Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28309 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7893/2018 proposto da:

J.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PELLEGRINO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA DI MILANO, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA DI MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5508/2017 della corte d’appello DI MILANO, depositata il 29/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Presidente Relatore Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO.

La Corte:

RILEVATO

che:

Con sentenza depositata il 29/12/2017, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da J.K., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 30/12/2016.

La Corte del merito ha ritenuto non credibile la narrazione dell’appellante (lo J.K., avanti alla Commissione territoriale, aveva dichiarato di appartenere all’etnia Mandinko, di religione mussulmana, di essere militare, autista del generale T., il quale, dopo avere partecipato al colpo di Stato del 2011 contro il presidente Ja., era stato arrestato nel *****; di avere appreso di essere nella lista dei partecipanti al colpo di Stato e di essere fuggito nel 2012, temendo di essere ucciso, come accaduto ai partecipanti al complotto; avanti al Tribunale, la parte aveva affermato che il tentativo di colpo di Stato era avvenuto il *****, che il generale T. era stato arrestato a ***** e di essere stato avvisato a febbraio 2012 dall’amico di comparire tra i partecipanti), per l’indicazione di date diverse per il colpo di Stato e per l’avviso di comparire tra i sospettati del complotto, per non avere fornito elementi di prova minimamente adeguati(le fotografie prodotte non confortavano l’attività di militare nè il rapporto col generale T., gli articoli di giornale e le email non provavano il coinvolgimento del colpo di Stato); ha respinto le richieste di protezione internazionale, escludendo la specifica persecuzione e l’esistenza in Gambia di un conflitto armato generatore di situazione di violenza diffusa ed indiscriminata; ha rilevato che dopo la caduta di Ja., il Gambia sta attraversando un periodo di transizione verso la democrazia.

Ha escluso infine la situazione di vulnerabilità dell’appellante, per il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Ricorre J.K. con cinque motivi.

Il Ministero non svolge difese.

Il ricorrente ha depositato memoria, ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 e 111 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,artt. 2697 e 2729 c.c., per non avere la Corte ritenuto provato l’arruolamento, la diserzione dal reparto di provenienza, senza aver assunto informazioni dalla locale ambasciata “in merito alle modalità di repressione adottate dal precedente regime nei confronti dei militari e dei civili coinvolti nei reiterati tentativi di colpo di Stato”.

Col secondo, nella rubrica il ricorrente si duole della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e della violazione artt. 3,111 Cost.. artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte espositiva, si duole del non avere la Corte d’appello dato rilevanza agli elementi di dettaglio offerti in appello ed al riscontro esterno, in relazione alla data del tentato colpo di Stato; nel resto, denuncia “l’accanimento” nella revoca dell’ammissione al patrocinio.

Col terzo, si appunta al diniego della protezione internazionale, esclusa dalla Corte del merito per il decorso del tempo tra il tentativo di colpo di Stato del ***** e l’esodo dal paese del 8/2/2012, e a ragione di una non meglio specificata persecuzione diretta e personale, senza tenere conto della situazione di diserzione, punibile con l’ergastolo in Gambia, e dell’alto tradimento, punibile con la pena di morte.

Secondo la parte, deve ritenersi quanto meno verosimile la narrazione ed in particolare quella risultante nella videoregistrazione eseguita dal difensore. Col quarto mezzo, J.K. si duole del diniego della protezione sussidiaria, sostiene l’interpretazione estensiva del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in conformità alle norme internazionali ultraprimarie richiamate e sostiene che non v’è prova di amnistia generalizzata a favore di detenuti politici o resisi responsabili di reati militari.

Col quinto, il ricorrente si duole del diniego della protezione umanitaria, per doversi riconoscere tale tutela a tutti i migranti approdati nell’ultimo quinquennio, oggetto di tratta di essere umani, come risulta quale dato di comune esperienza.

I primi tre motivi vanno valutati unitariamente in quanto strettamente collegati e sono da ritenere nel complesso inammissibili.

Come sopra già detto, la Corte d’appello ha motivatamente ritenuto la non credibilità della narrazione del migrante, considerata generica, non suffragata da elementi probatori adeguati, e affetta da gravi contraddizioni su fatti significativi(la diversità di date del colpo di Stato e dell’arresto del generale, come riferite alla Commissione, rispetto a quelle affermate all’udienza dell’8/4/2016; la diversità di date nella indicazione di quando avrebbe appreso di essere tra i sospettati); la Corte di merito ha altresì valutato le foto, le email e gli articoli prodotti, escludendo che dagli stessi emergesse un qualche elemento di prova idoneo a supportare quanto dichiarato dalla parte, ovvero l’attività di militare ed il rapporto col generale T..

Ora, a fronte di detta motivata conclusione, il ricorrente intende inammissibilmente opporre una diversa valutazione dei fatti, invocando genericamente la richiesta di informative all’amabasciata, che, all’evidenza, anche ove espletata, non avrebbe in alcun modo reso credibile la versione dei fatti esposta dalla parte.

Il ricorrente si riferisce inoltre ad un’intervista videoregistrata, della quale non indica specificamente quando ed in che modo entrata nel processo di merito, nè ne tratta in sentenza la Corte del merito, intervista da cui si ritrarrebbero fatti, tra l’altro genericamente indicati, che dovrebbero corroborare la narrazione dello straniero.

Quanto al riferimento alla condizione di disertore ed all’alto tradimento, è agevole osservare che il ricorrente in tal modo presuppone fatti la cui credibilità è stata motivatamente esclusa dal giudice del merito.

Inammissibile è infine la doglianza sulla revoca del patrocinio a spese dello Stato, che non rientra nelle statuizioni della sentenza impugnata, tant’è che la stessa pronuncia ne prevede l’emissione con separato decreto.

Il quarto motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello dato conto delle fonti compulsate, per affermare motivatamente che il Gambia si trova in una fase di transizione verso la democrazia, maggiormente incline a riconoscere i diritti della persona, così escludendo che il K. possa essere esposto, in caso di rimpatrio, ad una minaccia grave alla propria persona ed alla propria vita.

Nel resto, il ricorrente dà per scontati quei fatti, alto tradimento e diserzione, ritenuti non credibili dalla sentenza impugnata.

Il quinto mezzo è inammissibile, nella parte in cui sostiene la mancata valutazione dell’essere stato il ricorrente oggetto di tratta di esseri umani, da cui il diritto, in tesi, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3 bis, che richiama gli artt. 600 e 601 c.p., dato che la fattispecie invocata avrebbe dovuto essere fatta valere nel giudizio di merito, e la parte avrebbe dovuto indicare quando ed in quale atto.

Nel resto, sulla protezione umanitaria, va richiamato il principio espresso nella recente pronuncia 4455/2018, secondo cui il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

E’ agevole rilevare che nel caso di specie, la Corte del merito ha motivatamente escluso la protezione umanitaria, ben tenendo presente la situazione oggettiva e soggettiva del ricorrente nel paese d’origine e quella, definita di embrionale integrazione, esistente in Italia.

A fronte di detta valutazione, il ricorrente insiste nel ritenere dovuta la tutela umanitaria sul generico rilievo dell’ingresso clandestino giustificato dallo stato di necessità o addirittura tentando di inserire nella memoria fatti, generici, nuovi, mentre, come già affermato nella citata pronuncia 4455 e ribadito nella successiva 17072/2018, non può riconoscersi al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito).

Va nel complesso pertanto respinto il ricorso.

Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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