LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17610/2014 proposto da:
D.G., D.F., D.D., D.R., D.A., D.M., tutti anche nella qualità di eredi di C.M.T., elettivamente domiciliati in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avvocato Grimaldi Pier Paolo (c/o Dott. Alfredo Placidi), che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Comune di Barletta, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avvocato Panariti Benito, rappresentato e difeso dagli avvocati Caruso Giuseppe, Cuocci Martorano Domenico, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 546/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 546/2013 pubblicata il 10/6/2013, la Corte d’Appello di Bari, pronunciando in unico grado, ha accolto per quanto di ragione l’opposizione alla stima proposta dagli attuali ricorrenti, ha determinato in Euro 237.517,50 l’indennità per l’esproprio del suolo descritto in motivazione dovuta dal Comune di Barletta ed ha ordinato al suddetto Comune il deposito di detta somma presso la Cassa Depositi e Prestiti a disposizione degli attori, detratto quanto eventualmente già corrisposto, e oltre interessi legali all’effettivo soddisfo sulla somma differenziale ancora dovuta. La Corte d’appello di Bari, dando conto delle sopravvenute modifiche legislative apportate dalla finanziaria 2008 al D.P.R. n. 327 del 2001 all’esito della sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale e ritenuta quindi la necessità di determinare l’indennità di esproprio in base al valore venale sul suolo, ha dichiarato di condividere il metodo di calcolo seguito dal CTU, il quale aveva determinato il valore di mercato del suolo in misura pari a Euro 200,00/mq.. La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto di dover congruamente ridurre la stima al valore di Euro 75,00 al mq., tenuto conto della media dei valori utilizzati in altri giudizi dalla stessa Corte, facendo, in particolare, riferimento ad analogo valore riconosciuto a proprietari di particelle ubicate nella medesima zona, come statuito in tre sentenze del 2012 espressamente richiamate, anche al fine di non creare macroscopiche disparità di trattamento nella stima di beni omogenei. I Giudici d’appello hanno riconosciuto sull’indennità di espropriazione così determinata (Euro 215.925,00= mq. 2.879 X 75) la maggiorazione del 10% ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nel testo modificato dalla L. n. 244 del 2007, ritenendo dovuto l’aumento per legge, anche se non espressamente richiesto nell’atto di citazione. Hanno precisato che l’art. 37 citato trova applicazione nei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa dopo il 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e, nella fattispecie, a partire dalla Delib. Consiglio Comunale 22 marzo 2004, art. 19 erano stati emessi provvedimenti equivalenti per legge alla dichiarazione di pubblica utilità. Infine, per quel che interessa ai fini del presente giudizio, la Corte d’appello ha compensato per metà le spese di giudizio, condannando il Comune convenuto alla rifusione della residua metà in favore del procuratore attoreo dichiaratosi antistatario e dichiarando non dovuto il rimborso dell’IVA a favore del difensore degli attori, richiamata la sentenza di questa Corte n. 2474/2012.
2. Avverso questa sentenza, D.G., D.F., D.D., D.R., D.A., D.M., tutti anche nella qualità di eredi di C.M.T., deceduta il *****, propongono ricorso affidato a due motivi, resistiti con controricorso dal Comune di Barletta, che propone ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale i ricorrenti lamentano “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 371 del 2001, art. 37 e della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89 e 90” e “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Ad avviso dei ricorrenti la Corte d’appello, pur dichiarando di condividere la correttezza dei calcoli effettuati dal consulente tecnico d’ufficio, erroneamente ha disatteso la stima di cui all’elaborato peritale, quantificando l’indennità di esproprio senza attenersi al parametro del valore venale del bene ablato, così violando i citati artt. 37 e 2. I ricorrenti, nel riportare ampi passi del testo della C.T.U. espletata su incarico della Corte d’appello di Bari, rilevano che, in contrasto con quanto accertato mediante la suddetta consulenza, i Giudici d’appello avevano omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel valore venale del bene come correttamente determinato in causa. Lamentano che la Corte d’appello abbia fatto solo generico riferimento ad altre proprie sentenze ed abbia richiamato un “inesistente criterio di equità”, senza considerare che il C.T.U. aveva stimato il valore venale del bene ablato mediante approfondita analisi di atti pubblici di trasferimento di beni di analoga condizione e destinazione urbanistica e di informazioni assunte presso fonti ufficiali (Agenzia del territorio).
2. Con il secondo motivo di ricorso principale i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972 e la falsa applicazione della pronuncia della Cassazione n. 2474/2012.
Censurano la sentenza impugnata per il mancato riconoscimento del rimborso dell’IVA sui compensi liquidati al difensore antistatario. Deducono che, in base alla citata sentenza, l’avvocato distrattario non ha diritto al pagamento dell’IVA dalla parte soccombente quando il suo cliente è un’impresa o un professionista, ossia si tratta di soggetti aventi diritto alla detrazione, mentre nella fattispecie i clienti sono persone fisiche non abilitate a detrarre l’imposta.
3. Con il ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, il Comune di Barletta lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 3271019, art. 37, comma 2 come novellato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, in riferimento alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57, comma 1 e della L. n. 167 del 1962, art. 9, comma 3, ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Deduce il Comune che la disciplina del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nella formulazione modificata dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, non regola la fattispecie oggetto di lite. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che, nel caso in esame, la dichiarazione di pubblica utilità sia stata successiva al 30 giugno 2003, ritenendo la Corte d’appello che provvedimenti equivalenti, per legge, alla dichiarazione di pubblica utilità siano stati emessi dall’amministrazione comunale “a decorrere dalla Delib. Consiglio Comunale 22 marzo 2004, art. 19”. Ad avviso del Comune, invece, per disciplina normativa specifica, in fattispecie di piani di edilizia economica e popolare, la dichiarazione di pubblica utilità è già contenuta negli atti approvativi dello stesso Piano di Zona ex lege n. 167 del 1962, dato che la L. n. 167 del 1962, art. 9, comma 3, in modo espresso prevede che l’approvazione dei piani equivalga anche a dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti. Aggiunge il Comune che, come precisato anche nella sentenza impugnata, gli atti di approvazione del Piano di zona risalivano al 1990 e la Corte d’appello ha pertanto errato nell’ancorare la dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità delle opere a provvedimenti successivi. Conseguentemente non può essere riconosciuta la maggiorazione del 10% ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nel testo modificato dalla L. n. 244 del 2007.
4. Il primo motivo di ricorso principale è fondato.
4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. n. 17757-2014 e n. 30733-2017). Il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, disattese dal Giudicante senza indicare le ragioni per cui abbia ritenuto erronei tali rilievi, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici utilizzati per addivenire alla decisione contrastante con essi, integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. n. 13922 del 07/07/2016; Cass. n. 13399/2018 e n. 13770/2018).
4.2. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha disatteso il valore di stima indicato nella consulenza tecnica d’ufficio, pur riconoscendo espressamente la correttezza del metodo seguito dal consulente, il quale aveva esaminato e confrontato i prezzi di alcuni atti di compravendita ed i valori di stima contenuti in alcune sentenze emesse dalla stessa Corte territoriale.
I Giudici d’appello hanno ridotto a Euro75 al mq. il valore indicato dal consulente tecnico d’ufficio – Euro200 al mq. – facendo riferimento a quanto statuito con precedenti sentenze dello stesso Ufficio, in particolare a quelle nn. 350 e 364 del 2012 ed ad altra del 4/12/2012, sull’assunto che trattasi di suoli aventi caratteristiche identiche a quelle oggetto del contendere e di particelle ubicate nell’identica zona. Tuttavia non risultano esplicitati nella motivazione della sentenza impugnata i criteri di calcolo utilizzati, diversi da quelli indicati dal consulente tecnico d’ufficio, nè si dà conto di quali siano le notizie e i dati specifici che abbiano concorso a formare il convincimento del Collegio giudicante in modo difforme dalle conclusioni cui era pervenuto l’ausiliario, nonostante anch’egli avesse esaminato e confrontato i prezzi di alcuni atti di compravendita ed i valori di stima contenuti in alcune sentenze emesse dalla stessa Corte territoriale. La motivazione della sentenza impugnata, in quanto contenente solo il mero richiamo a precedenti della stessa Corte relativi a suoli qualificati come aventi identiche caratteristiche, senza alcun confronto con il diverso esito della CTU, non consente alle parti di effettuare il controllo sulla congruità del valore venale in concreto attribuito al suolo per cui è causa.
Premesso che nel caso di specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10/6/2013, ossia successivamente all’11 settembre 2012), ricorre il vizio di motivazione denunciato dai ricorrenti, in applicazione dei principi di diritto sopra esposti, ed il primo motivo di ricorso principale va accolto, restando assorbito il secondo perchè concernente la statuizione sulle spese di lite che dovrà essere nuovamente regolata dal giudice del rinvio.
5. Il ricorso incidentale è fondato.
5.1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di tardività del ricorso incidentale sollevata nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. dai ricorrenti principali, i quali hanno rilevato che trattasi di “questioni che non sono state sollevate nel processo, nè dibattute tra le parti nel giudizio di primo grado”.
Nella sentenza impugnata si afferma che la maggiorazione del 10% ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 come modificato dalla L. n. 244 del 2007, pur se non richiesta dagli attori, sia dovuta per legge, sicchè all’evidenza l’asserita novità della questione discende dall’esame ufficioso della medesima e sussiste l’interesse del Comune all’impugnazione.
5.2. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che l’approvazione dei piani attuativi o di zona dei piani edilizi particolareggiati di acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare (PEEP) equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle relative opere L. n. 167 del 1962, ex art. 9 (tra le tante da ultimo Cass. ord. n. 758/2018) e che nei giudizi aventi ad oggetto la determinazione dell’indennità di espropriazione, relativi a procedimenti in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, opera la disciplina transitoria prevista dal D.P.R. stesso, ex art. 9 secondo cui le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti edilizi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, cui continuano invece ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data (tra le tante Cass. n. 3749/2012; Cass. n. 16103/2012; Cass. n. 6798/2013).
5.3. Nel caso di specie, il Piano particolareggiato di zona ai sensi della L. n. 167 del 1962 è stato approvato con Delib. Giunta Regionale 16 febbraio 1990, n. 819 e Delib. 30 marzo 1990, n. 1721 (pag. 2 della sentenza impugnata) e, in applicazione dei principi di diritto suesposti, non è dovuta agli espropriati la maggiorazione del 10% prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89.
6. L’impugnata sentenza va, in conclusione, cassata in relazione al primo motivo di ricorso principale, restando assorbito il secondo, nonchè in relazione al motivo di ricorso incidentale, con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari in altra composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 20 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019