LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 898/2015 proposto da:
P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 55, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Carta che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giorgio Carta, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 326, presso lo studio dell’avvocato Claudio Scognamiglio che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 3416/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2019 dal cons. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – P.F. conveniva in giudizio Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. deducendo di aver acquistato, in data 22 maggio 2000, titoli ***** del valore di Euro 15.000,00, nonchè obbligazioni ***** per un controvalore di Euro 21.558,77. Domandava pertanto che, alternativamente, i contratti da lui conclusi fossero dichiarati nulli, annullati o risolti o ancora che la controparte fosse condannata al risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi su di essa incombenti. Egli, pensionato ultrasessantenne, sarebbe stato indotto da una funzionaria della banca a disinvestire i propri risparmi, collocati in *****, per acquistare i nominati titoli, non essendo stato interpellato se non in modo generico sulla sua esperienza in campo finanziario e non essendo stato informato dei prevedibili rischi specifici dell’operazione e della sua inadeguatezza rispetto al proprio profilo di rischio.
Nella resistenza di Banca Monte dei Paschi di Siena, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda sul fondamento dell’accertato inadempimento dell’intermediario ai propri obblighi informativi.
2. – La sentenza di primo grado era riformata in sede di gravame dalla Corte di appello di Roma, che rigettava, quindi, la domanda attrice. In sintesi il giudice distrettuale osservava: che P. non aveva comprensibilmente dedotto l’inadempimento della banca; che quest’ultima aveva comunque dato adeguate informazioni in ordine alla rischiosità dell’investimento, rapportate all’esperienza dell’appellato e al suo concreto profilo di rischio; che, ove pure si fosse ritenuto che la banca non avesse informato P. della rischiosità dell’investimento, non sarebbe stato provato che, in presenza delle dovute informazioni, lo stesso sarebbe receduto dal proposito di investire.
3. – La pronuncia della Corte di Roma, resa il 22 maggio 2014, è impugnata da P.F. con un ricorso per cassazione che si compone di quattro motivi. Banca Monte dei Paschi di Siena resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo oppone la violazione degli artt. 21 e 23 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998), artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522/1998, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La censura investe l’affermazione del giudice di appello secondo cui l’attore non avrebbe assolto al proprio onere di allegazione dell’inadempimento del’intermediario: inadempimento che sarebbe stato “dedotto solo in modo generico, senza indicare cosa la banca gli avrebbe dovuto riferire e gli ha riferito”. Il fatto decisivo il cui esame risulterebbe essere stato omesso da parte della Corte di appello sarebbe rappresentato da ciò: “l’attore nel proprio atto introduttivo aveva allegato in modo esaustivo l’inadempimento della Banca”.
Il secondo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 246 c.p.c., degli artt. 28,29 e art. 82, comma 3 reg. Consob n. 11522/1998 e degli artt. 21 e 23 t.u.f.. Il motivo si dirige contro l’assunto, contenuto nella sentenza, per cui la banca aveva fornito adeguate informazioni in ordine alle implicazioni dell’investimento rapportate all’esperienza finanziaria dell’attore e al suo profilo di rischio. Rileva l’istante come dal questionario in suo possesso non emergesse il di lui rifiuto di fornire le informazioni richieste: sicchè la banca non avrebbe potuto considerarlo investitore incline al rischio. D’altro canto, il questionario datato 15 marzo 2002, depositato dalla banca, recava una sottoscrizione falsa, che era stata prontamente disconosciuta dallo stesso ricorrente. Quest’ultimo rileva, poi, che il testimone che la Corte di appello aveva ritenuto potersi escutere era un funzionario della banca: soggetto che, essendo responsabile in solido con l’istituto di credito nei confronti dell’investitore, risultava incapace a deporre.
Col terzo mezzo viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il giudice distrettuale, ad avviso dell’istante, avrebbe trascurato due circostanze: prima dell’acquisto delle obbligazioni per cui è causa i propri investimenti avevano riguardato solo *****; gli investimenti in titoli azionari documentati dalla banca erano stati posti in atto lo stesso giorno in cui egli aveva acquistato i titoli ***** e i bond *****.
2. – I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono, nel complesso, infondati.
2.1 – In tema di intermediazione finanziaria, ove venga in questione l’adempimento, da parte dell’intermediario, alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, l’investitore stesso ha anzitutto l’onere di allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l’intermediario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 19 gennaio 2016, n. 810; Cass. 6 marzo 2015, n. 4620; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147). In particolare, l’investitore che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario ha l’onere di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111).
2.2. – Il ricorrente, nel corpo del primo motivo, riproduce il contenuto delle allegazioni formulate nell’atto di citazione di primo grado, ove è attribuita evidenza alla “natura altamente rischiosa” dell’operazione di acquisto dei titoli ***** e *****, oltre che alla circostanza per cui la banca non possa limitarsi a consegnare all’investitore il documento sui rischi in generale, ma “deve riferirsi a precise e univoche indicazioni circa la pericolosità dello specifico investimento”, dovendo inoltre sincerarsi che quel soggetto “abbia effettivamente compreso le caratteristiche essenziali dell’operazione, da intendersi come comprensione dei costi, dei rischi e soprattutto della sua adeguatezza rispetto all’esperienza o alla situazione economica” del medesimo.
Si tratta, come è evidente, di un quadro di deduzioni vago, che non ha specifica attinenza ai titoli oggetto di negoziazione. Solo per questo il primo motivo mostra di non misurarsi efficacemente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che invece ha conferito dirimente rilievo al mancato adempimento dell’onere, da parte dell’investitore, di “indicare che cosa la banca, al momento dei fatti, gli avrebbe dovuto riferire e non gli ha riferito”.
D’altro canto, la Corte di appello ha ben chiarito come, avendo riguardo al tema della dedotta mancanza di attività informativa, la decisione di primo grado non potesse condividersi. Ha infatti sottolineato che, quanto ai bond *****, P. non avesse affatto dedotto di non essere stato informato sulla politica economica e sui bilanci dell'***** – elementi, questi, presi invece in considerazione dal giudice di primo grado -, sicchè la banca non si era soffermata a fornire specifiche informazioni al riguardo: profilo, questo, che assume decisività, ai fini che qui interessano, giacchè l’osservanza dell’onere di allegazione, nei termini indicati, risulta proprio “necessaria al fine di consentire alla banca di provare il proprio adempimento, prova che va rapportata al ventaglio di informazioni che l’investitore ha lamentato di non aver ricevuto” (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111 cit., in motivazione). Con riguardo, invece, ai titoli *****, il giudice di appello ha giustamente evidenziato che, anche al di là del lamentato deficit informativo (che la stessa Corte di merito ha pure correlato a una prospettazione generica e poco comprensibile, quindi inidonea a integrare una valida allegazione), essi apparivano, all’epoca, “sostanzialmente solidi”, come riconosciuto dal Tribunale: per il che ha potuto osservare – e detta affermazione non è stata adeguatamente censurata – che, proprio con riferimento a tale evenienza, non poteva cogliersi quale fosse l’informazione che la banca fosse in grado di fornire a P..
2.3. – Ciò detto, l’affermazione del ricorrente, secondo cui la banca avrebbe fornito adeguate informazioni in ordine alle implicazioni dell’investimento, avendo riguardo alla propria esperienza finanziaria e al proprio profilo di rischio, si rivela priva di idonea consistenza.
Una volta appurato che nella fattispecie non si profila un inadempimento della banca per condotte omissive specificamente individuate dall’attore, oggi ricorrente, non vale infatti obiettare che questi non potesse essere considerato investitore privo di propensione al rischio: quale che fosse l’inclinazione dell’istante alle operazioni speculative, la sentenza impugnata ha difatti escluso che l’istante avesse specificamente prospettato l’occultamento di informazioni da cui potesse desumersi la rischiosità dell’investimento.
2.4. – Peraltro, nessuna delle diverse censure formulate dal ricorrente nel secondo e nel terzo motivo di ricorso coglie nel segno. Non quella incentrata sul disconoscimento della sottoscrizione del modulo, in possesso della banca, da cui risultava che P. avesse una competenza in materia di strumenti finanziari “media”, giacchè la circostanza è smentita dalla Corte di appello e l’istante nemmeno deduce quando abbia operato il disconoscimento e da quale atto di causa esso risulti; non quella basata sull’asserita incapacità del testimone escusso, visto che la decisione impugnata prescinde dall’esperimento della prova testimoniale, cui la Corte di appello non ha ritenuto comunque di dar corso, ritenendola superflua (pag. 10); non quella vertente sul fatto per cui l’istante, che aveva sempre destinato i propri risparmi all’acquisto dei *****, aveva acquistato titoli azionari speculativi menzionati nella sentenza impugnata lo stesso giorno dell’operazione di cui qui si dibatte, dal momento che la Corte di appello, nel rilevare che P. aveva avuto in portafoglio titoli azionari rischiosi, ha evidentemente ritenuto che gli acquisti in questione non fossero contemporanei alle operazioni che avevano interessato i titoli ***** e le obbligazioni ***** (chè, diversamente, la stessa Corte non avrebbe valorizzato la circostanza ai fini della ricostruzione del profilo di rischio del ricorrente, ricavandone che quest’ultimo era solito “cimentarsi con investimenti speculativi in borsa”): è evidente, pertanto, che, con riguardo a quest’ultimo aspetto, non venga in questione l’omesso esame di un fatto, quanto, piuttosto, il suo apprezzamento in termini diversi da quelli che il ricorrente reputa corretti; ma tale profilo attiene alla valutazione degli elementi probatori e sfugge, come tale, al sindacato di legittimità.
3. – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 23, comma 6 t.u.f.. Viene rilevato che il nesso di causalità, escluso dalla Corte di appello, avrebbe dovuto essere riconosciuto, in quanto se il ricorrente fosse stato un investitore dotato di minima esperienza e se avesse ricevuto qualche informazione sull’operazione finanziaria che si accingeva a compiere, si sarebbe astenuto dall’acquistare obbligazioni ad alto rischio che fornivano, in pratica, lo stesso rendimento dei ***** da lui posseduti, che erano stati venduti per dar corso all’investimento oggetto di lite.
4. – Il motivo è inammissibile, in quanto investe una ratio decidendi diversa ed ulteriore rispetto alle argomentazioni spese dal giudice distrettuale con riguardo all’asserito inadempimento degli obblighi informativi. Va rammentato, in proposito, che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).
5. – In conclusione, ricorso è rigettato.
6. – Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima Civile, il 17 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019