’osservanza della forma scritta richiede, infatti, la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti (quali, ad esempio, come nella specie, la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico) ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accettazione da parte del medesimo professionista. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poichè gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti (Cass. n. 22501 del 2006; nello stesso senso, Cass. n. 15488 del 2001).

4. – Al rigetto del secondo motivo segue la inammissibilità, per difetto di interesse, del primo.

4.1. – Costituisce principio consolidato, che nella specie deve trovare ulteriore conferma trattandosi di identica situazione, quello secondo cui, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione. E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (Cass. n. 23931 del 2007). Infatti, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (Cass. sez. un. n. 7931 del 2013; cfr., ex plurimis, Cass. 22753 del 2011; Cass. n. 4293 del 2016; Cass. 9752 del 2017; nello stesso senso, di recente, Cass. n. 11493 del 2018, per la quale la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa; v. anche Cass. n. 2108 del 2012).

5. – Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese di lite al controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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