Il diritto fondamentale all’oblio, alla luce dal quadro normativo – desumibile da un reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza – e giurisprudenziale di riferimento, può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti:
1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;
2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine;
3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese;
4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;
5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.
Cassazione civile, sez. I, Sentenza 20/03/2018, (ud. 06/12/2017, dep.20/03/2018), n. 6919
Fatto
1. Con atto di citazione notificato il 15 luglio 2005, V.A., detto ” A.” conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto della messa in onda – da parte della trasmissione “(OMISSIS)” di (OMISSIS) del (OMISSIS) – di un servizio che riproduceva un episodio concernente un tentativo di intervista, non andato a buon fine per il rifiuto del cantante, registrato dalla troupe della medesima trasmissione in data (OMISSIS), ossia circa cinque anni prima, e già mandato in onda a quell’epoca dalla RAI. Il Tribunale adito, con la decisione n. 529/2007, rigettava la domanda.
2. Con sentenza n. 124/2014, notificata il 26 febbraio 2014, la Corte d’appello di Roma disattendeva, del pari, l’appello proposto dal V. avverso la decisione di prime cure. La Corte territoriale riteneva: a) sussistere una deroga alla necessità del consenso, richiesto dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 96 per la pubblicazione della propria immagine, fondata – a norma del successivo art. 97 – sulla notorietà del personaggio e sull’interesse pubblico dei fatti oggetto della pubblicazione, svoltosi altresì in un luogo pubblico; b) l’inesistenza del preteso diritto all’oblio; c) la liceità della trasmissione, sotto il profilo dell’essenzialità della notizia e della normativa in materia di privacy; d) la sussistenza, quanto all’asserito carattere lesivo dei commenti alle immagini, dell’esimente del diritto di satira; e) la novità della domanda – come tale improponibile in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. relativa all’utilizzo a fini commerciali dell’immagine del cantante.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso V.A., affidato a cinque motivi, ai quali la resistente RAI-Radiotelevisione Italiana ha replicato con controricorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il P.G. ha concluso come in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osserva – in via pregiudiziale – la Corte che rivestono carattere assorbente, rispetto alle altre, le censure contenute nel secondo e nel quarto motivo del ricorso per cassazione proposto dal V.. Con tali censure il ricorrente – denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. e L. n. 633 del 1941, art. 97, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole del fatto che la Corte d’appello – con riferimento alla seconda trasmissione della “(OMISSIS)”, andata in onda il (OMISSIS) – abbia ritenuto inesistente il dedotto diritto all’oblio, ed abbia considerato scriminato il carattere lesivo dei commenti alle immagini dal legittimo esercizio dell’esimente del diritto di satira. Il carattere centrale ed assorbente di detti motivi, nell’economia del ricorso, è posta, del resto, in luce dallo stesso svolgimento dei fatti.
1.1. Dall’esame degli atti e dell’impugnata sentenza si evince, infatti, che la sera del (OMISSIS), il noto cantante A. più conosciuto come ” A.” – V., all’uscita di un ristorante nel quale si era intrattenuto a cena con amici, veniva avvicinato da una troupe della trasmissione televisiva “(OMISSIS)” di (OMISSIS), che richiedeva all’astista il rilascio di un intervista. Il V. – come si evince dalla sentenza di appello – non nascondeva il proprio disappunto per la presenza degli inviati della trasmissione, e rifiutava in modo secco e perentorio quanto richiestogli. L’episodio veniva mandato in onda nella suddetta trasmissione, corredato da un commento sarcastico dell’inviato il quale – alla fine – si chiedeva ironicamente: “Chissà perchè è così nervoso? Ma a Natale non si dovrebbe essere più buoni?”.
A distanza di circa cinque anni, e cioè il (OMISSIS), veniva mandato in onda un secondo servizio, che riproponeva le stesse immagini del (OMISSIS), inserite – senza autorizzazione alcuna da parte del cantante – all’interno di una “classifica dei personaggi più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo”, creata dalla “(OMISSIS)”, e nella quale al V. veniva assegnato il secondo posto. Il commento fatto a corredo delle immagini, questa volta era del seguente tenore: “E chissà, forse V.A. non è più abituato alle luci della ribalta. Del resto, ormai è molto tempo che non lo illuminano più”.
1.2. Questa seconda trasmissione – come affermato dallo stesso ricorrente (pp. 2 e 25 del ricorso) – determinava infine l’artista ad agire in giudizio nei confronti della RAI, al fine di ottenere il risarcimento dei danni per l’utilizzazione non autorizzata ed a fini commerciali della propria immagine, per la violazione del diritto all’oblio, e per il carattere lesivo del commento all’episodio andato in onda.
E’, pertanto, del tutto evidente che carattere centrale rispetto alle altre doglianze proposte in giudizio dal V. riveste la dedotta illegittimità della trasmissione del (OMISSIS), per violazione del diritto all’oblio conseguente alla messa in onda di immagini registrate cinque anni prima, e l’affermato carattere lesivo della propria reputazione dei commenti ivi posti a corredo delle immagini.
2. Premesso quanto precede, va osservato che l’esistenza del cd. “diritto all’oblio” è stata affermata, sia nella giurisprudenza Europea che in quella nazionale, con riferimento a fattispecie differenti, nelle quali si è sempre posta, peraltro, l’esigenza di un contemperamento tra due diversi diritti fondamentali: il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, ed il diritto della persona a che certe vicende della propria vita, che non presentino più i caratteri dell’attualità, ovverosia che non siano più suscettibili di soddisfare un interesse apprezzabile della collettività a conoscerle, non trovino più diffusione da parte dei media. Correlato a tale diritto, ed in un certo senso ad esso strumentale, poichè finalizzato ad assicurarne il soddisfacimento, è – poi – il diritto ad ottenere la rimozione, da elenchi, o archivi, o registri, del proprio nominativo, in relazione a fatti e vicende che non presentino più il suddetto carattere dell’attualità.
2.1. In ambito Europeo, la Corte di Giustizia UE e la Corte EDU sono state più volte chiamate a pronunciarsi in materia, tracciando le linee direttrici del bilanciamento tra i due diritti fondamentali suindicati, successivamente seguite dalla giurisprudenza degli Stati membri e/o contraenti.
2.1.1. In una vicenda concernente il trattamento di dati personali da parte di un motore di ricerca (Google Spain), la Corte di Giustizia ha, invero, affermato che siffatta attività “può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali”, atteso che – muovendo dal nominativo di una persona – è possibile, per qualsiasi utente di Internet, accedere ad una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a quella persona presenti in rete. Il che impone la ricerca di un giusto equilibrio tra l’interesse degli utenti di Internet all’informazione ed i diritti fondamentali della persona, previsti dall’art. 8 della CEDU e artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, nonchè dall’art. 12, lett. b) e art. 14, comma 1, lett. a) della Direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche. E ciò con particolare riferimento ai casi nei quali – come in quello oggetto della pronuncia, concernente un pignoramento effettuato nei confronti di un cittadino spagnolo, interamente definito da svariati anni e la cui menzione era ormai priva di qualsiasi rilevanza – sussiste un diritto dell’interessato all’oblio su determinati fatti o vicende che non rivestono più interesse alcuno per il pubblico.
Orbene, la Corte ha affermato che l’art. 12, lett. b), e art. 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, per il tempo decorso, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. E ciò a prescindere dal fatto che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Per cui, considerato che quest’ultimo può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, chiedere che l’informazione in questione divenuta ormai non più di interesse apprezzabile per la collettività non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona.
L’unica eccezione a tale affermata prevalenza dei diritti fondamentali della persona interessata, e segnatamente del diritto all’oblio, è stata ravvisata dalla Corte nella sola ipotesi in cui “risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi” (Corte Giustizia, 13/05/2014, C131/12, Google Spain).
2.1.2. In una più recente pronuncia, la Corte EDU – con riferimento ad una vicenda nella quale un cittadino tedesco, che rivestiva una posizione politica ed imprenditoriale di grande rilievo in Germania, aveva chiesto la cancellazione dal Web dei dati informativi relativi ad un episodio di collusione con la criminalità russa risalente a diversi anni prima, ripubblicati a distanza di diversi anni dalla stampa – ha ritenuto che l’interesse del pubblico all’informazione prevalesse su quello del singolo all’oblio, ma sulla base di specifici e tassativi criteri, la cui sussistenza deve essere sempre riscontrata, ai fini di riconoscere siffatta prevalenza.
In primo luogo, deve – per vero – sussistere il contributo dell’articolo ad un “dibattito di interesse pubblico”, in relazione al “grado di notorietà del soggetto”; requisito questo ritenuto dalla Corte sussistente nel caso concreto, in quanto – pur trattandosi di una notizia risalente nel tempo – erano emersi nuovi sospetti a carico del medesimo individuo, molto noto al pubblico trattandosi di un uomo di affari molto impegnato anche in politica.
Occorre, poi, avere riguardo alle “modalità impiegate per ottenere l’informazione” ed al “contenuto della pubblicazione”, che devono, non soltanto riferirsi a notizie vere, accertate come tali sulla base di “fonti affidabili e verosimili”, ma devono essere altresì non eccedenti rispetto allo scopo informativo; e tali sono state ritenute nel caso di specie, avendo la Corte accertato che dette modalità erano “prive di (…) insinuazioni o considerazioni personali”, e che il giornale aveva informato l’interessato dell’imminente pubblicazione dell’articolo, per consentirgli di esercitare il suo diritto di replica prima della divulgazione della notizia (Corte EDU, 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania).
2.2. La giurisprudenza nazionale si è, altresì, espressa in senso sostanzialmente conforme a tali affermazioni delle Corti Europee.
2.2.1. Si è – per vero – osservato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate, vicende personali non siano pubblicamente rievocate (cd. diritto all’oblio) trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità, diversamente risolvendosi il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza (Cass., 26/06/2013, n. 16111). Pertanto, l’editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, senza alcun interesse pubblico pregnante ed attuale, possa essere leso il diritto all’oblio delle persone che vi furono coinvolte (Cass., 05/04/2012, n. 5525).
2.2.2. Più di recente, si è ribadito che la persistente pubblicazione e diffusione, su un giornale “on line”, di una risalente notizia di cronaca esorbita, per la sua oggettiva e prevalente componente divulgativa, dal mero ambito del lecito trattamento di archiviazione o memorizzazione “on line” di dati giornalistici per scopi storici o redazionali, configurandosi come violazione del diritto alla riservatezza quando, in considerazione del tempo trascorso, sia da considerarsi venuto meno l’interesse pubblico alla notizia stessa (Cass., 24/06/2016, n. 13161).
E perfino con riferimento alla conservazione di dati contenuti in registri tenuti da soggetti pubblici (nella specie una Camera di Commercio), istituzionalmente finalizzati a consentire l’accesso della collettività a fatti e vicende concernenti gli operatori economici, questa Corte ha, da ultimo, precisato – alla stregua di quanto chiarito, al riguardo dalla decisione della Corte di Giustizia, 9/3/2017, C- 398, Manni – che, in tema di trattamento dei dati personali, ai sensi dell’art. 8 della CEDU nonchè degli artt. 7 e 8 della cd. “Carta di Nizza”, l’interessato non ha diritto ad ottenere la cancellazione dei dati iscritti in un pubblico registro ed è legittima la loro conservazione. Ma ciò esclusivamente allorquando essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui (Cass., 09/08/2017, n. 19761).
3. Da tale quadro normativo – desumibile da un reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza – e giurisprudenziale di riferimento deve, pertanto, inferirsi che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.
In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti.
4. Tutto ciò premesso, è del tutto evidente che i suindicati parametri – in presenza dei quali soltanto può legittimamente affermarsi la prevalenza del diritto di cronaca sul diritto all’oblio devono ritenersi senz’altro assenti nel caso di specie.
4.1. A tal riguardo, deve anzitutto rilevarsi che l’esclusione della dedotta violazione del diritto all’oblio è stata operata, dalla Corte territoriale, esclusivamente sulla base della laconica affermazione circa la “dimensione pubblica attuale del personaggio V., famoso cantante italiano non soltanto in passato, ma anche nel presente”. Il giudice di appello ha, pertanto, ancorato la legittimità della diffusione delle immagini in discussione – dopo cinque anni dalla loro registrazione – unicamente all’affermata fama attuale del V. come cantante, che renderebbe, di per sè sola, di interesse pubblico la diffusione di tali immagini, a prescindere dal loro contenuto e dalle modalità della loro diffusione.
E’ di tutta evidenza, pertanto, che la Corte di merito – nella sommaria valutazione operata al riguardo – non ha fatto in alcun modo applicazione dei principi e delle norme di diritto interno ed internazionale succitati, posti a presidio del diritto del singolo a che fatti o vicende – anche spiacevoli o addirittura diffamanti – che lo avevano riguardato in passato, non vengano sottoposti nuovamente, a distanza di tempo, all’attenzione del pubblico, in mancanza di un interesse apprezzabile ed attuale.
4.2. Sotto tale profilo, è palese la notevole distanza che separa il caso concreto dalle vicende (fondate su fatti criminali, su interessi economici o politici preminenti, o sulla salvaguardia dell’ordine pubblico o della sicurezza delle persone) oggetto delle decisioni giurisdizionali suindicate, nelle quali l’interesse pubblico a conoscere i fatti – anche a distanza di molto tempo – è immanente nella preminente rilevanza del personaggio e/o degli accadimenti che lo riguardano, e come tale si protrae nel tempo, o si riaccende quando un evento – anche a distanza di anni – rende di viva attualità quei fatti risalenti. Nel caso di specie è, per contro, evidente che l’episodio del diniego, seppure espresso in forma perentoria e poco cortese, di un’intervista da parte del cantante V. – personaggio certamente molto noto a quella specifica parte di pubblico che lo segue e lo ammira, ma di certo non investito di un ruolo primario nella vita pubblica nazionale – riproposto in televisione a distanza di cinque anni, costituisce un fatto del tutto inidoneo ad aprire un dibattito di pubblico interesse, e – men che mai – risponde a quelle ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, o di interesse scientifico o didattico, che sole possono giustificare una nuova diffusione della vicenda da parte di una trasmissione televisiva.
E’, in realtà, innegabile che la reiterata messa in onda delle immagini televisive concernenti l’episodio in questione ha avuto come finalità unica di consentire l’inserimento del cantante nella trasmissione “(OMISSIS)”, allo scopo di renderlo inconsapevole partecipante ad una classifica dei personaggi “più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo”, inventata dalla stessa trasmissione, consentendo, in tal modo, il soddisfacimento di un interesse esclusivamente divulgativo, per finalità commerciali e di audience del gestore televisivo.
4.3. Ma vi è di più. I commenti posti a corredo delle immagini registrate ben cinque anni prima – non rispondono a quei criteri di continenza espressiva, scevra da “allusioni o considerazioni personali”, che – secondo la giurisprudenza Europea (Corte EDU, 19/10/2017 cit.) – valgono a porre in luce l’emersione, a distanza di anni, di un nuovo interesse pubblico obiettivo a conoscere una determinata vicenda del passato, senza finalità di denigrazione personale, al cospetto del quale il diritto dell’oblio diviene recessivo.
Nel caso concreto, invero, i commenti dell’inviato – posti in correlazione con l’inserimento, non autorizzato, del V. nell’impropria classifica suindicata- sono, per contro, surrettiziamente diretti a far apparire il cantante, in assenza di ulteriori e comprovati elementi obiettivi di riscontro, come una persona costantemente scortese ed antipatica e, per di più, ormai sul viale del tramonto, posto che le “luci della ribalta”, ormai da tempo, “non lo illuminano più”. Il pregiudizio all’identità personale dell’artista, scaturente da siffatta palese violazione del diritto all’oblio, risulta del tutto evidente.
5. Nè può condividersi l’assunto del giudice di appello, secondo il quale la lesività dei suddetti commenti audio alle immagini sarebbe, nella specie, discriminata dal legittimo esercizio del diritto di satira.
5.1. Secondo l’insegnamento di questa Corte, invero, la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicchè, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire esclusivamente fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira, e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (Cass., 17/09/2013, n. 21235; Cass., 28/11/2008, n. 28411).
5.2. Ebbene, nel caso di specie, va – per intanto – esclusa la sussistenza di uno dei connotati tipici della satira, costituito dall’espressione di una critica in forma paradossale, surreale ed iperbolica, ma va altresì radicalmente escluso che i commenti in questione – sebbene si riferissero un fatto vero – fossero finalizzati ad una denuncia sociale o politica, o ad un ragionato dissenso dall’opinione o dal comportamento altrui, tali da legittimare l’uso anche di espressioni fortemente critiche, o addirittura lesive dell’altrui reputazione. Nel caso concreto, infatti, i commenti in parola – tenuto conto del notevole lasso di tempo trascorso dall’episodio rappresentato, che mette fuori gioco l’esistenza di una critica spontanea ed immediata ad un comportamento ritenuto poco urbano e cortese del V. – sono chiaramente diretti ad una mera ed ingiustificata denigrazione dell’artista, fatto apparire come una persona costantemente scorbutica ed antipatica, e per di più, ormai da tempo, al termine della propria carriera.
Il tutto senza supportare in alcun modo – mediante un diligente lavoro di ricerca, effettuato sulla base di fonti “affidabili e verosimili” (Corte EDU, 19/10/2017, cit.) – la diffusione dell’immagine e del commento con informazioni tali da consentire di stabilire che non si fosse trattato di un episodico disappunto espresso dal cantante alla vista della troupe televisiva, al termine di una cena privata, e che effettivamente il V. fosse un cantante, ormai da anni, in declino.
6. L’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso – assorbiti gli altri (diffusione dell’immagine senza autorizzazione, violazione del principio di essenzialità dell’informazione e di rispetto della privacy, illegittimo utilizzo dell’immagine a fini commerciali) – comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà procedere all’esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2018
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