LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21428/2017 R.G. proposto da:
M.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Sandro Martinelli;
– ricorrente –
contro
C.F., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Domenica La Badessa e Raffaella Chiummiento, con domicilio eletto in Roma, via del Viminale, n. 43, presso lo studio dell’Avv. Lidia Lorenzoni;
– ricorrente incidentale –
e contro
Generali Italia S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Franco Tassoni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cristoforo Colombo, n. 440;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Ministero dell’Interno e A.F.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila, n. 659/2017, pubblicata il 19 aprile 2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. M.S. ricorre con unico mezzo avverso la sentenza in epigrafe che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha integralmente rigettato la domanda di risarcimento proposta, ex art. 2043 c.c., nei confronti degli odierni controricorrenti e intimati per i danni subiti a seguito del sinistro verificatosi in data *****, nel piazzale della scuola di *****, durante un’esercitazione di “fermo di veicolo in movimento”, allorquando venne attinto al ginocchio destro dallo sportello blindato di un’autovettura utilizzata a tal fine, aperto dall’agente A.F., allievo che eseguiva la simulazione.
Confermata la giurisdizione dell’adito giudice ordinario (per essere stata dedotta la responsabilità extracontrattuale dei convenuti ex art. 2043 c.c., con riferimento “all’elemento materiale dell’illecito non ricollegabile, sic et simpliciter per il solo fatto di essersi verificato nel corso di una esercitazione didattica, al rapporto di pubblico impiego, ovvero alla violazione di obblighi nascenti dal rapporto di lavoro”) nonchè l’esclusione della responsabilità del C. (conducente del mezzo nella occasione) e dell’obbligo indennitario della compagnia di assicurazioni (per non essere la fattispecie riconducibile all’ambito oggettivo di applicabilità della L. 24 dicembre 1969, n. 990, essendo avvenuto l’incidente nel piazzale interno della caserma inibito alla circolazione di estranei), la Corte d’appello, difformemente dal primo giudice, ha ritenuto anche insussistenti i presupposti delle invocate responsabilità del Ministero e dell’ A..
2. C.F. deposita controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., con il quale propone ricorso incidentale con unico mezzo, in relazione alla confermata compensazione delle spese del giudizio di primo grado e all’analoga statuizione emessa per il giudizio d’appello.
Generali Italia S.p.A. deposita controricorso, anch’esso illustrato da memoria.
Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso M.S. denuncia “violazione e/o falsa applicazione (art. 2043 c.c., art. 2087 c.c., art. 116 c.p.c., art. 2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p.)”.
Lamenta che la Corte d’appello, nell’escludere la responsabilità extracontrattuale dell’ente proprietario del mezzo per difetto di manutenzione, ha erroneamente omesso di indagare la sussistenza della diversa responsabilità (contrattuale) ex art. 2087 c.c., presidiata da un inverso criterio di riparto dell’onere probatorio; rimarca che tale prospettiva qualificatoria era stata peraltro incidentalmente evocata in sentenza là dove si fa incidentalmente riferimento all’obbligo dell’ente datore di lavoro di adottare “le misure necessarie a garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore dipendente”.
Deduce inoltre che erroneamente in assenza di “qualsiasi logica e razionale argomentazione” la Corte ha ritenuto che la manovra di apertura dello sportello integri nella fattispecie caso fortuito.
2. Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili di censura.
2.1. Quanto al primo per la sua evidente aspecificità, non confrontandosi con la ratio decidendi e comunque non aggredendola con censura specifica e rispettosa degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6.
La Corte d’appello ha infatti espressamente qualificato la domanda come intesa a far valere la responsabilità extracontrattuale dei convenuti e non invece quella contrattuale ex art. 2087 c.c., del datore di lavoro, evidenziando che tale era anche la qualificazione prospettata dall’attore nell’atto introduttivo, pervenendo, in ragione di ciò, all’affermazione della giurisdizione ordinaria (ciò in coerenza con il criterio discretivo in proposito indicato da plurime sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte, alcune delle quali espressamente richiamate dai giudici a quibus: v. e plurimis Cass. Sez. U. 15/11/2016, n. 23228; 05/05/2014, n. 9573; 17/05/2013, n. 12103).
A fronte di tale qualificazione della domanda la censura avrebbe dovuto essere mirata a contestare la correttezza della qualificazione della domanda e dunque a prospettare un error in procedendo, offrendo altresì gli elementi idonei a consentire con immediatezza il controllo demandato alla Cassazione, trascrivendo il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e localizzandolo nel fascicolo processuale del giudizio di legittimità.
Questa Corte al riguardo ha più volte chiarito, con fermo indirizzo, che anche in ipotesi di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone, comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata e ciò già anteriormente all’introduzione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (cfr. ex plurimis Cass. nn. 5148 del 2003; 20405 del 2006; 21621 del 2007).
Con specifico riferimento alla vigenza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, merita, in particolare, rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo sull’esegesi del diverso onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno confermato, anche per gli atti processuali, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità, del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (cfr. Cass. Sez. U. 03/11/2011, n. 22726) e, con più specifico riferimento alla deduzione dell’error in procedendo, hanno, altresì, puntualizzato che il Giudice di legittimità è bensì investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
Tali oneri risultano inadempiuti nel caso di specie, palesando la censura un contenuto meramente assertivo e del tutto astratto da ogni pertinente allegazione sul contenuto della domanda introduttiva.
2.2. Sotto il secondo profilo la censura lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure di merito del tutto irricevibili”.
Giova in proposito rilevare che, peraltro, il riferimento in sentenza alla nozione di caso fortuito non va inteso nei rigorosi termini in cui esso è affermato in ambito di responsabilità oggettiva; nel contesto argomentativo in cui esso è inserito, volto a indagare la sussistenza dei presupposti della dedotta responsabilità per colpa, con esso piuttosto s’intende esprimere, con espressione sintetica forse inappropriata ma efficace, il convincimento – tipicamente di merito e non sindacabile in questa sede – della non ravvisabilità di profili di colpa in capo alla condotta del Ministero e dell’ A..
3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale – che, come s’è detto, investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la compensazione delle spese del giudizio di primo grado e ha analogamente disposto per quelle del giudizio d’appello – C.F. denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta che la motivazione sul punto adottata dalla Corte d’appello (secondo cui “le complessive ragioni del decidere, fondate su una diversa valutazione delle emergenze istruttorie, e le articolate reciproche posizioni riguardate sotto il profilo delle diverse causae petendi poste a fondamento delle domande giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite anche per il presente grado di giudizio”), non soddisfa i requisiti all’uopo previsti dalla richiamata norma processuale, sia nella sua versione post riforma del 2009 (antecedente l’introduzione della causa di appello) sia in quella post 2014, che egli assume astrattamente applicabili alla fattispecie.
4. Anche tale motivo è inammissibile.
Diversamente da quanto postulato dal ricorrente incidentale, trattandosi di giudizio introdotto in primo grado in data 14/9/2004, e comunque anteriormente al 1/3/2006, trova applicazione nella specie (come espressamente disposto dalla norma transitoria di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 4, come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater, convertito con modifiche dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51) l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella originaria formulazione, anteriore alle modifiche introdotte nel 2005 e poi nel 2009 ed infine nel 2014.
Secondo detta originaria formulazione “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Dalla giurisprudenza di questa Corte tale norma è stata costantemente interpretata nel senso che la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale, con la precisazione che peraltro, a tal fine, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito) (v. ex multis Cass. Sez. U. 30/07/2008, n. 20598; Cass. 17/05/2012, n. 7763).
Nel caso di specie la Corte di merito ha offerto, della propria scelta, una giustificazione non manifestamente illogica o contraddittoria e, come tale, alla stregua dell’esposto principio, essa è non sindacabile in questa sede.
5. Stante la reciproca soccombenza, possono essere compensate le spese processuali tra il ricorrente principale e quello incidentale.
Si ravvisano altresì giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese anche nei confronti dell’altra controricorrente.
Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato a carico sia del ricorrente principale, che di quello incidentale.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente le spese tra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019
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