LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –
Dott. MARGHERITA Maria Leone – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18058-2016 proposto da:
A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI MILLE 41/A, presso lo studio dell’avvocato NOTA CERASI FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCAPPATICCI ENNIO;
– ricorrente –
contro
ALITALIA LINEE AEREE ITALIANE SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 8916/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO ADRIANA.
RILEVATO
Che:
1.- A.F., dipendente della Alitalia-Linee Aeree Italiane S.p.A. in amministrazione straordinaria, è stato licenziato per giusta causa in data 23/3/2007 a seguito di contestazione disciplinare con la quale gli si addebitava di essere stato ripreso da un apparecchio di video sorveglianza in data 22/12/2006 mentre usciva da una stanza trasportando un personal computer, di cui era stata poi denunciata la sparizione, di essere entrato in un’altra stanza e di esserne uscito poco dopo portando via con sè un pacco; il licenziamento era stato intimato ai sensi della L. n. 300 del 1970, e dell’art. 7 e art. 37, lett. B del c.c.n.l. vigente, che prevede il furto di beni aziendali;
2.- impugnato il licenziamento, il Tribunale ha accolto la domanda ritenendo illegittimo l’uso del sistema di video sorveglianza, nulla la prova testimoniale assunta per mezzo del teste M. (in quanto assunta in un orario diverso da quello indicato dell’ordinanza di ammissione delle prove e in assenza della controparte) e dell’altro teste G. (in quanto non citato ritualmente per l’udienza), non provati gli addebiti, e in particolare l’identità del soggetto ripreso dalle videocamere di sorveglianza con l’ A. e la natura aziendale dei beni contenuti nel pacco trasportato;
3.- su appello di Alitalia, la Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza e ha rigettato l’impugnativa del licenziamento;
3.1- a fondamento del decisum la Corte ha ritenuto erronea la declaratoria di nullità dell’escussione del testimone M., dal momento che la prima citazione a comparire non era andata a buon fine, mentre la seconda citazione, autorizzata dal giudice, era stata ricevuta dal teste che era comparso ed aveva quindi reso testimonianza; la circostanza che questo fosse stato escusso ad un’ora diversa non costituiva causa di decadenza da addebitare alla parte, spettando al magistrato condurre e dirigere l’udienza; quanto all’altro testimone, anche questo era stato citato nel rispetto del termine previsto dall’art. 103 disp. att. c.p.c. dovendosi aver riguardo alla parte notificante e restando irrilevante la ricezione dell’atto da parte del testimone un giorno prima dell’udienza, in difetto di una espressa previsione normativa che preveda la decadenza;
3.2.- nel merito, ha ritenuto legittimo l’uso del sistema di video sorveglianza e accertata la condotta addebitata al lavoratore, valutata peraltro di tale gravità da ledere il rapporto fiduciario;
4.- contro la sentenza l’ A. ricorre per cassazione e formula tre motivi; la società intimata non svolge attività difensiva;
5.- la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. è stata comunicata alla parte unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;
il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
1.- i motivi di ricorso sono tre:
a) violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, e della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della genericità e immutabilità della contestazione: il ricorrente assume che fin dal ricorso introduttivo del giudizio aveva denunciato la genericità della contestazione del 9/3/2007 e la non pertinenza del richiamo contenuto nella lettera di licenziamento all’art. 37, lett. b) del c.c.n.l., atteso che, nella contestazione non vi era traccia di un’accusa di furto; l’accusa di sottrazione di beni aziendali era stata formulata per la prima volta da Alitalia nella memoria difensiva di primo grado e solo in questa sede era stato allegato che il lavoratore avrebbe ammesso ai carabinieri di essersi appropriato di alcune parti del computer, poi a loro consegnate;
b) violazione degli artt. 115,420 e 209 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: il ricorrente reitera l’eccezione, già sollevata in primo grado e ritualmente riproposta in appello, di decadenza di Alitalia dall’assunzione della prova testimoniale, e in particolare di quella resa del maresciallo dei carabinieri G.A., sulla cui deposizione la Corte territoriale aveva fondato il suo giudizio;
c) violazione e falsa applicazione degli artt. 1455,2119 e 2106 c.c., nonchè L. n. 604 del 1966, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della proporzionalità tra fatto contestato e licenziamento;
2.- il primo motivo è inammissibile;
2.1. – premesso che l’accertamento del requisito della specificità e immutabilità della contestazione rispetto alle ragioni poste a base del licenziamento costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (cfr. tra le tante Cass. 03/02/2003, n. 1562 e, più recentemente, Cass. 20/3/2018, n. 6889; v. pure Cass. 18/04/2018, n. 9590, in motivazione; Cass. 21/04/2017 n. 10154; Cass. 12/01/2017 n. 619; Cass. 8/4/2016, n. 6898; Cass. 05/08/2010, n. 18279) e che la questione non risulta affatto affrontata nella sentenza, era onere del ricorrente specificare in che sede, con quale atto e in che termini la detta questione era stata portata alla cognizione del giudice di merito, le ragioni del suo rigetto da parte del giudice di primo grado e la sua eventuale riproposizione nel giudizio di appello, onde dar modo alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 09/08/2018, n. 20694; Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675);
2.2.- tale onere di specificità non risulta compiutamente adempiuto, ove si consideri che il ricorrente si è limitato a riportare nel ricorso per cassazione solo un breve stralcio del ricorso di primo grado, – in cui in effetti si denuncia “la contestazione del tutto vaga e generica” e la mancanza di un’accusa di furto nella lettera di licenziamento -, ma nulla invece riferisce sia in ordine all’eventuale esame e rigetto delle eccezioni medesime da parte del Tribunale sia in ordine alla loro riproposizione nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c., necessaria a manifestare la volontà della parte di provocarne il riesame, così da escludere una rinuncia, esplicita o implicita (Cass. 12/11/2018, n. 28926, che rinvia a Cass. 2 aprile 1998, n. 3392; Cass. 28 aprile 2005, n. 21087; Cass. 24 maggio 2007, n. 12162);
2.3.- il principio secondo cui l’art. 346 c.p.c. (decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in appello) non si applica con riferimento alle questioni rilevabili d’ufficio, richiamato dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., non si attaglia al caso di specie, dovendosi coordinare con la disciplina della invalidità del licenziamento, caratterizzata da specialità rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all’atto e non è idonea a estendere l’oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati (Cass. 24/3/2017, n. 7687);
2.4.- ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità e/o inefficacia del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (Cass. n. 7687/2017, cit.);
2.5.- il principio si coordina con l’altro, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui non si può dedurre in appello la questione della nullità del recesso per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in quanto tale ulteriore prospettazione del petitum, comportando la deduzione di un’altra e diversa causa petencli con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione, è preclusa dall’art. 437 c.p.c., comma 2 (Cass. 16/1/2015, n. 655; Cass. 9 marzo 2011, n. 5555; Cass. 12 giugno 2008, n. 15795; Cass. 2 marzo 2006, n. 4614; Cass. 20 aprile 2005, n. 8264);
2.6.- tale conclusione non è in contrasto ma anzi è in linea con la recente sentenza di questa Corte 12/11/2008, n. 28926, citata dall’ A. nella sua memoria, in cui si è ribadita la necessità della riproposizione a norma dell’art. 346 c.p.c., delle eccezioni che non siano state oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, del primo giudice, come la tardività della contestazione o la non immediatezza della sanzione, o comunque afferenti a circostanze esterne alla fattispecie del licenziamento impugnato (punti da 8.1 a 8.4. della sentenza citata);
3.- anche il secondo motivo è inammissibile, essendo principio consolidato di questa Corte quello secondo cui “Spetta esclusivamente al giudice del merito, in base al disposto dell’art. 208 c.p.c., e art. 104 disp. att. c.p.c. valutare se sussistano giusti motivi per revocare l’ordinanza di decadenza della parte dal diritto di fare escutere i testi per mancata comparizione all’udienza all’uopo fissata, ovvero per mancata intimazione degli stessi, esulando dai poteri della S.C. accertare se l’esercizio di detto potere discrezionale sia avvenuto in modo opportuno e conveniente” (Cass. 23/07/2018, n. 19529; Cass. 22/02/2010, n. 4189);
3.1.- peraltro, la Corte ha escluso in radice che, con riguardo alla citazione del teste G., la società Alitalia sia incorsa nella violazione dell’art. 103 c.p.c., rimanendo così assorbita ogni questione circa la non imputabilità della mancata comparizione del teste, mentre, con riguardo all’altro teste, ha ritenuto correttamente esercitata dal tribunale la discrezionalità con la quale ha rimesso in termini il procuratore di Alitalia, valutando quale causa non imputabile l’incidente stradale occorso al suo procuratore la mattina stessa dell’udienza, e tale giudizio non è stato affatto censurato;
4.- infine, anche il terzo motivo è inammissibile, essendo principio consolidato di questa Corte quello secondo cui “in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice del merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex art. 5 deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto” (v. Cass. 21/6/2011, n. 13574, che rinvia a Cass. 14/1/2003 n. 444, Cass. 25/2/2005 n. 3994, Cass. 16/5/2006 n. 11430, Cass. 10/12/2007 n. 25743, Cass. 22/3/2010 n. 6848);
si tratta quindi di un giudizio rimesso al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (Cass. 17/10/2018, n. 26010);
si aggiunge che “L’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 3 nei casi in cui gli “standards” valutativi, sulla cui base è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, o si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente” (Cass. 23/03/2018, n. 7305);
nel caso di specie il ricorrente non ha censurato la violazione dei suddetti standard valutativi bensì l’apprezzamento della gravità dei fatti compiuto dal giudice di merito il quale, con motivazione coerente ed esaustiva, ha ritenuto grave la condotta del lavoratore e proporzionato il licenziamento in ragione delle complessive circostanze del caso concreto, e in particolare delle mansioni assegnate all’ A. (manutenzione hard disk, riparazione potenziamento dei pc, caricamento dei programmi sul computer), delle sue conoscenze informatiche, della natura fraudolenta della condotta e della sua incidenza negativa anche sotto il profilo economico sul patrimonio aziendale, circostanze idonee ad incidere sul vincolo fiduciario che lega il lavoratore al datore di lavoro e che pertanto giustifica la risoluzione del rapporto, non potendo attribuirsi valore esimente alla circostanza della mancanza di precedenti sanzionatori;
6. in conclusione il ricorso è inammissibile; nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva della società All’Italia S.p.A.;
7.- poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 6 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019