LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7161-2016 proposto da:
L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE CICCHIRILLO e SALVATORE FERRARA;
– ricorrente –
contro
SIAE – SOCIETA’ ITALIANA DEGLI AUTORI ED EDITORI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARIA VALERIO RIGI LUPERTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO PESSI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 406/2015 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 18/02/2015, R.G.N. 11325/2013.
RILEVATO
che:
1. L.G. convenne in giudizio la SIAE per sentir accertare e dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della Società Italiana Autori ed Editori con la quale aveva intrattenuto una serie di rapporti di lavoro autonomo a decorrere dal 1 gennaio 2001 e fino al 2013 (2001- 2004 contratti di lavoro autonomo, 1 maggio 2005 al 31 dicembre 2007 contratti a progetto, 2008 – 2013 rapporti professionali con iscrizione alla gestione separata dell’Inps). Ad avviso del ricorrente la prestazione lavorativa era stata resa in regime di collaborazione coordinata e continuativa e, perciò, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 bis, introdotto dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, il rapporto avrebbe dovuto essere trasformato in lavoro a tempo indeterminato dal 18 luglio 2013.
2. La S.I.A.E. si costituì per resistere alla domanda eccependo l’inapplicabilità al caso concreto dell’art. 69 bis, introdotto dalla L. n. 92 del 2012, atteso che il rapporto con il L. era cessato nel maggio del 2013.
3. Il Tribunale rigettò la domanda sul rilievo che la norma invocata trovava applicazione ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore e, per i rapporti in corso, solo dopo che erano decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012. Sotto altro profilo, poi, il Tribunale ritenne che non fosse stata offerta alcuna prova della natura altrimenti subordinata del rapporto evidenziando che la prova articolata nelle note conclusive era tardiva.
4. La Corte di appello di Palermo, investita del gravame, lo dichiarò inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e segg., ritenendo che non vi fosse una ragionevole probabilità che potesse essere accolto.
5. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Palermo propone ricorso L.G. che articola tre motivi. Resiste con controricorso la S.I.A.E.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
6. Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla controricorrente atteso che l’ordinanza pronunciata dalla Corte di appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti il giorno stesso (5 gennaio 2016) (cfr. ordinanza allegata al ricorso per cassazione doc. 2) e pertanto da tale data è decorso il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso in cassazione che,essendo scaduto sabato 5 marzo 2016, è stato prorogato al lunedì 7 marzo 2016 quando il ricorso risulta avviato per la notifica. Come è noto, infatti, ” la disciplina del computo dei termini di cui all’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione.”(cfr. Cass. 16/11/2016 n. 23375).
7. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 bis, in relazione all’art. 69 comma 1 dello stesso D.Lgs..
7.1. Sostiene il ricorrente che ha prescindere dalla inapplicabilità al caso concreto dell’art. 69 bis citato il Tribunale avrebbe dovuto comunque ritenere applicabile al rapporto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, atteso che la prestazione, pur proseguita in regime di partita IVA dal 2008 in poi, era stata resa dal dicembre 2000 con una serie di contratti prima autonomi e poi in virtù di un insussistente progetto. Inoltre evidenzia che solo la Corte di appello aveva affrontato seppur fugacemente il problema dell’esistenza di un valido progetto per affermare che la tendenziale coincidenza tra le finalità produttive del datore di lavoro e le mansioni assegnate nel progetto non impedisce che un progetto ci sia, laddove invece secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale il progetto non può consistere nella riproposizione dell’oggetto sociale.
8. La censura è infondata.
8.1. Premesso che il giudice è tenuto a pronunciare nei limiti della domanda formulata, va rilevato che il Tribunale ha correttamente limitato la sua indagine alla dedotta richiesta di applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 bis, introdotto con la L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 26, ed ha correttamente evidenziato che il rapporto tra le parti era cessato nel maggio 2013 quando non era ancora decorso l’anno dall’entrata in vigore della disposizione.
8.2. Il comma 4 della citata disposizione prevede infatti che la presunzione che le prestazioni rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto siano considerate rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – nel ricorso delle condizioni indicate dalla disposizione stessa e salva prova contraria del committente – e la conseguente integrale applicazione della disciplina dettata al riguardo per tali rapporti ivi compresa la disposizione dell’art. 69, comma 1, si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Precisa poi che per i rapporti, quali quello in esame, in corso a tale data le dette disposizioni si applicano decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione anche per consentire i necessari adeguamenti.
8.3. Il chiaro tenore testuale della disposizione non consente di applicarla, pertanto, al caso in esame in cui il rapporto è cessato prima dell’anno dall’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012 (la legge è entrata in vigore il 18 luglio 2012 e dunque l’anno si è compiuto il 18 luglio 2013 mentre il rapporto tra le parti è cessato nel maggio 2013).
9. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia sulla natura parasubordinata del rapporto di lavoro stante il carattere di collaborazione coordinata e continuativa della prestazione, sebbene al riguardo fosse stata avanzata una specifica domanda.
10. La censura prima ancora che infondata è inammissibile atteso che il Tribunale ha evidenziato che il ricorrente nulla aveva dedotto circa la natura altrimenti subordinata del rapporto sottolineando che tardivamente, nelle note conclusive, aveva al riguardo articolato la prova. Nel ricorso in cassazione non viene contrastata tale affermazione se non riportando la generica statuizione contenuta nel ricorso di primo grado che nel corso degli anni 2001-2013 la prestazione lavorativa resa “è stata di tipo co.co.co.”. Non si chiarisce affatto se e come la domanda, ritenuta generica ai limiti dell’inesistenza dal Tribunale, fosse in realtà più specifica. In tal modo è preclusa alla Corte la verifica chiesta circa la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato che deve essere resa possibile attraverso la mera lettura dell’atto di ricorso. Ed infatti affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. Cass. 10/07/2018 n. 18163, 04/07/2014 n. 15367, 14/10/2010 n. 21226, 19/03/2007 n. 6361).
11. Con il terzo motivo di ricorso, in via subordinata, è denunciata la carenza assoluta di motivazione su un punto decisivo della controversia e la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6.
11.1. Sostiene il ricorrente che il Tribunale non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali ha qualificato la domanda di accertamento che la prestazione era stata resa in regime di collaborazione coordinata e continuativa dovesse essere riqualificata come domanda di riconoscimento della natura subordinata del rapporto.
12. Anche tale censura è inammissibile per le medesime ragioni esposte in risposta al precedente motivo che qui si richiamano.
13. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente soccombente e sono liquidate ella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019