LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23811-2017 proposto da:
A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE BELLAN;
– ricorrente –
contro
S.L.R., SA.ST., SA.EU., SA.BA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE XXI APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PIZZINO, rappresentati e difesi dagli avvocati LUCA VITTORIO CECCHI, GIOVANNI TESTORI;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE BELLAN;
– controricorrente ai ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 993/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 08/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA GRAZIOSI.
La Corte:
RILEVATO
che:
Avendo Sa.Ba. agito davanti al Tribunale di Milano perchè fosse condannata A.G. a risarcirle danno patrimoniale nell’importo di Euro 61.551,62 e danno non patrimoniale nell’importo di Euro 250.Q,00, e avendo altresì agito i suoi congiunti Sa.Eu. e Sa.St. (genitore e sorella) e S.L.R. (genitore) per ottenere il risarcimento di danni non patrimoniali nella misura di Euro 70.000 per i genitori e Euro 50.000 per la sorella, per avere A.G. indotto Sa.Ba. al meretricio e averla in esso sfruttata, profittando delle sue condizioni di persona psichicamente disabile, il Tribunale, con sentenza del 17 dicembre 2015, condannava A.G. a corrispondere a Sa.Ba. la somma di Euro 11.000, oltre rivalutazione, per risarcimento dei danno patrimoniale e la somma di Euro 150.000 per risarcimento del danno non patrimoniale, rigettando invece le domande dei congiunti.
A.G. proponeva appello principale e le sue controparti proponevano appello incidentale; entrambi i gravami venivano rigettati dalla Corte d’appello di Milano con sentenza dell’8 marzo 2017.
Ha proposto ricorso principale A.G., articolandolo in tre motivi (tutti privi di rubrica). Sa.Ba. – fruendo della tutela dell’amministratore di sostegno -, Sa.Eu., Sa.St. e S.L.R. si sono difesi con un controricorso in cui è stato proposto pure ricorso incidentale basato su due motivi, da cui si è difesa con controricorso la A.. Sia quest’ultima, sia le sue controparti hanno poi depositato memoria.
RITENUTO
che:
1. Il ricorso principale presenta tre motivi.
1.1 Il primo motivo lamenta che il giudice d’appello ha confermato la condanna di A.G. a risarcire danno morale a Sa.Ba. nella misura di Euro 150.000 non tenendo conto del passato di lei quale prostituta, della relazione affettiva sussistente tra lei e l’attuale ricorrente, del consenso al meretricio dato da Sa.Ba. e dell’incapacità lieve da cui sarebbe afflitta.
La censura si sviluppa nella diretta valutazione di elementi fattuali, adduce in particolare che quelli appena indicati non sarebbero stati considerati e invoca pure, appunto, dati ulteriori, per ravvisare infine nella pretesa mancanza della loro considerazione da parte del giudice di merito una violazione dell’art. 1226 c.c. per assenza di quel che definisce l'”equo contemperamento delle condotte che, presuntivamente, originano il danno morale di cui si discute”, perchè “si sarebbe dovuto tenere in debito conto… del grado di “complicità” tra le due signore” e soprattutto dei dati attestanti la precedente attività di meretricio di Sa.Ba., che avrebbe dovuto portare, in sintesi, a “dare molto meno peso alla sofferenza patita nel prostituirsi” da una donna che sarebbe stata innamorata di A.G. e consenziente anche nella prostituzione, come risulterebbe tra l’altro da intercettazioni telefoniche.
Questa censura è priva di autosufficienza, poichè gli elementi fattuali invocati non sono stati neppure sintetizzati nella sua illustrazione, che si è limitata a richiamare i numeri del documento che li conterrebbe in un generico “fascicolo Sa.”; e solo una volta è stato effettuato riferimento a un “fascicolo I grado Sa.”. A tale inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, poi, si affianca l’inammissibilità derivante dalla natura direttamente fattuale della doglianza, che persegue una valutazione alternativa del compendio probatorio rispetto a quella operata dal giudice di merito.
1.2 Il secondo motivo attribuisce al giudice d’appello la violazione dell’art. 2697 c.c. quanto al riconoscimento del danno patrimoniale; si critica il ragionamento con cui il giudice l’avrebbe ritenuto provato, censurando in modo diretto un passo motivazionale della sentenza impugnata relativo a prelievi da conto bancoposta, per concludere che “manca la prova riguardante il soggetto, il luogo, l’ammontare del prelievo” essendo “provato solo il possesso di una tessera bancomat, di un codice segreto e di due ricevute di chissà quali altri prelievi”.
Il motivo, evidentemente, risulta inammissibile poichè si contrappone nel suo contenuto all’accertamento operato dal giudice d’appello quanto al conto bancoposta, il riferimento all’art. 2697 c.c. rimanendo un’apparenza, dal momento che la censura non denuncia in realtà alcun vizio di diritto, bensì adduce l’assenza di prove in punto di fatto.
1.3 Il terzo motivo sostiene che le richieste risarcitorie dei congiunti di Sa.Ba., infondate, “una volta rigettate avrebbero dovuto essere obiettivamente valutate sulla scorta degli elementi probatori”. Si argomenta quindi su dati fattuali quanto al rapporto tra Sa.Ba. e i suoi congiunti, specialmente con il padre Sa.Eu., tramite, in particolare, dichiarazioni di Sa.Ba. sulla “figura paterna”, la conclusione della consulenza tecnica relativa al procedimento che ha portato alla nomina di un amministratore di sostegno per Sa.Ba. nonchè dichiarazioni rese a non definiti “agenti incaricati” dalla dottoressa A.L., Direttrice dei Servizi per anziani del Comune di Milano. Si giunge in tal modo ad un affastellamento di frammenti estratti dal compendio probatorio allo scopo di sostenere una versione dei fatti favorevole all’attuale ricorrente, che, peraltro, si colloca poi – alquanto inaspettatamente, vista anche la mancanza della rubrica – sulla questione delle spese di lite.
Osserva infatti la ricorrente che la corte territoriale ha confermato il rigetto, deciso dal giudice di prime cure, della domanda risarcitoria dei congiunti di Sa.Ba., rimarcando l’assenza di danno non patrimoniale subito da questi “poichè Sa.Ba. all’epoca dei fatti non viveva più da tempo con la famiglia d’origine, ma al contrario la forte conflittualità tra i familiari della vittima ha reso necessaria la nomina di un soggetto terzo, quale amministratore di sostegno”. Respinta quindi l’impugnazione incidentale, “in ogni caso” il giudice d’appello avrebbe omesso di applicare il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.: “pur riconoscendo quanto sopra illustrato, ha confermato la sentenza di primo grado e, conseguentemente, la compensazione delle spese processuali” tra A.G. e i congiunti di Sa.Ba.. Sa.Eu., S.L.R. e Sa.St. sarebbero stati invece soccombenti, onde “ingiustamente” l’attuale ricorrente sarebbe stata condannata dalla corte territoriale a rifondere loro i due terzi delle spese processuali del grado d’appello, compensato l’altro terzo.
Il motivo non merita accoglimento.
Esso lamenta, in sintesi, che vi sia stata una parziale compensazione delle spese nella sentenza di secondo grado: ma il giudice non ha violato l’art. 91 c.p.c., bensì, in considerazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, sotto il profilo della reciproca soccombenza, ha tenuto in conto il rigetto di entrambi i gravami, evidentemente ritenendo di maggior peso quello principale, e pertanto non disponendo una compensazione totale, bensì parziale, i residui due terzi ponendoli, in termini di rifusione a controparte, a carico dell’appellante principale. Nel caso, infatti, di pluralità di impugnazioni contrapposte ed entrambe disattese si configura appunto una soccombenza reciproca, che rende applicabile (a discrezione del giudice, peraltro: cfr. da ultimo Cass. sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017: “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.”) l’art. 92 c.p.c., comma 2, quale regola speciale rispetto alla regola della soccombenza dettata in termini generali dall’art. 91 c.p.c. Il fatto poi che nella motivazione la corte territoriale abbia affermato che le spese seguivano la soccombenza con conseguente condanna ai sensi dell’art. 91 c.p.c. integra, d’altronde, un vizio motivazionale, che non rileva trattandosi di questione di diritto, per la quale ha significato solo l’esattezza della sua soluzione, nel caso in esame, come si è visto, sussistente (cfr. Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752; Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199; trattasi logicamente di principio generale, relativo anche alla giurisdizione di legittimità in materia penale: cfr. da ultimo Cass. pen. sez. pen. 1, 20 maggio 2015 n. 16372 e Cass. pen. sez. 3, 23 ottobre 2014-11 febbraio 2015 n. 6174).
in conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.
2. Il ricorso incidentale presenta due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per non avere ritenuto la corte territoriale danno patrimoniale i prelievi effettuati da Sa.Ba. dai conti correnti mentre era “sotto il condizionamento” di A.G..
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per non avere il giudice d’appello condannato A.G. a risarcire il danno morale ai congiunti della sua vittima, Sa.Ba..
Entrambi questi motivi, ictu oculi, con analogo contenuto sono diretti a contrastare la valutazione di merito dell’appello incidentale che, con adeguata motivazione, aveva esternato la Corte d’appello di Milano giungendo al suo rigetto. Si persegue pertanto un terzo grado di merito che conduce il ricorso ad una conclamata inammissibilità.
3. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale dichiarato inammissibile, dalla reciproca soccombenza traendosi la compensazione delle spese. Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, compensando le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019