Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27918 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4720/2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO TREDICINE e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE n. 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO TUCCILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8105/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 13/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso, previa revoca dell’ammissione del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio.

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Napoli, decidendo in grado di appello in riforma di sentenza del locale Giudice di Pace, respingeva la domanda proposta dal perito assicurativo Q.B. nei confronti della compagnia Fondiaria Sai Assicurazioni (oggi UNIPOLSAI Assicurazioni spa), per ottenere il pagamento di un maggiore compenso relativo a un incarico esperito per conto della predetta società.

Il Tribunale disattendeva innanzitutto la censura relativa alla mancata riunione dei numerosi giudizi instaurati dall’attore, ritenendo che la questione non potesse integrare motivo di impugnazione. Riteneva poi che sussistesse nella fattispecie un abusivo frazionamento del credito, posto che la pretesa del Q. era fondata su un unico rapporto di collaborazione professionale, protrattosi con la compagnia per circa dieci anni ed articolato in migliaia di incarichi peritali. Evidenziava in proposito che il Q. non aveva dedotto alcun interesse meritevole di tutela alla disarticolazione della sua pretesa economica in una pluralità di azioni giudiziarie tutte sostanzialmente analoghe e che, di conseguenza, si potesse configurare un abusivo frazionamento del credito e una condotta processuale del Q. contraria alla buona fede (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Inoltre, il giudice di appello riteneva la scelta processuale del Q. in contrasto con i principi del giusto processo anche a prescindere dalla sussistenza dell’abusivo frazionamento del credito, posto che l’identità della questione oggetto delle numerosissime iniziative giudiziarie autonome incardinate dal ricorrente costituiva un abuso dello strumento processuale.

In ogni caso, il Tribunale riteneva infondata la pretesa del Q. in quanto, in continuità con la sentenza dello stesso ufficio n. 3901/16, tra il predetto e la compagnia assicurativa si era concluso un contratto per facta concludentia, nella cui esecuzione l’odierno ricorrente si era adeguato alle modalità previste per il pagamento delle sue spettanze, utilizzando il particolare sistema informatico di fatturazione predisposto dalla compagnia – che accettava le parcelle solo se conformi ai criteri amministrativi elaborati dalla compagnia stessa – senza mai sollevare eccezioni sino al momento dell’interruzione del rapporto, dimostrando in tal modo di aver sostanzialmente accettato i termini del rapporto sulla remunerazione delle sue prestazioni.

Ricorre per la cassazione della predetta sentenza il Q., affidandosi a sei motivi ed invocando la trattazione del ricorso in pubblica udienza innanzi le Sezioni Unite. Il ricorrente ha depositato un’ulteriore istanza per la remissione del ricorso alle Sezioni Unite, sulla quale il Primo Presidente di questa Corte ha provveduto in data 7.6.2018, rimettendo ogni valutazione al collegio della seconda sezione civile.

Resiste con controricorso la società UNIPOL SAI Assicurazioni spa.

Il Sost. P.G., Dott. Alessandro Pepe, ha concluso per il rigetto del ricorso e la revoca dell’ammissione del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio.

Il ricorrente ha depositato memoria, con la quale invoca la riunione dei diversi giudizi pendenti innanzi questa Corte ed il rinvio del ricorso alla pubblica udienza, eccependo altresì l’inammissibilità del controricorso per asserito contrasto con l’orientamento di questa Corte in relazione alla natura non unitaria del credito e la mancata concessione, da parte del giudice di appello, del termine alle parti per controdedurre sulla mancanza di interesse concreto del Q. alla parcellizzazione delle iniziative giudiziarie, in violazione di quanto previsto dall’art. 101 c.p.c., comma 2.

La controricorrente ha depositato a sua volta memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente va respinta l’istanza di trattazione della questione innanzi le Sezioni Unite, in quanto – come indicato dal Primo Presidente di questa Corte nel provvedimento del 7.6.2018 richiamato in narrativa – le predette Sezioni Unite si son già pronunciate sul tema del frazionamento del credito con le sentenze 15.11.2007 n. 23726 e 16.2.2017 n. 4090. Neanche si ravvisa alcun contrasto tra giudicati di differenti sezioni, nè una questione di massima di particolare importanza, con conseguente inapplicabilità dell’art. 374 c.p.c., comma 2. Invero, come si dirà più diffusamente infra, le tre sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di codesta Corte sono state emesse prima della già richiamata sentenza n. 4090/2017 delle Sezioni Unite, al cui dictum la successiva giurisprudenza di questa Sezione si è uniformata.

Va del pari respinta l’istanza di trattazione del ricorso in pubblica udienza, posto che esso – proprio alla luce del recente intervento delle Sezioni Unite – non presenta profili nomofilattici e considerato che questa Sezione ha già affrontato in numerose precedenti pronunce, quasi tutte adottate con la forma dell’ordinanza all’esito della trattazione in camera di consiglio, le medesime tematiche introdotte dai motivi oggi dedotti dal ricorrente.

Va altresì respinta la riunione dei vari giudizi chiamati all’odierna udienza, posto che – pur nell’evidente identità della questione – si tratta di ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione di sentenze diverse, relative ad incarichi diversi, pur se riferibili ad un unico rapporto di durata corrente tra le parti.

Infine, va dichiarata l’inammissibilità dei documenti allegati al ricorso, in quanto essi non sono relativi alla nullità della sentenza impugnata nè all’ammissibilità del ricorso, ma piuttosto attengono al merito del rapporto dedotto in giudizio.

2) Passando ai motivi del ricorso, si osserva che con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il giudice di appello, nel richiamare la sentenza di questa Corte n. 3093/1999, avrebbe omesso di considerare la successiva sentenza della stessa Corte n. 22631/2011, secondo cui l’istituto della riunione dei giudizi connessi, in quanto finalizzato alla garanzia dell’economia processuale, si applica anche in sede di legittimità.

La censura è inammissibile per difetto di interesse e mancanza di specificità. Il ricorrente infatti non aveva proposto la questione nelle fasi di merito, posto che era stata UNIPOLSAI a dedurre il presunto vizio come primo motivo di appello. Nè il ricorso chiarisce in quale atto e momento processuale il Q. avrebbe a sua volta sollevato l’eccezione concernente la mancata riunione dei vari giudizi.

3) Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 111 Cost., in quanto il frazionamento del credito si potrebbe configurare soltanto quando, in presenza di un’unica causa petendi, il creditore frazioni irragionevolmente il petitum, violando in tal modo i canoni di buona fede e correttezza e realizzando un abuso dello strumento processuale, ma non anche quando, come nel caso di specie, il creditore agisca separatamente in ragione di diversi e autonomi incarichi ottenuti dalla stessa compagnia assicurativa.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 172, art. 19 quaterdecies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il Tribunale avrebbe dovuto ravvisare la natura vessatoria delle clausole che determinano il compenso del professionista in modo non equo e non tenendo conto della natura, qualità e quantità della prestazione, e conseguentemente ritenerle nulle, determinando il compenso dovuto al ricorrente in relazione alla qualità e quantità del lavoro svolto.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il Q. avesse accettato per facta concludentia un compenso inferiore alle tariffe professionali, posto che lo stesso non aveva affatto percepito per ciascun incarico l’importo fisso di Euro 40, ma piuttosto importi variabili, come dimostrato dalla documentazione prodotta per la prima volta in uno al ricorso in Cassazione.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del giudicato implicito derivante dalle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di questa Corte, posta l’identità tra la questione trattata in quei contesti e quella oggetto del presente giudizio.

Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione dei principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite con le pronunce n. 23726/2007 e n. 4090/2017, in quanto il Tribunale avrebbe errato nel non considerare che la parcellizzazione del credito è ammessa da questa Corte ogni volta che essa corrisponda ad un apprezzabile interesse del creditore, anche in relazione a crediti nascenti da un unico rapporto di durata o a rapporti complessi. Inoltre, il Tribunale non avrebbe potuto comunque respingere la domanda di pagamento proposta dal Q., ma avrebbe dovuto determinare il compenso professionale a costui spettante con ricorso al criterio equitativo, tenendo conto del principio di proporzionalità tra corrispettivo e natura, quantità e qualità delle prestazioni eseguite, nonchè dell’utilità effettivamente conseguita dalla committente.

Nella memoria ex art. 382 c.p.c., il ricorrente eccepisce anche il fatto che, poichè la compagnia non aveva specificamente contestato l’assenza dell’interesse del creditore al frazionamento, il giudice di merito avrebbe dovuto, una volta rilevata la questione ex officio, assegnare alle parti un termine per memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2, prima di decidere sul punto.

Tutte le doglianze sopra elencate possono essere esaminate congiuntamente, vista la loro intima connessione, e vanno rigettate.

Ed invero la decisione impugnata ha respinto la domanda del Q. sulla base di una duplice ratio.

Da un lato, il Tribunale ha ravvisato un abusivo frazionamento del credito, poichè la pretesa del ricorrente era fondata su un unico rapporto di collaborazione professionale, protrattosi con la compagnia per circa dieci anni ed articolato in numerosissimi incarichi peritali. Sul punto, il giudice di merito ha evidenziato che il Q. non aveva dedotto alcun interesse meritevole di tutela alla disarticolazione della sua pretesa economica in una pluralità di azioni giudiziarie tutte sostanzialmente analoghe ed ha quindi configurato una condotta processuale contraria alla buona fede. Ha infine ritenuto che tale condotta contrastasse con i principi del giusto processo anche a prescindere dalla sussistenza dell’abusivo frazionamento del credito, posto che l’identità della questione oggetto delle varie iniziative giudiziarie incardinate dal ricorrente integrava un abuso dello strumento processuale.

Dall’altro lato, il Tribunale ha ritenuto comunque infondata la pretesa del Q. in quanto, in continuità con la sentenza dello stesso ufficio n. 3901/16, tra il predetto e la compagnia assicurativa si era concluso un contratto per (acta concludentia, nella cui esecuzione l’odierno ricorrente si era adeguato alle modalità previste per il pagamento delle sue spettanze, utilizzando il particolare sistema informatico di fatturazione predisposto dalla compagnia – che accettava le parcelle solo se conformi ai criteri amministrativi elaborati dalla compagnia stessa – senza mai sollevare eccezioni sino al momento dell’interruzione del rapporto, dimostrando in tal modo di aver sostanzialmente accettato i termini del rapporto sulla remunerazione delle sue prestazioni.

La prima ratio è solo parzialmente attinta dal secondo e sesto motivo di ricorso, posto che il Q. nulla ha dedotto circa la sussistenza di un interesse concreto al frazionamento della pretesa creditoria in una molteplicità di iniziative giudiziarie autonome.

La seconda ratio, invece, viene attinta dal ricorrente soltanto con il quarto motivo, attraverso il riferimento ai documenti prodotti in uno al ricorso, già dichiarati inammissibili perchè non relativi nè alla nullità della sentenza, nè all’ammissibilità del ricorso stesso.

Peraltro la censura si risolve in un’inammissibile richiesta di riesame del merito, preclusa in questa sede. Nè il ricorrente allega elementi utili a dimostrare l’effettiva esistenza di una incertezza relativa al quantum debeatur e a superare il richiamo operato dal Tribunale di Napoli alla sentenza n. 3901/2016 resa dallo stesso ufficio.

In ogni caso, la ricostruzione del rapporto operata dal Tribunale deve ritenersi corretta posto che, a fronte del rapporto pluriennale tra il Q. e la compagnia assicurativa, i distinti crediti maturati dal ricorrente sono inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo e appaiono fondati su un unico rapporto di durata, in relazione al quale il frazionamento del credito è ammesso soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Laddove manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4090 del 16/02/2017, Rv. 643111). Sulla scorta di tale principio, occorre verificare se nel caso di specie la mancanza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata abbia formato oggetto di precedente deduzione nel giudizio di merito: la risposta non può che essere positiva in considerazione della linea difensiva adottata dalla società convenuta, improntata principalmente sulla improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito. Tale concetto presuppone logicamente proprio la contestazione dell’esistenza di un interesse meritevole di tutela a tale modalità di esercizio del diritto di azione, anche in relazione al principio di proporzionalità nell’uso della giurisdizione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 26464 del 21/12/2016, Rv. 642250). Ne discende il rigetto del secondo, quarto e sesto motivo, nonchè dell’ulteriore censura concernente la mancata concessione del termine di cui all’art. 101 c.p.c..

Con riferimento invece al quinto motivo di ricorso, si osserva che l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite costituisce elemento sufficiente a giustificare la soluzione qui adottata, diversa da quella cui erano pervenute, tra le stesse parti, le sentenze di questa Corte, sezione 6 civile, nn. 18808, 18809 e 18810 del 2016, rese (peraltro) in fattispecie in cui il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’odierna resistente non aveva consentito, al contrario di quanto avvenuto nel presente giudizio, di identificare la riconducibilità delle diverse controversie, separatamente instaurate dall’odierno ricorrente, al medesimo ambito oggettivo, e dunque, in buona sostanza, in assenza di un apprezzabile interesse al frazionamento, l’esistenza di una pratica abusiva, in ordine alla quale in ogni caso i giudici di rinvio di quei giudizi dovranno svolgere le proprie valutazioni.

Del resto questa sezione, dopo l’intervento delle S.U. del 2017 poc’anzi richiamato, ha costantemente applicato il principio di diritto esposto dalla sentenza n. 4090/17 e non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale consolidato orientamento.

Infine, vanno ritenute non assistite dalla necessaria specificità le censure relative alla mancata determinazione del compenso con riferimento, rispettivamente, al criterio equitativo e alla proporzionalità tra corrispettivo e natura, quantità e qualità della prestazione, poichè il ricorrente non allega alcun elemento idoneo a dimostrare la deduzione di dette doglianze nei precedenti gradi di merito.

Nè può essere accolta la censura specificamente riferita alla violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 172, art. 19 quaterdecies, oggetto del terzo motivo di ricorso, in quanto – anche a voler ritenere astrattamente applicabile la norma sotto il profilo del cd. ius superveniens – il ricorrente non indica con sufficiente specificità in base a quali criteri dovrebbe in ipotesi essere determinato il cd. equo compenso, con conseguente carenza di specificità del motivo.

Da quanto precede consegue il rigetto del ricorso.

Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate siccome in dispositivo.

4) Con Delib. 5 settembre 2017, il ricorrente risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Pertanto, lo stesso non è tenuto, rigettata l’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (cfr. Cass. Sez. 6 n. 7368 del 22.3.2017, Rv. 643484; Cass. Sez. L. n. 18523 del 21.9.2014, Rv. 632638).

Il P.G. ha tuttavia chiesto a questa Corte di provvedere alla revoca dell’ammissione provvisoria al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

La richiesta va respinta, sul presupposto che l’ammissione è stata disposta dal C.O.A. di Napoli, per l’appunto in via provvisoria; spetterà quindi al Tribunale di Napoli, alla luce del rigetto del ricorso, provvedere all’eventuale revoca del beneficio inizialmente accordato al ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 645,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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