Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.28344 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27953/12 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Marini, presso cui elettivamente domicilia in Roma alla via dei Monti Parioli n. 48;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.396/1/11 emessa in data 10/10/11 dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, sezione 1, depositata in data 18/10/11 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18/9/2018 dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Maria Pia Camassa per l’Agenzia delle Entrate e l’avv. Ulisse Crea, per delega dell’avv. Giuseppe Marini, per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi avverso P.S. per la cassazione della sentenza n. 396/1/11 emessa in data 10/10/11 dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, sezione 1, depositata in data 18/10/11 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, ai fini Irpef, imputava alla contribuente, in qualità di socia al 40% di una società a ristretta base azionaria, gli utili extrabilancio accertati in capo alla società per l’anno di imposta 1996, in sede di giudizio di rinvio ha rigettato l’appello dell’Ufficio, compensando le spese di lite.

La controversia ha, quindi, per oggetto l’impugnazione da parte della contribuente P.S. dell’avviso di accertamento rideterminativo del reddito da capitale in conseguenza dell’accertamento a carico della s.r.l. Autoci di utili extra contabili che presuntivamente venivano ascritti alle due socie ( P.S. al 40% e C.E. al 60%). La contribuente deduceva di essere una mera intestataria delle quote, spettanti in realtà all’amministratore C.F., rilevava che la presunta distribuzione degli utili non aveva trovato riscontro nell’esame dei suoi conti bancari e contestava che la ristrettezza della base societaria potesse da sola costituire una presunzione grave, precisa e concordante al fine della rideterminazione del reddito da capitale.

Il ricorso della contribuente veniva accolto dalla C.T.P. di Pistoia, con sentenza confermata dalla C.T.R. della Toscana.

L’Agenzia delle Entrate aveva, quindi, proposto ricorso in Cassazione, denunciando plurime violazioni di legge (la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e art. 38, comma 3, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 e art. 41, lett. e, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

La Corte, con ordinanza n. 14326/2010, accoglieva il ricorso, rinviando alla C.T.R. della Toscana per la nuova valutazione delle circostanze di fatto, alla luce dei principi giurisprudenziali citati, al fine di valutare l’assolvimento o meno dell’onere probatorio posto a carico della contribuente.

Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Toscana ha affermato che “in relazione alle società di capitali a base ristretta opera soltanto una presunzione semplice di distribuzione dell’utile ai soci”; di conseguenza il giudice di appello ha ritenuto che la contribuente avesse fornito idonea prova contraria di non aver avuto parte nella gestione societaria e di non aver conseguito utili occulti, considerata la sua quota minoritaria di partecipazione (il 40% contro il 60% dell’altra socia), la dichiarazione in tal senso dell’amministratore unico C.F. (effettivo socio occulto della società), nonchè la circostanza che dai conti bancari non fossero emerse movimentazioni riferibili alla società.

2. L’Agenzia ricorrente censura la sentenza della C.T.R. sotto il profilo della violazione della norma processuale di cui all’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi adeguato il giudice di rinvio alle prescrizioni indicate dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n.14326/2010, nonchè dell’insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto decisivo e controverso della prova che la contribuente doveva fornire per superare la presunzione di legge.

3. P.S. resiste con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, ed ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la violazione della norma processuale di cui all’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi adeguato il giudice di rinvio alle prescrizioni indicate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 14326/2010.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

1.3. La Corte, nell’ordinanza n. 14326/2010, dava risposta al seguente quesito: “se in presenza di una società di capitali a ristretta base di partecipazione – due soli soci – operi la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili fra i soci medesimi, senza che tale presunzione trovi fondamento, come preteso dalla CTR, sul disposto dell’art. 5 T.U.I.R., che prevede una presunzione legale operante solo con riferimento alle società di persone, e che tale presunzione possa essere vinta dalla prova contraria che deve essere fornita dal socio, in ordine ai fatti impeditivi dell’attribuibilità, quali l’aver adottato comportamenti per acquisire la conoscenza, che siano risultati vani, o volti a far valere la responsabilità dei gestori della società per le anormalità contabili (Cass. 3896/08 e 1906/08), senza che rilevino come elementi probatori idonei, come invece ritenuto dalla CTR, l’assenza, in capo alla contribuente, di movimenti bancari riferibili alla società e la non partecipazione della medesima alle attività gestionali della società”.

Secondo la Corte, la C.T.R. della Toscana non aveva reso “una decisione conforme all’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili (…) Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci (Cassazione civile sezione 5 n. 9519 del 22 aprile 2009)”.

Nel caso di specie, la Corte ha affermato che “la circostanza per cui la Guardia di Finanza non abbia rinvenuto tracce documentali dell’attribuzione di utili societari non dichiarati a favore della controricorrente e quella per cui l’amministratore si sia assunto ogni responsabilità per la gestione e la movimentazione del denaro della società non costituiscono, contrariamente a quanto preteso dalla controricorrente, un accertamento (e tantomeno un accertamento da considerarsi passato in giudicato) in ordine all’estraneità di P.S. alla società. Tali circostanze devono pertanto essere valutate nuovamente dalla C.T.R. alla luce della giurisprudenza citata ai fini di considerare, o meno, pienamente assolto l’onere probatorio gravante sul soggetto che risulta titolare di una grande parte del capitale della società a ristretta base sociale”.

Come enunciato in una recente ordinanza di questa Corte, “nell’ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti in fatto, sicchè il giudice di rinvio deve uniformarsi non solo alla regola giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione” (Sez. 5 -, Ordinanza n. 19594 del 24/07/2018).

Nel caso di specie, la C.T.R. della Toscana, in sede di giudizio di rinvio, ha respinto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che gli elementi fattuali (in particolare, le dichiarazioni dell’amministratore unico e l’assenza di movimentazioni riferibili alla società sul conto corrente della contribuente), già valutati insufficienti dal giudice di legittimità a dimostrare l’estraneità della contribuente alla compagine sociale e, quindi, ad escludere la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili alla socia, fossero invece idonei a superare la suddetta presunzione.

Invero, il giudice di rinvio, nel ritenere credibili le affermazioni della contribuente in ordine alla fittizietà della sua qualità di socia, ha valorizzato proprio quegli elementi di fatto (dichiarazioni dell’amministratore, partecipazione azionaria al 40%, assenza di riscontri documentali in ordine ad operazioni bancarie riconducibili alla società) che, secondo l’ordinanza di annullamento con rinvio della Corte, non costituivano un accertamento dell’estraneità di P.S. alla società.

La C.T.R. della Toscana, pur facendo riferimento all’operatività della presunzione, secondo l’enunciato contenuto nella pronuncia di annullamento, ha nuovamente considerato gli stessi elementi di fatto, costituenti il presupposto del principio di diritto affermato dalla Corte, valutandoli in maniera diversa, in ciò travalicando i limiti del giudizio di rinvio.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura l’insufficiente motivazione del giudice di appello, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto decisivo e controverso dell’idoneità delle circostanze addotte a prova contraria dalla contribuente.

2.2. Il motivo è assorbito nell’accoglimento del precedente.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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