LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23601-2012 proposto da:
MOTIVE SERVICE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE ANGELICO 34, presso lo studio dell’avvocato MARIO ADDARI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PETRUCCI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI ROMA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 128/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 18/07/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE.
RITENUTO IN FATTO
A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società Motive Service srl un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2005, recuperando a tassazione Euro 841.810 ai fini Irpef ed Irap, ed Iva per Euro 22.499.
Contro l’avviso di accertamento la società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo accoglieva con sentenza n. 69 del 2010.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva parzialmente con sentenza n. 128 del 18.7.2011.
Contro la sentenza di appello la società propone due motivi di ricorso per cassazione. Il curatore della società ricorrente, nel frattempo dichiarata fallita, deposita memoria manifestando l’intenzione di proseguire il giudizio, a ciò debitamente autorizzato dal Giudice delegato.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Primo motivo: “Insufficienza della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5)”, nella parte in cui la C.T.R. ha confermato il recupero a tassazione dei risconti attivi (quota parte dei costi del 2005 rinviati ad esercizi successivi); la ricorrente assume la “assoluta illegittimità della tesi avanzata dalla Guardia di Finanza di e Agenzia delle Entrate e fatta propria dalla Commissione tributaria regionale del Lazio”; dopo avere illustrato l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, denuncia la “carenza di motivazione circa il recupero a tassazione dei risconti attivi”.
La censura è inammissibile sotto più profili. Per un primo aspetto essa non contiene alcun specifico riferimento ai passaggi argomentativi della sentenza impugnata, ma denuncia cumulativamente che “nè la Guardia di Finanza, nè l’Agenzia delle Entrate nè da ultimo la Commissione tributaria regionale con la sentenza impugnata, hanno mai portato a conoscenza della ricorrente i motivi di fatto e di diritto che sul punto giustificano l’insorgenza della obbligazione tributaria a suo carico”, operando una inestricabile commistione tra doglianze relative alla asserita violazione obbligo di motivazione dell’atto impositivo e quelle propriamente attinenti all’obbligo di motivazione della sentenza da parte del giudice di appello; inoltre la ricorrente, prescindendo dalle motivazioni addotte dal giudice di appello, richiede inammissibilmente a questa Corte di effettuare ex novo l’apprezzamento di fatto in ordine alla natura di risconti attivi della voci indicate esemplificativamente nel ricorso; il ricorso è ulteriormente inammissibile per genericità, poichè non specifica quali siano le voci dei risconti attivi il cui recupero a tassazione sarebbe stato erroneamente ritenuto fondato dal giudice di appello.
2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto”.
Il motivo è inammissibile. La denuncia concretamente articolata non contiene alcun riferimento al contenuto della sentenza oggetto di impugnazione, ma procede direttamente alla critica dell’l’operato della Agenzia delle Entrate sotto il profilo della asserita mancata applicazione, da parte dell’Ufficio impositore, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110,comma 8, e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6. La ricorrente introduce direttamente, davanti a questa Corte, motivi di contestazione dell’atto impositivo la cui sede naturale è rappresentato dal giudizio di merito di primo grado, con eventuale devoluzione della questione al giudice di appello; con riferimento alla dedotta sussistenza della causa di non punibilità prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 1, la censura è inammissibile non avendo il ricorrente fornito alcuna indicazione in ordine alla previa sottoposizione alla C.T.R. della questione relativa alla applicabilità delle sanzioni, nè tale circostanza risulta in alcun modo dalla motivazione della sentenza impugnata.
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 10.000 oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019