Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.13861 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19357-2015 proposto da:

R.F.I. – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1, presso la sede di Ferrovie dello Stato s.p.a. nonchè studio dell’avvocato PATRIZIA CARINO, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO TOSI e ANDREA UBERTI;

– ricorrente –

contro

FIT – CISL PROVINCIALE DI TORINO, OR.S.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1234/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/02/2015 R.G.N. 313/2014.

RILEVATO

CHE:

con sentenza n. 1234 del 24/02/2015 la Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di prime cure, ha riconosciuto valenza antisindacale al rifiuto di R.F.I. Rete Ferroviaria Italiana – di autorizzare un’assemblea durante l’orario di lavoro richiesta da tre lavoratori della RSU, rilevando che, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità e dell’art. 10 bis del CCNL Mobilità, era da escludere che il potere di indire le assemblee in orario di lavoro fosse una prerogativa di esclusiva competenza della RSU quale organo collegiale;

avverso l’anzidetta sentenza, R.F.I. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi illustrati da memoria;

i sindacati, FIT CISL Provinciale di Torino e Or.S.A., sono rimasti intimati.

CONSIDERATO

CHE:

con i primi tre motivi il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. relativamente all’Accordo interconfederale 20.12.1993 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente fornito un’interpretazione degli artt. 4 e 5 del suddetto Accordo che non trova avallo nè nel tenore testuale (che, nell’art. 4, si riferisce ai “componenti delle RSU” mentre nell’art. 5 a “Le RSU”) nè nella ricostruzione sistematica (posto che gli artt. 2, 3, 6, 7 dell’Accordo usano il termine RSU per riferirsi sempre all’organo collegiale o maggioritario) nè nella ratio dello strumento negoziale (che, introducendo le Rappresentanze Sindacali Unitarie si poneva l’obiettivo di individuare un organismo sindacale che superasse le frammentazioni sindacali), avendo, inoltre, equivocato il riferimento alla indizione “congiunta o disgiunta” di cui all’art. 4, comma 5 dell’Accordo (che va riferito esclusivamente alle organizzazioni sindacali stipulanti il CCNL) e il tenore complessivo dell’Accordo (che ha inteso sostituire l’organismo di rappresentanza sindacale di fonte legale, la RSA, a quello di fonte contrattuale, la RSU, senza alcuna interferenza della pronuncia della Corte Costituzionale n. 231 del 2013 sulla L. n. 300 del 1970, art. 19);

con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 bis del CCNL mobilità del 2012, avendo, la Corte distrettuale, trascurato che, al pari dell’Accordo Interconfederale, il CCNL Mobilità distingue i diritti di portata individuale dei singoli componenti delle RSU dalle prerogative delle RSU;

con il quinto motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta altresì violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del Contratto Aziendale Gruppo FS, rilevando ancora una volta l’errore di interpretazione in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale, omettendo di considerare altre disposizioni del medesimo contratto dalle quali emergerebbe che l’autonomia collettiva si sarebbe riferita indistintamente alle RSU come organismo unitario utilizzando l’espressione tanto al singolare quanto al plurale;

con il sesto motivo si denuncia un’ulteriore violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28, che consentirebbe esclusivamente un ordine di cessazione dello specifico comportamento censurato e la rimozione dei relativi effetti, a differenza del tenore della pronuncia della Corte distrettuale, che verrebbe invece ad integrare una condanna per il futuro non contemplata dalla norma;

con il settimo motivo il ricorrente chiede che, in subordine, sia dichiarata la nullità della sentenza per contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, enunciando quest’ultima un principio parzialmente diverso e di maggior favore per l’azienda, facendo espressamente riferimento al fatto che il singolo componente della RSU, legittimato ad indire assemblea, debba comunque essere stato eletto nelle liste di un sindacato che nell’azienda di riferimento sia dotato di rappresentatività L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 19, così come chiarita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 231 del 2013;

i primi cinque motivi, che per stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, non sono fondati, avendo, le Sezioni Unite di questa Corte, sottolineato che, nell’ottica dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993, una data associazione sindacale, malgrado la sua presenza all’interno della r.s.u., può anche singolarmente indire l’assemblea, ovvero che non tutti i diritti attribuiti dalla legge alla singola r.s.a. sono stati attratti e si sono disgregati all’interno delle r.s.u. (Cass. Sez. Un. 13978 del 2017; in senso conforme, Cass. n. 26011 del 2018; Cass. n. 26210 del 2018);

le Sezioni Unite, premesso che il profilo elettivo di un organismo come la r.s.u. e il principio di maggioranza possono convivere con limitate prerogative di singole componenti dell’organismo medesimo, hanno riconosciuto il diritto di indire assemblee, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 20, non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun suo componente purchè eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia di fatto munito di rappresentatività ai sensi della L. n. 300 citata, art. 19 quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013;

la previsione dell’art. 10 bis, punto 1.4, del CCNL Mobilità 2012 non smentisce la ricostruzione esegetica effettuata dalle Sezioni Unite di questa Corte, limitandosi a rinviare genericamente alle prerogative dei componenti delle r.s.u. esattamente negli stessi termini di cui all’art. 4 dell’Accordo interconfederale del 20.12.1993, richiamando i diritti, i poteri, i permessi, le libertà sindacali, le tutele stabiliti dalle disposizioni di cui al Titolo III della L. n. 300 del 1970, senza quindi nessun elemento che imponga di limitare questo compendio alle sole prerogative di portata individuale;

del pari, l’art. 4 del contratto aziendale di Gruppo FF – trascritto solamente per brevi estratti con conseguenti profili di inammissibilità della censura per carenza di adozione di modalità conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione facendo riferimento alla/e RSU che ha/hanno indetto l’assemblea, non fa emergere alcun elemento che osti al riconoscimento del diritto di indire assemblea in orario di lavoro anche in capo ai singoli componenti della r.s.u.;

la decisione assunta recentemente con riguardo ai rapporti di lavoro di pubblico impiego c.d. privatizzati non interferisce con la presente decisione posto che si tratta come ben sottolineato da questa Corte – di un sistema di fonti normative e contrattuali diverso da quello che regola la stessa materia per il lavoro privato (Cass. n. 3095 del 2018);

il sesto motivo di ricorso non è fondato avendo questa Corte già affermato che il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale; l’accertamento in ordine alla attualità della condotta antisindacale e alla permanenza dei suoi effetti costituisce un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 12551 del 2018, Cass. n. 3837 del 2016, Cass. n. 23038 del 2010, Cass. n. 11741/05).

il settimo motivo non merita accoglimento non potendosi ravvisare alcun contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione che presuppone – secondo consolidata giurisprudenza – l’impossibilità di individuare il concreto comando giudiziale (ex plurimis, Cass. n. 15990 del 2014), posto che nel caso di specie la Corte d’appello, confermando la pronuncia del giudice di prime cure ed adeguandosi alla sentenza medio tempore adottata dai giudice delle leggi con riguardo alla L. n. 300 del 1970, art. 19, comma 2, (sentenza n. 231 del 2013), ha esclusivamente chiarito che a tale (nuova) nozione di rappresentatività doveva farsi riferimento per l’attribuzione anche delle prerogative sindacali stabilite dal titolo III della L. n. 300 del 1970";

il ricorso va, pertanto, rigettato, nulla sulle spese di lite in assenza delle controparti;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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