LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11724/2015 proposto da:
C.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Parrella Domenico, Parrella Luca, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Eredi M.G. s.r.l., già Generalfinanziaria di L.D.R.
& C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via San Tommaso d’Aquino n. 116, presso lo studio dell’avvocato Fiorentino Alfredo, rappresentata e difesa dall’avvocato Fiorentino Giovanni, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Hotel Carlton International di D.R. & C. s.n.c. in liquidazione, Findeco di D.R. & C. s.n.c., D.R.A., D.R.B.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 804/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 16/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO ALBERTO che per quanto riguarda l’istanza di rinvio si rimette al Collegio e conclude per l’accoglimento del quindicesimo motivo del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Luca Parrella che ha chiesto il rinvio o, in subordine, l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato Gianluca Cicconetti, con delega orale avv. G. Fiorentino, che ha chiesto il rinvio per trattative in corso o per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli con sentenza del 16 febbraio 2015, in riforma della decisione del Tribunale di Torre Annunziata del 24 marzo 2005 e decidendo su rinvio, ha respinto le domande proposte da C.C., volte all’accertamento dell’inesistenza o della nullità delle deliberazioni assunte dall’assemblea della Hotel Carlton International di D.R. & C. s.n.c. in data 29 luglio, 2 settembre e 15 settembre 2003, contenenti rispettivamente modifiche all’atto costitutivo, revoca dello stato di liquidazione e conferma delle precedenti decisioni.
La ragione del vizio consisteva, secondo l’attore, nell’assunzione delle deliberazioni con il voto invalido della socia Findeco di D.R. & C. s.n.c., in quanto rappresentata in assemblea da soggetto privo di poteri rappresentativi, il sig. D.R.A..
La compagine sociale era composta, al momento dell’assunzione delle deliberazioni, da C.C. (0,08%), Generalfinanziaria di L.D.R. & C. s.a.s. (0,08%) e Findeco di D.R. & C. s.n.c. (99,84%), quest’ultima a propria volta partecipata in parti uguali dalla Generalfinanziaria s.a.s. e dallo stesso C..
Nella vicenda processuale, il Tribunale con la menzionata sentenza del 24 marzo 2005 dichiarò l’inesistenza delle deliberazioni; quindi, l’appello fu respinto, ma la sentenza fu cassata da questa Corte con pronuncia del 14 aprile 2010, n. 8966, cui seguì il rinvio alla Corte d’appello di Napoli.
Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto in questa sede rileva, che: a) la circostanza dell’esistenza di un mandato institorio, conferito ad D.R.A. dall’amministratore a firma disgiunta di Findeco s.n.c. nel *****, è non più discutibile, in quanto premessa in fatto della pronuncia di cassazione con rinvio; b) è ammessa la nomina di un institore nelle società personali, anche da parte di un amministratore a firma disgiunta, potendo egli delegare ad altro socio o a terzi il compimento di qualsiasi atto utile allo svolgimento dell’attività sociale, nè a ciò osta il regime di responsabilità illimitata e solidale dei soci; c) nella specie, vi fu il consenso unanime di tutti i soci alla nomina dell’institore, i quali autorizzarono l’amministratrice ad affidare al terzo la rappresentanza processuale e sostanziale della società in data 16 giugno *****; il mandato institorio aveva carattere generale, atteso il suo contenuto vertente sull’attribuzione di ogni potere connesso all’esercizio dell’impresa; d) in data ***** il nuovo socio C. fu informato dell’esistenza del mandato institorio e diede al medesimo il proprio consenso; e) la sentenza rescindente ha sancito che nè il mutamento della denominazione sociale della Hotel Carlton in Findeco s.n.c. ed il conferimento dell’azienda alberghiera nella partecipata Hotel Carlton International s.n.c., nè il mutamento dell’amministratore societario, nè l’inattività dell’institore estinsero il mandato; f) a seguito di detto conferimento, l’attività di impresa è stata svolta dalla Findeco s.n.c. in via indiretta mediante la sua partecipazione totalitaria, onde il mandato institorio non si è estinto, non essendo cessata l’impresa; g) il conferimento dell’azienda non ha comportato la revoca del mandato per compimento dell’affare, ai sensi dell’art. 1722 c.c., n. 1, non trattandosi di mandato speciale o di mandato generale per il compimento di un unico affare, ma di ampio mandato, senza limitazione agli atti di amministrazione ordinaria e conferito per conto della società; h) l’art. 10 dell’atto costitutivo, secondo cui in assemblea un socio può essere rappresentato soltanto da altro socio, non è ostativo alla manifestazione del voto da parte dell’institore in nome e per conto della società titolare della partecipazione.
Il soccombente ha proposto ricorso, sulla base di sedici motivi. Resiste con controricorso la Eredi M.G. s.r.l., già Generalfinanziaria di L.D.R. & C. s.a.s. Le parti hanno depositato le memorie. Dopo due rinvii di udienza, concessi su richiesta delle parti, la causa è pervenuta alla pubblica udienza del 10 luglio 2018.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I motivi di ricorso possono essere così riassunti:
1) violazione e falsa applicazione di una serie di disposizioni in tema di società personali, oltre che degli artt. 2203 e 2204 cod. civ. sulla procura institoria, in quanto in questo tipo sociale non è ammessa la nomina di un institore non socio con poteri generali di amministrazione e rappresentanza, atteso anche il principio della inderogabile responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali in capo ai soci che amministrano la società;
2) violazione dell’art. 1421 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., per non avere la corte territoriale rilevato d’ufficio la nullità delle deliberazioni, oggetto di causa, con le quali è stato nominato un amministratore nella persona di D.R.B., che non è mai stata socia, non essendo ammesso nelle società di persone un amministratore estraneo; onde ne chiede il rilievo d’ufficio in questa sede di legittimità;
3) violazione dell’art. 2252 cod. civ., in quanto la corte territoriale ha ritenuto prestato anche il consenso del nuovo socio C. al conferimento del mandato institorio, sulla base del documento in data ***** e degli altri argomenti esposti dalla sentenza impugnata, quando invece il consenso avrebbe dovuto essere necessariamente manifestato mediante una deliberazione assembleare, trattandosi di modifica del contratto sociale;
4) violazione dell’art. 2702 cod. civ. e artt. 214 e 216 cod. proc. civ., perchè quel documento fu disconosciuto, sia nella sottoscrizione sia nella conformità all’originale;
5) violazione dell’art. 2719 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., perchè la corte del merito ha rilevato come la società avesse smarrito l’originale del documento, dando per ciò solo ad esso efficacia probatoria, senza che da ciò potesse desumersi la conformità a l’originale;
6) violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, ed omesso esame di fatto decisivo, perchè l’accettazione del C. non può desumersi dalle dichiarazioni rese dal medesimo in sede di procedimento penale, con ciò la sentenza impugnata difettando in modo assoluto di motivazione;
7) violazione degli artt. 112 e 394 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale omesso di affrontare la questione dell’avvenuta revoca tacita del mandato institorio, conferito nel *****, derivante dalla circostanza che dal ***** per circa vent’anni l’institore non aveva svolto attività: laddove la sentenza rescindente di questa Corte aveva ritenuto erronea la prima sentenza d’appello, che aveva reputato irrilevante l’istituto in questione;
8) violazione e falsa applicazione dell’art. 1722 c.c., comma 1, n. 4 e artt. 2082 e 2361 cod. civ., per avere la corte del merito ritenuto proseguita l’attività di impresa in capo alla Findeco s.n.c. dopo il conferimento dell’azienda alberghiera, atteso che la nozione di imprenditore richiede la professionalità, la stabile organizzazione, la finalità economica, elementi non ravvisabili nella specie, in quanto la società stessa rimase solo titolare di una partecipazione in società operativa; onde il giudice del merito avrebbe dovuto accertare l’avvenuta estinzione del mandato institorio a far data da detto conferimento, ai sensi dell’art. 1722 cit.;
9) violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 cod. proc. civ., per avere la corte del merito omesso di motivare circa la continuazione dell’attività d’impresa;
10) omesso esame di fatto decisivo, consistente nell’indagine sulla effettiva continuazione dell’attività d’impresa;
11) violazione dell’art. 1722 c.c., nn. 2 e 4 e art. 1724 cod. civ., in quanto il mandato si è estinto per avere il mandante compiuto atti incompatibili con esso, qual è la cessazione dell’impresa con il conferimento dell’azienda in altra società; inoltre, il mandato generale va inteso come relativo ad unico affare, appunto l’esercizio dell’impresa, onde esso si è estinto ai sensi del n. 1 della prima disposizione;
12) violazione degli artt. 112 e 394 cod. proc. civ., in quanto la sentenza rescindente ha demandato alla corte del merito di accertare se il mandatario avesse interpellato il mandante, rimasto silente, per conoscere se intendesse continuare o no il rapporto;
13) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale omesso di affrontare la questione della spendibilità del mandato institorio per votare nell’assemblea della società partecipata;
14) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale omesso di affrontare la questione del necessario voto congiunto degli amministratori, a norma dell’art. 10 dell’atto costitutivo della HCI s.n.c.;
15) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale omesso di affrontare la questione della nullità della deliberazione di revoca dello stato di scioglimento della società in mancanza del consenso unanime dei soci: il tribunale, invero, aveva con sentenza n. 257/2003 dichiarato la società sciolta per dissidio insanabile dei soci, onde la revoca doveva essere deliberata all’unanimità, ove superata la causa di scioglimento;
16) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale omesso di affrontare la questione dell’inesistenza o annullabilità delle deliberazioni, per “macroscopici vizi del procedimento”, non essendo stata l’assemblea convocata dal liquidatore.
2. – Il primo motivo è inammissibile.
La corte del merito si è posta, invero, il problema della legittimità di una procura institoria nella società personale, che non era oggetto di quel giudizio di rinvio, per essersi ivi formato il giudicato interno alla luce del dictum della sentenza rescindente.
La Cass. 14 aprile 2010, n. 8966, infatti, ha affermato che:
– ha errato la prima sentenza di appello nel ritenere che il mandato institorio del 16 giugno ***** dovesse essere reiterato dopo il c.d. “riassetto societario”, non risultando esercitato nessun atto di gestione nel nuovo assetto, e che fosse irrilevante il richiamo all’istituto della revoca tacita;
– l’operazione non ha comportato nessun mutamento dell’identità soggettiva della società, onde “deve ritenersi che tutti gli atti da essa compiuti siano rimasti in vita ed efficaci ed tra questi anche il mandato conferito nel ***** al D.R. senza che lo stesso necessitasse di apposita rinnovazione e senza che per lo stesso potesse ritenersi avvenuta una ipotesi di decadenza”;
– il cambiamento degli amministratori non esercita influenza sul mandato institorio;
– l’inattività del mandatario non estingue il mandato institorio;
– la corte d’appello avrebbe dovuto, in sede di rinvio, tenere conto del documento in data *****, con cui la nuova amministratrice D.R.C. informava il coamministratore C. dell’esistenza del mandato institorio ad D.R.A..
Tale essendo il contenuto della sentenza rescindente, occorre rilevare come la questione riproposta dal motivo in esame non formava più oggetto del giudizio di rinvio, rientrando essa tra i presupposti della decisione di questa Corte, che non erano suscettibili di essere rimessi in discussione.
E’ noto invero, al riguardo, come il principio di graduale consumazione dell’oggetto del processo presieda al giudizio civile.
In particolare, questa Corte ha già chiarito (Cass. 17 novembre 2016, n. 23418) che il giudizio di rinvio costituisce la cd. fase rescissoria del giudizio di cassazione, non una rinnovazione del giudizio di appello, secondo il principio della graduale “consumazione processuale” della controversia, il quale mira al progressivo ridursi delle questioni poste, risponde a finalità di natura pubblica: la sentenza di cassazione con rinvio si pone dunque come “norma del caso controverso” (Cass. 19 marzo 2014, n. 6298). Stanti la natura e la funzione del giudizio di rinvio, delineato dal codice di procedura civile (art. 384, comma 2 e artt. 393 e 394), il giudice di merito trae la misura dei propri poteri dalla sentenza della Corte di cassazione: la quale statuisce sulle questioni ad essa sottoposte e delega il compimento delle attività consequenziali.
Per l’art. 384 c.p.c., comma 2, il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto “e comunque a quanto statuito dalla Corte”: espressione che attiene alle affermazioni necessariamente presupposte o implicate dalla decisione di legittimità.
Il giudicato interno è rilevabile in ogni stato e grado del processo. In particolare, è rilevabile d’ufficio l’accertata esistenza della preclusione per il giudice del rinvio, a seguito di un primo giudizio di cassazione, ad esaminare quei profili che abbiano costituito i presupposti della pronuncia di legittimità, non più sindacabili: ciò, in quanto la delimitazione della res litigiosa appartiene alla sfera dell’interesse pubblico e, quindi, non è nella disponibilità delle parti (cfr. Cass. 18 marzo 2003, n. 3970; v. pure Cass. 27 marzo 2007, n. 7500).
Si noti, altresì, che nel giudizio di rinvio resta precluso l’esame di ogni questione logicamente pregiudiziale ed incompatibile non rilevata dalla suprema corte, o perchè non investita della sua decisione da un motivo di ricorso o anche perchè la questione, pur se in astratta ipotesi rilevabile d’ufficio, non lo è stata (Cass. 24 ottobre 2017, n. 25153).
Nella specie, la sentenza di questa Corte n. 8966 del 2010, nell’affermare che il mandato conferito nel ***** all’institore rimase efficace – nonostante il conferimento di azienda, il mutamento dell’amministratore e l’inattività del mandatario – e nel demandare specificamente alla corte d’appello di esaminare il documento in data *****, al fine specifico di decidere se in esso fosse ravvisabile il consenso del coamministratore C. al mandato institorio in favore del D.R., ha implicitamente asserito la legittimità di quella preposizione, chiudendo per sempre la questione nell’ambito del presente giudizio.
3. – Il secondo motivo è inammissibile, perchè verte su questione nuova, in quanto non risulta che sia stata sottoposta ai giudici di merito, sin dall’inizio del giudizio, la circostanza della avvenuta nomina – nel corso di una delle assemblee che hanno assunto le deliberazioni impugnate – di un soggetto che fosse estraneo alla società.
4. – Il terzo motivo è infondato.
Il conferimento di una procura institoria non costituisce modificazione del contratto sociale, onde è esclusa in radice l’esigenza del consenso degli altri soci; senza che neppure rilevi, dunque, la questione se le decisioni di tal fatta in una società personale debbano scaturire da un indefettibile procedimento assembleare, o consentano invece la modalità alternativa di formazione della volontà sociale mediante c.d. referendum o, ancora, mediante comportamento concludente.
5. – Il quarto, quinto e sesto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi, non colgono nel segno.
Invero, la corte del merito ha fondato il proprio convincimento in fatto circa il conferimento del mandato institorio anche col consenso del nuovo socio non solo sulla lettera datata *****, che si vuole disconosciuta, ma anche sulle dichiarazioni rese in sede penale dallo stesso nuovo socio C. (il quale ha ivi affermato, come risulta dal verbale di interrogatorio esaminato dalla corte del merito, di avere dovuto accettare le deleghe ad amministrare del dr. D.R.A.), con conseguente non concludenza del quarto e quinto motivo.
Quanto alla censura, secondo cui il consenso del C. non potrebbe desumersi dalle dichiarazioni rese dal medesimo in sede di procedimento penale, si tratta di un accertamento di merito, che espone una motivazione, come imposto dalla legge, onde il motivo è manifestamente infondato.
6. – Il settimo motivo è inammissibile.
La corte territoriale ha affermato che non è più in discussione l’avvenuta preposizione institoria nell’anno ***** (ed ha accertato la sussistenza del consenso di tutti i soci al riguardo, confermato in data ***** dal nuovo socio C.); ha aggiunto come resti parimenti ferma, in base alla sentenza rescindente, la circostanza che non abbia avuto in sè efficacia estintiva (accanto al mutamento della denominazione sociale, al conferimento dell’azienda, al mutamento dell’amministratore societario, e per quanto ora interessa) l’inattività dell’institore.
In tal modo, la sentenza impugnata è stata fedele ai principi sulla natura ed i limiti del giudizio di rinvio, avendo esattamente interpretato il decisum della sentenza rescindente; mentre il motivo, al pari del primo, intende confutare un presupposto di fatto tenuto presente quale premessa dalla sentenza rescindente e non più oggetto di questo giudizio.
7. – L’ottavo motivo è infondato, ed è in grado di comportare l’assorbimento del nono e del decimo, da trattare insieme per l’intima connessione.
Dopo che la sentenza rescindente di questa Corte affermò l’infondatezza della tesi dell’estinzione del rapporto institorio a seguito del mero conferimento di azienda, non costituendo questo estinzione del soggetto, la corte d’appello ha accertato, altresì, che, a seguito di detto conferimento, l’attività di impresa ha continuato ad essere svolta dalla Findeco s.n.c. in via indiretta, mediante la sua partecipazione totalitaria nella società conferitaria, onde il mandato institorio non si è estinto non essendo cessata l’impresa, ai sensi dell’art. 1722 c.c., comma 1, n. 4.
Occorre osservare che l’ambito di applicazione della disposizione riguarda il caso in cui – sul presupposto del venir meno del mandante o dell’incapacità di agire di una delle parti del rapporto – il mandato estingue, a meno che fosse stato conferito per atti d’impresa e che questa sia continuata.
Ma il detto presupposto non sussiste, in mancanza di qualsiasi estinzione della società conferente: ed il punto era stato da questa Corte di legittimità già disatteso con la sentenza rescindente, il cui principale portato fu proprio quello di escludere l’estinzione del mandato per conferimento di azienda (oltre che per mutamento della denominazione sociale o dell’amministratore societario, e per inattività dell’institore).
Onde, in definitiva, la questione della continuazione dell’impresa, che nell’ambito della fattispecie dell’art. 1722 c.c., comma 1, n. 4, costituisce elemento normativo specializzante ed impediente una generale causa estintiva, rimane nel caso di specie del tutto priva di rilevanza.
Restano, di conseguenza, assorbiti i motivi relativi al lamentato vizio di radicale assenza di motivazione o di omesso esame sulla continuazione dell’impresa.
8. – L’undicesimo motivo è inammissibile.
Esso, da un lato, intende confutare l’accertamento in fatto sulla prosecuzione dell’impresa e, dall’altro lato, insiste su detta circostanza (già sopra reputata) irrilevante.
9. – Il dodicesimo motivo non ha fondamento.
Il passaggio della sentenza rescindente, che il ricorrente invoca, si limita a richiamare un precedente di legittimità – peraltro non in termini, posto che la stessa Corte avvertiva come “non si rinveng(o)no precedenti specifici di questa Corte su tale questione” al fine di suffragare il principio secondo cui “nessuna rilevanza ai fini della estinzione del mandato può rivestire la ritenuta inattività del mandatario, posto che tale circostanza non è prevista dalla legge come causa di estinzione del mandato”.
Dunque, per confortare tale principio di diritto, la sentenza rescindente – premettendo ancora che “il principio dianzi affermato è implicitamente contenuto nella pronuncia che si riferisce al caso inverso del silenzio del mandante” – aveva semplicemente riportato la massima di Cass. 28 aprile 1994, n. 4044, sebbene senza virgolettato (“Il semplice, ancorchè prolungato, silenzio del mandante non comporta l’estinzione del mandato, nè la revoca tacita dello stesso a norma dell’art. 1724 cod. civ., comportando bensì, per l’incertezza circa la prosecuzione o non del mandato, il dovere del mandatario (art. 1710 cod. civ.) di interpellare formalmente il proprio mandante al fine di conoscere se questo intenda o non continuare a servirsi della sua opera e nel contempo, fino a quando l’incarico non gli sia revocato, il compimento di tutti gli adempimenti occorrenti per evitare che siano compromessi i suoi diritti”), come si può constatare dal semplice raffronto.
Dunque, quella massima era servita per sostenere un diverso principio, qual è quello della inefficacia estintiva del mandato per la mera inerzia del mandatario, non rientrante tra le cause contemplate nell’art. 1722 cod. civ.; al contrario, la sentenza rescindente non aveva affatto demandato al giudice del rinvio – come sostiene, errando, il ricorrente – di accertare se il mandatario avesse interpellato il mandante circa la sua intenzione di proseguire il rapporto, nonostante il silenzio serbato dal primo.
10. – Il tredicesimo motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto che il mandato conferito all’institore fu generale: in ben due passaggi, essa afferma il carattere generale del medesimo, attesa l’attribuzione di ogni potere connesso all’esercizio dell’impresa e l’assenza di qualsiasi limitazione agli atti d’ordinaria amministrazione. In tal modo, essa ha chiaramente inteso confutare anche l’argomento della non spendibilità del medesimo al fine del voto assembleare.
Costituisce principio costantemente affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, situazione che non si verifica allorchè la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, sia pure per implicito (cfr. Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; 6 dicembre 2017, n. 29191; 8 marzo 2007, n. 5351).
11. – Il quattordicesimo motivo non è fondato.
Il vizio di omessa pronuncia non sussiste neppure sotto tale profilo: a tacer d’altro perchè, dal contenuto della deduzione, come nel rispetto del principio di autosufficienza risulta dal ricorso, emerge che il richiamo dell’art. 10 dell’atto costitutivo fu operato ad altro fine.
Come, invero, emerge dal contenuto del motivo, che riporta brani della memoria conclusionale (mentre omette di menzionare il relativo passaggio dell’atto di citazione), la clausola in questione era stata richiamata unicamente per suffragare l’argomento della necessaria rappresentanza in assemblea conferita ad altro socio, dunque ai fini di negare la legittima partecipazione alla riunione.
La corte del merito, al riguardo, la affermato che la clausola di cui all’art. 10 dell’atto costitutivo, secondo cui in assemblea un socio può essere rappresentato soltanto da altro socio, non è ostativa alla manifestazione del voto da parte dell’institore in nome e per conto della società titolare della partecipazione. In tal modo, essa non è dunque incorsa nel vizio di omessa pronuncia, non essendo mai stata posta la questione necessario voto congiunto degli amministratori.
12. – Il quindicesimo ed il sedicesimo motivi sono fondati.
Effettivamente, la sentenza impugnata non ha esaminato le due questioni poste dall’originario attore, il quale aveva sin dall’atto introduttivo richiesto di accertare la nullità della deliberazione di revoca dello stato di liquidazione, sia perchè deliberata senza il suo consenso, laddove tale delibera esigerebbe il consenso unanime dei soci, sia per la mancata convocazione.
Al riguardo, occorre dunque cassare la sentenza impugnata, perchè esamini le due domande, previo accertamento dei fatti rilevanti.
Il necessario accertamento in fatto esclude possa farsi applicazione del principio, secondo cui nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 cost., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 28 giugno 2017, n. 16171, fra le altre).
Nè ha pregio l’eccezione di abbandono delle domande, sollevata dalla controricorrente, per non essere state tali azioni richiamate nella comparsa conclusionale in appello, non essendo tale condotta di per sè univoca al fine di postularne l’abbandono.
13. – In conclusione, in accoglimento dei predetti due motivi, la sentenza va cassata, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle di legittimità, perchè provveda alla decisione delle dette due domande.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quindicesimo ed il sedicesimo motivo, disattesi gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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