Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.12258 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29491-2016 R.G. proposto da:

S.P., e A.C., rappresentate e difese dall’Avv.to Alessandra Ibba, con domicilio eletto in Roma, via Flaminia n. 354, presso lo Studio dell’Avv.to Claudio De Portu;

– ricorrenti –

contro

A.A.;

– resistente –

avverso la sentenza n. 536/2016 della Corte d’Appello di Cagliari, depositata il 12/07/2016;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

FATTI DI CAUSA

S.P. e A.C., formulando quattro motivi di ricorso, ricorrono per la cassazione della sentenza n. 536/2016 della Corte d’Appello di Cagliari, depositata il 12/0/2016.

Nessuna attività difensiva è svolta da A.A.M..

A.A.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cagliari, la madre, S.P., e la sorella, A.C., affinchè venissero condannate a rilasciare, Con i mobili e con i libri contenutivi, l’immobile di sua proprietà, sito in *****, di cui le convenute, insieme con il padre, avevano ottenuto la disponibilità a titolo di pura cortesia, e perchè venissero condannate a risarcirle i danni per mancata disponibilità del bene.

Le convenute, resistevano alla domanda attorea, deducevano che l’immobile era stato acquistato dall’attrice grazie alla sua iscrizione ad una Cooperativa istituita per la costruzione ed assegnazione di immobili a favore dei dipendenti delle Aziende sanitarie con denaro messole a disposizione da S.P. e con un mutuo bancario cui aveva fatto fronte sempre S.P.. L’attrice, infatti, solo formalmente intestataria dell’immobile, avrebbe poi concesso il diritto di abitazione sul bene alla madre ed alla sorella fino alla loro morte.

Con domanda riconvenzionale chiedevano, in via principale, che fosse accertata la ricorrenza tra le parti di un contratto a prestazioni corrispettive oppure la loro titolarità del diritto di abitazione sull’immobile o in alternativa che il giudice riqualificasse il rapporto tra le parti quale contratto di comodato vita natural durante; in subordine, chiedevano che l’attrice fosse condannata a restituire la somma di Euro 35.151,98 ottenuta per acquistare il bene o la diversa somma accertata in giudizio.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea e condannava le convenute al rilascio immediato dell’appartamento, dei mobili e dei libri in esso contenuti nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, ed alla rifusione delle spese processuali.

La Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza oggetto della odierna impugnazione, investita del gravame da S.P. e da A.C., confermava la sentenza impugnata e condannava le appellanti alla rifusione delle spese di lite.

In particolare, la Corte territoriale negava che le appellanti fossero titolari di un diritto di abitazione, mancando la forma scritta dell’atto costitutivo; qualificava l’accordo tra le parti come comodato precario, perchè non era stata dimostrata la ricorrenza di un comodato ad uso abitativo vita natural durante; riteneva che: a) le appellanti avrebbero dovuto dimostrare di avere avuto la disponibilità del bene in virtù di un diritto che ne giustificasse la ritenzione in caso di semplice richiesta del proprietario; b) i beni di cui A.A.M. aveva chiesto la restituzione erano stati acquistati con suo denaro, come provavano gli effetti cambiari prodotti in giudizio; c) la domanda risarcitoria era giustificata dal mancato rilascio dell’immobile, a seguito di semplice richiesta; d) non ammetteva il documento datato 10 maggio 1993, sottoscritto dal presidente della cooperativa, non solo perchè prodotto tardivamente, ma anche perchè non decisivo, giacchè da esso non emergeva da chi provenissero i soldi necessari per il pagamento della quota di iscrizione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.nonchè agli artt. 1803,1809 e 1810 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e la ricorrenza di una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile circa il fatto decisivo costituito dalla qualificazione del rapporto tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La tesi sostenuta è che sulla natura di comodato ad uso abitativo si fosse formato il giudicato interno, discutendosi in appello solo della relativa durata; pertanto, il giudice del gravame, qualificando il contratto per cui è causa come comodato precario piuttosto che come comodato destinato ad uso abitativo, avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

In aggiunta, il giudice a quo quando aveva ritenuto non provata da parte loro la ricorrenza di tale contratto, perchè “come affermato dal primo giudice, la costituzione del diritto di abitazione avrebbe dovuto essere fornita per iscritto (…)”, sarebbe incorso in errore, perchè il Tribunale si riferiva alla domanda riconvenzionale con cui era stato chiesto il riconoscimento della titolarità da parte loro del diritto di abitazione sull’immobile.

Va rilevato che la minima unità suscettibile di acquistare la stabilità del giudicato interno è costituita dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico. Occorre, dunque, una statuizione autonoma – che cioè risolva una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente, e non meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, o valutazioni di meri presupposti di fatto (Cass. 04/10/2018, n. 24358) – che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.

Ne consegue che l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli elementi costitutivi della sequenza logica riapre la cognizione sull’intera statuizione, impedendo la formazione del giudicato (Cass. 08/10/2018, n. 24783).

Nel caso di specie, ad avviso di questa Corte, deve escludersi che sulla questione della qualificazione giuridica del comodato ad uso abitativo, nel senso preteso dalle ricorrenti si fosse formato il giudicato; lo stesso vale per l’interpretazione della disciplina legale da applicare nella specie e per la ricostruzione dei fatti posti a base della domanda dell’attrice. La Corte territoriale, investita della questione della sussistenza delle condizioni perchè l’attrice ottenesse l’immediato rilascio dell’immobile, era, infatti, tenuta ad esaminare se, sulla base dei fatti ritualmente allegati, ricossero i presupposti per applicare l’art. 1809 c.c. oppure dell’art. 1810 c.c. nonchè se la soluzione adottata dal giudice di primo grado fosse stata corretta, in relazione all’interpretazione ed alla sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta prevista dal codice civile.

La Corte territoriale, cui era vietato modificare il petitum e la causa petendi, era, però tenuta, in considerazione del tradizionale principio iura novit curia (sancito dall’art. 113 c.p.c.) a qualificare giuridicamente i fatti offerti dalle parti, senza essere vincolata dalla qualificazione da queste ultime addotta, dalle loro argomentazioni giuridiche e dalla normativa invocata a sostegno delle proprie domande.

Per di più, la questione sollevata risulta malposta, perchè non mette bene a fuoco la ratio decidendi della sentenza impugnata ed erra nel ritenere il comodato precario incompatibile con il soddisfacimento di esigenze abitative.

Il fatto che la Corte territoriale abbia qualificato come precario il contratto di comodato per cui è causa non significa che ne abbia disconosciuto la destinazione ad uso abitativo. Ciò che il giudice ha negato è che, come preteso dalle ricorrenti, il contratto, anzichè precario, quindi privo di termine finale, avesse un termine determinato per relationem con riferimento alla vita dei comodatari: tutti gli argomenti della sentenza gravata sono relativi alla mancata prova che le ricorrenti avessero ottenuto la disponibilità del bene vita natural durante (cfr. p. 6, quando afferma che non sono emersi elementi sufficienti per ritenere dimostrata la ricorrenza di un comodato destinato ad uso abitativo, così come prospettato dalle appellanti, p. 7 quando valuta la dichiarazione di S.I. quanto alla natura non precaria della loro permanenza nell’immobile).

2. Con il secondo motivo le ricorrenti imputano alla Corte territoriale di aver violato e falsamente applicato gli artt. 1803,1809 e 1810 c.c. e gli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè di aver dato luogo ad una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile sul punto decisivo costituito dalla qualificazione del rapporto tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui aveva attribuito loro l’onere di provare di avere la disponibilità del bene in virtù di un diritto che ne giustificasse la ritenzione.

Quanto alla censura relativa alla mancata prova che il contratto non fosse precario, essa è inammissibile, perchè attraverso il paradigma dell’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dalla testimonianza di S.I., le ricorrenti pretendono di dimostrare che la durata del contratto fosse quella della vita delle comodatarie.

Tutte le argomentazioni addotte a sostegno della dedotta violazione di legge sono orientate a dimostrare che tale testimonianza non fosset nè generica nè resa da una testimone inattendibile (benchè dell’attendibilità della testimone nella sentenza non si faccia questione).

E’ evidente che le ricorrenti, pur avendo censurato la sentenza impugnata per violazione di legge, hanno concretamente prospettato un vizio di omesso esame di un fatto storico identificato nella prova testimoniale, di cui, in ossequio al principio di autosufficienza, è stato individuato il contenuto ed indicato il verbale di udienza relativo. E’ vero che inizialmente era stata denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c. configurando l’ipotesi che il giudice di merito avesse attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sarebbe risultata gravata, tuttavia, la prospettazione a sostegno del motivo di impugnazione ha investito esclusivamente la valutazione della prova testimoniale.

Pur correggendo l’errore di sussunzione, il mezzo di impugnazione risulta inammissibile, perchè le ricorrenti intendono far valere il proprio convincimento soggettivo in merito all’esito più adeguato sull’attendibilità della testimone e sull’esito della ricostruzione dei fatti. Tali aspetti del giudizio appartengono, infatti, all’ambito della discrezionalità del giudice, in tutte le sue declinazioni (ammissione, attendibilità, concludenza), insindacabili da parte del giudice di legittimità, quando, come nel caso di specie, la decisione del giudice sia sorretta da una motivazione capace di identificare il procedimento logico-giuridico da essa sotteso e di dare contezza di tutto il materiale probatorio sottoposto al suo esame: alla p. 7 la sentenza chiarisce che le generiche dichiarazioni di S.I. relative a fatti appresi da discorsi di famiglia non erano sufficienti a provare l’attribuzione alle convenute di un diritto non precario e dà conto anche dell’esito dell’esame della testimonianza di A.S. e le affermazioni di A.A.M. aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione agli artt. 1424,1803,1809 e 1810 c.c. nonchè degli artt. 115,115 c.p.c. e 2697 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la ricorrenza di una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile circa il fatto decisivo costituito dalla prova del rapporto tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In sostanza, adducono che, dalle prove fornite, era emerso l’intento della proprietaria di concedere l’appartamento alla madre ed alla sorella perchè vi abitassero vita natural durante e che, il giudice, a fronte del rigetto della loro richiesta di vedersi riconosciuta la titolarità del diritto di abitazione fino alla morte per difetto di forma scritta dell’atto costitutivo, avrebbe dovuto convertire il contratto nullo in un contratto di comodato vita natural durante, ex art. 1424 c.c.

Il motivo è infondato.

In tema di nullità contrattuale, il potere del giudice di rilevarla d’ufficio non può estendersi fino alla conversione del contratto nullo (Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242).

L’istanza di conversione avrebbe dovuto essere sollevata dalla parte interessata nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità del titolo posto a fondamento della domanda, essendo detta istanza strettamente consequenziale all’esercizio del potere officioso del giudice.

In aggiunta, implicando un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la conversione del contratto nullo non può essere compiuta in sede di legittimità. Queste le premesse in astratto.

In concreto, poi, va considerato che ai fini della conversione del contratto ex art. 1424 c.c. deve sussistere un duplice requisito; da un lato, il rapporto di continenza tra il contratto nullo e quello in cui quello affetto da invalidità totale dovrebbe esser convertito, dall’altro, il comune orientamento delle parti verso tale risultato. Assume carattere assorbente, ad avviso di questa Corte, il rilievo che non esiste prova che sia mai stato stipulato un contratto volto ad attribuire un diritto reale a favore delle ricorrenti; essendovi a sostegno solo l’allegazione, sfornita di prova, di un mero impegno verbale della proprietaria, non ricorrerebbero nel caso di specie neppure i presupposti per operare l’invocata conversione.

4. Con il quarto motivo le ricorrenti assumono la nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 112,115e 116 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale subordinata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Asserendo di avere provato in causa, tramite la testimonianza resa da S.I., che S.P. aveva corrisposto alla figlia Euro 36.151,98 per l’acquisto dell’appartamento, le ricorrenti deducono che il giudice a quo sarebbe incorso in una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato omettendo qualsiasi attività sulla domanda riconvenzionale, formulata in via subordinata, di restituzione di tale somma o di quella giudizialmente accertata.

Il motivo merita accoglimento.

In via riconvenzionale e subordinata al mancato accoglimento delle conclusioni principali, le ricorrenti avevano chiesto la condanna della comodante alla restituzione di Euro 36.151,98 o della diversa somma accertata giudizialmente.

E’ stata rivolta al giudice una specifica domanda, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, rispetto alla quale la pronunzia si rendeva necessaria ed ineludibile; l’istanza è stata riportata puntualmente e negli esatti termini nel ricorso, con la specifica indicazione dell’atto difensivo nel quale era stata proposta, perciò il motivo merita accoglimento.

5. Con il quinto motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la ricorrenza di una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile circa la decisività della prova documentale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere il giudice d’appello adeguatamente motivato quanto alla non decisività del documento prodotto in giudizio, dal quale, a loro avviso, sarebbe emerso che la quota di iscrizione alla Cooperativa non era stata pagata, come sostenuto da A.A.M., con l’anticipazione ottenuta ai sensi della L. n. 1224 del 1956, bensì con denaro ricevuto dai suoi genitori.

Il motivo è inammissibile.

Il documento non è stato ammesso per due ragioni: la sua tardiva produzione in appello; il difetto di decisività perchè da esso non si evinceva chi avesse fornito il denaro necessario a versare la quota di iscrizione e quindi non era idoneo a dissipare lo stato di incertezza circa il fatto controverso.

6. Ne consegue l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

7. La Corte cassa in relazione al motivo accolto e rinvia la controversia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.

Rigetta gli altri motivi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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