Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.12051 del 08/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2363/2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi, 99, presso lo studio dell’avvocato Rinaldi Stefania, rappresentato e difeso dall’avvocato De Matteis Elisabetta Maria, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare Commercio e Industria Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ennio Quirino Visconti 20, presso lo studio dell’avvocato Ristuccia Renzo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cataldo Fabrizio, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4611/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2019 da MARULLI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4611 dell’8.7.2014 la Corte d’Appello di Roma, in riforma dell’impugnata sentenza di primo grado, ha respinto la domanda proposta da M.M. nei confronti della Banca Popolare Commercio e industria s.p.a. intesa a conseguire il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla Repubblica argentina, operazione avvenuta senza che la banca fornisse le doverose informazioni di legge.

Nella specie era provato, a giudizio del decidente, in base ad elementi univoci, precisi e concordanti – tratti in particolare dalla composizione del portafoglio intestato allo stesso, dalla sottoscrizione nello stesso giorno di obbligazioni provviste di un rating inferiore, dall’elevato rendimento promesso, nonchè dalla media preparazione finanziaria e dalla discreta propensione al rischio dichiarata dall’interessato – che il M., quand’anche fosse stato debitamente informato, avrebbe effettuato comunque l’investimento.

Per la cassazione di detta sentenza il M. si affida a sette motivi di ricorso cui replica la banca con controricorso.

Memorie di entrambe le parti e conclusioni scritte del P.M. ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso il M. deduce la contrarietà dell’impugnata decisione all’art. 21 TUF e agli artt. 26, 28 e 29 Reg. Intermediari 11522/98 sul presupposto che, ragionando nei riferiti termini la Corte d’Appello, era venuta meno sia dal verificare “l’effettivo adempimento da parte della banca dei suddetti obblighi informativi” nei confronti dell’investitore prima di dar corso alle operazioni in contestazione, sia dal trarre dalla loro violazione “le necessarie conseguenze” a carico dell’inadempiente, non potendo correttamente “ipotizzarsi” che anche in presenza di un’adeguata informativa dell’intermediario, l’investitore avrebbe comunque dato corso all’operazione predetta.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, invece, il M. deduce la violazione dell’art. 23 TUF e dell’art. 29 Reg. Intermediari 11522/98, avendo il decidente “completamente omesso di verificare, in concreto, se la banca avesse dato la prova di aver adempiuto ai suddetti specifici obblighi di diligenza”, prestando all’investitore tutte le informazioni atte valutare l’adeguatezza ed il grado di rischio sotteso all’operazione realizzata.

2.3. Entrambi i motivi – alla cui disamina non si frappongono le preclusioni opposte in punto di ammissibilità dalla controricorrente, vero, riguardo alla prima, che non consta in materia un insegnamento di questa Corte a cui il decidente d’appello si sarebbe uniformato, che la questione sollevata ha un’immediata pregnanza giuridica e che la sua capitolazione risponde allo statuto di censurabilità per cassazione dell’errore di diritto e vero, riguardo alla seconda, che non può reputarsi nuova la questione della violazione degli obblighi informativi – sono esaminabili congiuntamente, in quanto afferenti al medesimo tema decisionale e sono fondati per l’effetto che il loro accoglimento, determinando la cassazione della decisione impugnata, rende superflua, in guisa di assorbimento in senso proprio, la cognizione degli altri motivi di ricorso.

2.4. La Corte d’Appello, come si è dianzi riferito, ha escluso l’invocata responsabilità risarcitoria della banca enunciando la convinzione che “il danno conseguente al default delle obbligazioni argentine può considerarsi eziologicamente connesso alla omissione di un obbligo informativo solo se può dirsi accertato che la diversa informazione non resa dall’intermediario era in concreto nella disponibilità di quest’ultimo e non risulti, anche in via presuntiva, che anche se avesse avuto l’informazione il cliente avrebbe comunque effettuato l’operazione”. E poichè “nella fattispecie vi è un quadro di elementi univoci, precisi e concordanti idoneo a ritenere presuntivamente che il M. avrebbe effettuato comunque l’investimento”, non è perciò imputabile alla banca e, marcatamente, alla dedotta violazione da parte di questa degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari, il danno lamentato dal M. e la domanda del medesimo va per questo respinta.

2.5. L’assunto, così sviluppato, è frutto di un manifesto errore nell’impostazione della questione, giacchè la Corte d’Appello ha posposto il giudizio sulla violazione degli obblighi informativi alla sussistenza nella specie del nesso di causalità tra l’asserita violazione di essi ed il danno lamentato dal ricorrente e, seguendo questo filo logico, è pervenuta alla conclusione che il danno allegato dal M. non sarebbe imputabile alla banca in quanto egli avrebbe comunque effettuato l’investimento.

In linea di principio, e coerentemente con le regole che governano la responsabilità risarcitoria, il ragionamento potrebbe apparire corretto, poichè la ritenuta determinazione del M. di procedere comunque all’investimento, argomentata dal decidente sulla scorta di plurimi riscontri indiziari secondo il principio di causalità accolto dall’ordinamento civilistico si presterebbe, quale serie causale autonoma, a rescindere il legame altrimenti corrente tra l’inadempimento imputato alla banca ed il danno lamentato dall’investitore. Sennonchè nel procedere in questa direzione la Corte d’Appello non si avveduta delle ricadute che anche nel contesto da essa esaminato discendono dallo speciale regime di favore che in punto di ripartizione dell’onere della prova il legislatore ha voluto dettare a tutela dell’investitore.

L’art. 23, comma 6, TUF, a questo riguardo, prevede che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Questo ha portato a codificare il principio, di recente reiterato all’esito di una circostanziata ricognizione della materia (Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10111), che “in tema d’intermediazione finanziaria, il riparto dell’onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall’investitore – in cui deve accertarsi se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal D.Lgs. n. 58 del 1998, e dalla normativa secondaria – impone innanzitutto all’investitore stesso di allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l’intermediario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta”” (Cass., Sez. I, 19/01/2016, n. 810). Ma anche offerto il pretesto per affermare, sul presupposto che non vi può essere un investimento consapevole se non vi sia stata un’informazione adeguata, ed in dissenso con il Procuratore Generale, che “la prova dell’avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità” (Cass., Sez. I, 28/02/2018, n. 4727). Ed invero si è di nuovo chiarito, quanto alla latitudine degli obblighi informativi, che essi sono “diretti in generale a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, avendo acquisito l’intero ventaglio delle informazioni, specifiche e personalizzate, che, di volta in volta, alla luce del parametro di diligenza applicabile, l’intermediario debba fornire in ragione dell’investimento prescelto, tenuto conto tanto delle caratteristiche dell’investitore, quanto di quelle del titolo verso cui si indirizza l’investimento,… sicchè, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie, l’intermediario deve esemplificativamente rendere edotto l’investitore del rating, della eventuale offering circolar e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato, di eventuali situazioni di grey market e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente sempre che resti apprezzabile da esso intermediario” (Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10111), e la propensione al rischio dell’investitore non vale a liberare l’intermediario dall’obbligo di offrire, come ora si legge nell’art. 27 del Regolamento Consob 16190/2007, pur non applicabile alla specie, “in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinchè essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole”.

2.6. La conseguenza di questo ragionamento è che si potrà pure escludere la responsabilità dell’intermediario per difetto del nesso di causalità tra violazioni degli obblighi informativi gravanti su costui ed il pregiudizio che ne abbia sofferto il cliente, perchè, quantomeno in questo caso “l’esistenza del nesso causale andrà accertata in concreto, non potendosi escludere che l’investitore, una volta correttamente informato, avrebbe deciso di dar corso ugualmente all’investimento” (Cass., Sez. I, 28/02/2018, n. 4727); ma ciò sarà possibile se e in quanto all’investitore sia stata fornita un’informazione corretta ai fini di valutare i rischi connessi al proprio investimento, a nulla rilevando in contrario che l’operazione risulti adeguata alla profilazione del cliente o che se possa presumere, come fatto qui, la discreta propensione al rischio. In breve, come si è detto ancora di recente “le valutazioni dell’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del cliente ed alla sua buona conoscenza del mercato finanziario non escludono la gravità dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario, sicchè il fatto che l’investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie che egli selezioni tra questi ultimi quelli, a suo giudizio, aventi maggiori probabilità di successo, grazie alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli” (Cass., Sez. I, 4/04/2018, n. 8333).

2.7. A questi principi non si uniforma la sentenza in esame. Essa ha erroneamente ascritto portata decisiva al preteso difetto di connessione causale tra inadempimento degli obblighi informativi e danno patito dall’investitore sostenendo presuntivamente che il ” M. avrebbe effettuato comunque l’investimento”, ma ciò senza previamente chiedersi se gli obblighi informativi, alla cui osservanza l’intermediario è sempre tenuto, fossero stati nella specie correttamente adempiuti e se nell’atto di decidere comunque di effettuare l’investimento il cliente disponesse di tutte le informazioni adeguate a valutare il rischio di perdere, come poi accaduto, buona parte del suo valore.

3. Nei limiti dei motivi accolti la sentenza va dunque cassata e la causa va rinviata al giudice a quo per il doveroso seguito.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Roma che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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