Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.28274 del 06/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28200/2014 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 15, presso lo studio dell’avvocato BARBARA TRANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENOTTO ZAULI;

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA APPENNINO FORLIVESE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI, 57, presso lo studio dell’avvocato ANNA BEVILACQUA, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO TORRE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1705/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine, per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MORICONE Paolo, con delega depositata in udienza dell’Avvocato TRANI Barbara, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato REVILACQUA Anna, con delega depositata in udienza dell’Avvocato TORRE Bruno, difensore del resistente, che ha chiesto l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

V.G. proponeva appello alla sentenza del Tribunale di Forlì che aveva rigettato l’opposizione a due ordinanze ingiunzioni della comunità montana dell’appennino forlivese.

Il Tribunale aveva rigettato l’eccezione di prescrizione, relativamente al rispetto del termine di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28, perchè nel quinquennio anteriore il termine era stato interrotto dalla valida notifica del verbale, e quella di intervenuta transazione, peraltro con soggetto diverso, la Regione Emilia Romagna, relativamente al profilo risarcitorio, e non a quello contestato sul taglio di bosco ceduo per cui il V. era stato sanzionato, ed escluso l’esimente di cui all’art. 3 cpv in quanto l’assoluzione in sede penale dai reati di furto aggravato e deturpazione di bellezze naturali discendeva dalla ritenuta incolpevole ignoranza di trovarsi in zona demaniale.

La Corte di appello di Bologna, con sentenza 15.7.2014, rigettava il gravame principale e quello incidentale sulla compensazione delle spese.

Il ricorso denunzia 1) violazione degli artt. 2 e 59 delle prescrizioni di massima e polizia forestale in relazione al terzo motivo di appello ed alla intervenuta assoluzione in sede penale ed alla esimente della buona fede; 2) omesso esame di fatto decisivo e violazione delle norme di cui al primo motivo perchè le due questioni dell’errore sul fatto della natura demaniale ed errore circa la presenza di autorizzazione sono inscindibili, diversamente da quanto ritenuto da Corte di appello e Tribunale; 3) omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 116 c.p.c., circa l’errore sull’estensione dell’area con richiamo all’interrogatorio presso la sezione di PG; 4) violazione dell’art. 734 c.p., L.R. n. 2364 del 1995, artt. 2 e 54, in relazione ad alcune affermazioni della sentenza; 5) omesso esame di fatti decisivi circa il valore degli alberi abbattuti.

Resiste con controricorso l’Unione dei comuni della Romagna forlivese – Unione Montana, la cui istanza di rimessione in termini per la notifica del controricorso è stata rimessa alla valutazione del collegio con provvedimento del Consigliere coordinatore del 12.6.2015, ma vi è un sostanziale rigetto richiamandosi S.U. 17352/2009 e Cass. 20830/2013 sull’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio entro termine ragionevole e, nella specie, anzichè formulare l’istanza di rimessione in termini, poteva rinotificarsi l’atto in *****, come accertato a seguito di richiesta telefonica all’ordine degli avvocati, e come effettivamente avvenuto il 29.7.2015.

Le parti hanno presentato memorie.

Il ricorso, pur ammissibile dovendosi rigettare l’eccezione del controricorrente sulla mancata esposizione del fatto, è infondato reiterando i motivi di appello sui quali è stata data congrua risposta e tentando di provare la buona fede riportando l’interrogatorio in sede di P.G. senza considerare che l’indagato non può essere testimone di sè stesso.

Sul primo motivo va osservato, come questa Corte ha più volte evidenziato, che, in tema di illecito amministrativo, anche l’interpretazione di norme può ingenerare incolpevole errore sul fatto, quando verta sui presupposti della violazione, ma esso, che non è mai individuabile quando attinga la sola interpretazione giuridica dei precetti, può rilevare soltanto in presenza di un elemento positivo, estraneo all’autore, che sia idoneo ad ingenerare nello stesso inesperto autore l’incolpevole opinione di liceità del proprio agire; la Corte costituzionale ha precisato con sentenza n. 364/88 come debba tenersi presente che l’ignoranza “vale soprattutto per chi versa in condizioni soggettive d’inferiorità”, come non può ritenersi nella specie, mentre non può coprire omissioni di controllo, indifferenze di soggetti, di fronte all’esigenza di particolari comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di conoscere le leggi.

Inoltre l’accertamento in ordine alla sussistenza dell’ignoranza del precetto, la cui violazione comporti l’irrogazione di una sanzione amministrativa, od all’erroneo convincimento che la situazione non ne integri gli estremi, ed alle particolari positive circostanze di fatto idonee a rendere ragionevole tale convincimento, rientra nei poteri del giudice di merito, la cui valutazione può essere controllata in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio logico o giuridico di motivazione (Cass. nn. 20776/2004, 911/96, 1873/95, 3693/94, 8189/92).

L’assoluzione in sede penale poteva essere rilevante in questa sede solo ove fosse avvenuta per non aver commesso il fatto, ovvio essendo che la circostanza che la fattispecie non integri ipotesi di reato non esclude l’illecito amministrativo.

Il Tribunale ha correttamente escluso l’esimente di cui all’art. 3 cpv in quanto discendeva dalla ritenuta incolpevole ignoranza di trovarsi in zona demaniale, mentre il dedotto errore sull’estensione dell’area rimane affermazione solis verbis non argomentata e provata.

Consegue anche il rigetto del quarto motivo, generico e non risolutivo.

Le restanti censure sull’omesso esame di fatto decisivo sono insussistenti tendendo solo ad un riesame del merito e ad una diversa valutazione degli elementi probatori.

Ai sensi dell’art. 360, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, è inammissibile il motivo di ricorso per l’omesso esame di fatto decisivo ove il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, deve essere interpretato, alla luce dei canoni di cui all’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione con riferimento alla mancanza assoluta dei motivi, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 14324/15, S.U. 8053/14).

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese limitate alla fase della discussione, per quanto dedotto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 1200, di cui Euro 200 per spese vive, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 15 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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