Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.12340 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2185-2013 proposto da:

ACROPOLIS SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALSAVARANCHE 46, presso lo studio dell’avvocato MARCO CORRADI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA PAVANETTO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/2011 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 22/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE.

RITENUTO IN FATTO

A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società Acropolis srl, esercente l’attività di commercio al dettaglio di orologi, gioielli e argenteria, anche attraverso emittenti televisive commerciali, due avvisi di rettifica delle dichiarazioni Irpeg ed Irap anni di imposta 2004 e 2005, contestando la deduzione di costi non documentati.

Contro gli avvisi di accertamento la società proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia che, previa riunione, li rigettava con sentenza n. 85 del 2010.

La società proponeva appello rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con sentenza n. 143 del 22.11.2011.

Contro la sentenza di appello Acropolis srl propone due motivi di ricorso per cassazione.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Primo motivo: “Omessa motivazione della sentenza denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha offerto “alcuna autonoma motivazione in riferimento alla lamentata assenza di prove a sostegno della pretesa tributaria”.

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto concernenti la ripartizione dell’onere della prova denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – Omessa motivazione della sentenza con riferimento alla adeguatezza delle prove addotte dalla Agenzia (denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, nella parte in cui la sentenza impugnata “assegna rilievo alle informazioni assunte in sede amministrativa dai terzi fornitori” e nella parte in cui “accolla l’onere probatorio in capo al contribuente.”.

I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Non sussiste il dedotto vizio di mancanza di motivazione atteso che la sentenza impugnata argomenta in ordine alla ragioni per cui ha ritenuto fondati gli atti impositivi con motivazioni che lo stesso ricorrente riporta, per sottoporli a critica, con il secondo motivo di ricorso.

Con riguardo alla ripartizione dell’onere probatorio, deve essere ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui è onere del contribuente fornire la prova della effettiva esistenza dei componenti negativi del reddito di impresa di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 5, al pari della sussistenza, se oggetto di contestazione da parte della Amministrazione finanziaria, delle condizioni di deducibilità dei costi sotto i profili della inerenza, competenza e congruità) (parte-motiva Sez. 5 n. 13588 del 30/05/2018; Sez.5 n. 11942 del 2016). A tale principio si è attenuto il giudice di appello osservando che le dichiarazioni sottoscritte dai soggetti privati, presunti fornitori degli oggetti preziosi acquistati dalla società, erano state smentite dagli stessi dichiaranti che, sentiti dagli organi accertatori, avevano negato di di aver mai ceduto, in tutto o in parte, gli oggetti indicati nei documenti prodotti dalla società a supporto dei costi contabilizzati. Le censure circa l’apprezzamento effettuato dal giudice di appello in ordine alle dichiarazioni rese in sede amministrativa dagli apparenti fornitori introducono questioni di merito non sindacabili in sede di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 5.000 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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