Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.12188 del 08/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11783/2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale dell’Università n. 11, presso lo studio dell’avvocato Benzi Emiliano, rappresentato e difeso dall’avvocato Ballerini Alessandra, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Genova;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1304/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/03/2019 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Genova con sentenza in data 13/10/2017, ha rigettato il ricorso proposto da T.A. nato in *****, volto, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino, sezione di Genova, di essere fuggito dal proprio paese a causa delle minacce di morte ricevute da lui medesimo e da suo padre, arrestati dalla polizia dopo la loro opposizione ad un provvedimento di esproprio di un terreno di famiglia da parte del governo. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 Cost., dell’art. 11 del Patto Internazionale delle Nazioni Unite del 1996 (ratificato con L. n. 881 del 1977) in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed art. 19; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale aveva ritenuto l’assenza di elementi personali riconducibili ai requisiti previsti per ottenere la concessione della protezione umanitaria.

Il ricorso è infondato è deve essere respinto in quanto contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54,convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un. n. 8053/2014).

La sentenza impugnata che ritiene anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, ha poi ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè il Gambia escludendo così il diritto allo alla protezione sussidiaria ed umanitaria.

In ordine al dovere del giudice di attivare poteri officiosi di indagine, nella specie, la Corte territoriale ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria officiosa che incombe sul giudice, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona nei casi previsti dall’art. 14, lett. C) e cioè “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata l’assenza di una tale tutela e l’incapacità dello Stato di origine del ricorrente di offrire adeguata protezione ai suoi cittadini.

In ordine in particolare alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – il giudice anche avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ha escluso con accertamento di fatto insindacabile in questa sede l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 201, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. 19/2/2019 n. 4890).

In riferimento al parametro dell’inserimento dello straniero occorre osservare che il ricorrente non solo non ha provato di aver trovato un lavoro in Italia, ma nemmeno ha allegato elementi che consentano di stabilire se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. 4455/2018). Il ricorso proposto deve pertanto essere respinto con condanna del ricorrente alle spese di giudizio. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00 oltre spad.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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