LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9165-2017 proposto da:
S.M.G., M.J., M.C. in proprio e n. q. di eredi di M.G., domiciliati in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RODOLFO BERTI;
– ricorrenti –
contro
FINCANTIERI CANTIERI NAVALI ITALIANI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 301/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata 04/10/2016 R.G.N. 385/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso per accoglimento del quarto motivo, con assorbimento dell’ultimo motivo, rigettati gli altri;
udito l’Avvocato RODOLFO BERTI;
udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale dell’Avvocato ENZO MORRICO.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza pubblicata il 4 ottobre 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che, in relazione al decesso per carcinoma polmonare di M.G., già dipendente presso i cantieri navali della Fincantieri con mansioni di saldatore per un ventennio, aveva ritenuto non dimostrato il nesso causale o concausale derivante dalla esposizione all’amianto, rigettando le domande di S.M.G., M.J. e M.C. volte ad ottenere il risarcimento dei danni iure proprio e iure hereditatis per la violazione della normativa di prevenzione ascritta all’azienda datrice di lavoro.
2. La Corte ha condiviso l’assunto del primo giudice, anche in seguito ad ulteriore indagine a mezzo consulenti tecnici d’ufficio in grado d’appello, ritenendo “non dimostrato il nesso causale o concausale di correlazione del decesso del M. alla esposizione all’amianto, anche perchè la contestuale esposizione alla forte abitudine tabagica (con l’accertata incidenza di un forte fattore di rischio alternativo ed assorbente) non consente, in relazione ad ambedue i pareri espressi dai Collegi di CTU, di apprezzare in termini di alta probabilità, la influenza o incidenza concausale della pur accertata, non massiva, esposizione diretta o indiretta all’amianto in ambiente di lavoro”.
3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso gli eredi M. con 5 motivi; ha resistito Fincantieri s.p.a. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.: “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c. per omessa decisione sulle eccezioni di nullità della CTU depositata il 15.7.2015 e per violazione dell’art. 92 disp. att. c.p.c.”.
Si lamenta che nonostante il Collegio d’Appello avesse ravvisato l’opportunità di riservare unitamente al merito le eccezioni di nullità della CTU, relative all’acquisizione di documentazione successivamente alla chiusura delle operazioni peritali, la Corte territoriale non vi aveva poi provveduto in sentenza.
Con il secondo motivo si denuncia, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.: “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c. per omessa decisione sulle eccezioni di nullità del supplemento di CTU depositato in data 1.5.2016”.
Ci si duole che la Corte marchigiana abbia pronunciato sentenza “senza minimamente considerare nè valutare, in senso positivo o in senso negativo, accogliendole o rigettandole, e quindi senza alcuna motivazione, le contestazioni sollevate alla regolarità formale e sostanziale del supplemento di CTU”.
2. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto affetti dalla medesima inammissibilità in quanto lamentano una omessa pronuncia rispetto ad eccezioni processuali, quali sono quelle che deducono la nullità di una consulenza tecnica, che, per consolidata giurisprudenza, non possono mai configurare una violazione dell’art. 112 c.p.c..
Invero il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c., configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; più di recente, Cass. ord. n. 321 del 2016; conf. Cass. n. 25154 del 2018).
Peraltro non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (ex plurimis, Cass. n. 7404 del 2014) e, nella specie, la Corte territoriale, avendo fondato la decisione anche sulle risultanze della consulenza tecnica espletata in grado d’appello ha implicitamente, quanto inequivocabilmente, disatteso tali eccezioni di nullità.
I motivi presentano ulteriori profili di inammissibilità legati al non aver riportato l’esatto contenuto degli atti processuali sui quali si fondano nel corpo di essi in modo da verificare quali nullità fossero state ritualmente eccepite e quando, stante la natura di nullità relative delle medesime (Cass. n. 15747 del 2018) che possono essere sanate anche per rinnovazione o comunque per instaurazione del contraddittorio (Cass. n. 23493 del 2017), e rispetto a consulenze tecniche e chiarimenti riportati a stralcio che lamentano l’acquisizione di documentazione di cui non viene riportato il contenuto nè dimostrata la decisività, nel senso che senza quei documenti la decisione sarebbe stata diversa (Cass. n. 11752 del 2018), con giudizio prognostico non di mera possibilità ma di elevata probabilità.
Da ultimo, ma non per importanza, occorre ancora una volta ribadire che secondo questa Corte la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione, potendo trovare applicazione la sanzione di nullità solo nel caso in cui l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa che abbia avuto riflessi sulla decisione di merito (tra molte: Cass. n. 4340 del 2010; n. 3024 del 2011; n. 6330 del 2014; n. 26831 del 2014; n. 26157 del 2014).
I principi informatori del processo civile, ed in particolare i principi del “giusto” processo e della “ragionevole durata” del processo (art. 111 Cost.) impongono, infatti, di evitare per quanto possibile lo svolgimento di attività processuale inutile, circoscrivendo gli effetti della invalidità caducante l’intera attività fino ad allora svolta ai soli vizi processuali che risultino “effettivamente” insanabili in quanto suscettibili di determinare una effettiva compromissione del risultato cui deve tendere il giudizio, volto a rendere alle parti una decisione “giusta” ossia una regola del rapporto di diritto sostanziale controverso che risponda al canone di giustizia prefissato dall’ordinamento giuridico. Non va dunque condiviso l’assioma “inosservanza della norma processuale – errore nell’attività processuale – “automatica” invalidazione dell’attività successiva”, difettando in tale equazione l’elemento eziologico intermedio dato dall’effettivo insanabile pregiudizio subito dalla parte, il quale soltanto può giustificare la sanzione della nullità processuale con la caducazione di tutti gli atti conseguenziali compiuti (di recente v. Cass. n. 18522 del 2018, in motivazione).
3. Il terzo motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: “Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,421 e 437 c.p.c. e art. 2697 c.c. per non avere provveduto d’ufficio agli ulteriori atti istruttori necessari a superare l’incertezza sui fatti in contestazione e per omessa decisione sulle osservazioni critiche al supplemento di CTU depositata in data 1.5.2016”.
Con articolate argomentazioni la difesa dei ricorrenti sostiene che la Corte di Appello avrebbe aderito “supinamente alle conclusioni del CTU”, non avrebbe spiegato i motivi per i quali considerava superabili le osservazioni critiche alla consulenza medesima e, comunque, non avrebbe doverosamente attivato, stante la “significatività” di tali osservazioni, poteri istruttori ex officio tesi “ad un approfondimento di quegli aspetti e di quegli elementi probatori attraverso i quali poter ricercare la verità”.
4. Il motivo – oltre all’inammissibilità della doglianza con cui si lamenta “omessa decisione sulle osservazioni critiche al supplemento di CTU” atteso che, per le ragioni esposte in precedenza, l’eventuale mancata risposta ad una eccezione processuale non dà luogo ad omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. – non può trovare accoglimento.
Infatti anche la mancata attivazione di poteri officiosi da parte della Corte territoriale non configura un errore di attività tale da determinare la nullità della sentenza o del procedimento, come imposto dall’art. 360 c.p.c., n. 4 all’uopo impropriamente invocato. Avuto specifico riguardo all’esercizio dei poteri istruttori ad opera del giudice di merito può dirsi che non è tanto il vizio di attività in sè a poter essere valutato dal giudice di legittimità, quanto piuttosto l’incidenza che tale difetto di attività abbia prodotto sulla ricostruzione dei fatti storici che hanno originato la contesa, ricostruzione sindacabile nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tempo per tempo vigente (cfr. Cass. n. 24481 del 2014).
In realtà le contestazioni sollevate ad una consulenza tecnica d’ufficio dalle parti possono riguardare il procedimento oppure il contenuto di essa (v. Cass. n. 30138 del 2018). Solo le prime integrano eccezioni di nullità e si inquadrano nell’ambito di applicazione degli art. 156-157 c.p.c., mentre le seconde costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico-giuridico (cfr. Cass. n. 15418 del 2016).
Dalle lettura del motivo in scrutinio emerge chiaro come parte ricorrente piuttosto che rilevare nullità procedimentali nell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio in concreto si diffonde in un’aspra critica al contenuto di essa ed alla motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe dato adeguata risposta alle osservazioni dei consulenti di parte, neanche mediante l’attivazione di poteri istruttori officiosi; di talchè l’originaria denuncia di errores in procedendo, anche per violazione dell’art. 112 c.p.c., risulta evidentemente inappropriata, tanto da suggerire a parte ricorrente, con la memoria ex art. 378 c.p.c., una correzione di tiro, prospettando una “totale carenza di motivazione” rilevante ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, doglianza inammissibile in quanto nuova e contenuta in una memoria che ha come unico scopo quello di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (da ultimo Cass. n. 30760 del 2018).
Orbene, nelle ipotesi in cui il giudice respinga o accolga la domanda avvalendosi del parere di un consulente tecnico d’ufficio, tanto più quando è richiesto un accertamento di situazioni rilevabili solo con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche (come avviene con la consulenza medico-legale), questa Corte ha più volte ribadito che il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24121 del 2018; Cass. n. 1660 del 2014; n. 25862 del 2011; n. 10688 del 2008; n. 4797 del 2007; n. 26694 del 2006; n. 10668 del 2005).
Si è altresì affermato che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del proprio convincimento, senza che sia necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte, risolvendosi in tal caso le critiche di parte, tendenti al riesame di elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, in mere allegazioni difensive, che non possono neanche configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 8355 del 2007; conformi, tra innumerevoli: Cass. n. 17606 del 2007; n. 282 del 2009; n. 1815 del 2015) men che meno il vizio di violazione di legge (Cass. n. 21504 del 2018).
Nella specie, al cospetto di una decisione della Corte di Appello che contiene un’ampia disamina delle questioni sottoposte ai consulenti tecnici d’ufficio nonchè una esplicita considerazione dei rilievi formulati da quelli di parte (pag. 13, p. 7.2. sentenza impugnata), con esposizione delle ragioni che hanno indotto la Corte stessa ad aderire alle conclusioni della CTU, non è sufficiente a determinarne la cassazione un motivo che, sebbene con ricchezza di argomentazioni, consideri inappaganti le spiegazioni esplicitamente o implicitamente rese.
Perchè ciò determina inevitabilmente la contestazione delle valutazioni offerte dal giudice di merito e dai suoi ausiliari, prospettando una diversa ricostruzione soggettiva, in quanto più rispondente alle attese dei patrocinati, senza che sia nella specie evidenziabile una manifesta illogicità tra gli elementi di valutazione medico-legale acquisiti al giudizio ovvero una palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica (cfr., ex multis, Cass. n. 1652 del 2012; n. 569 del 2011; n. 9988 del 2009).
Sicchè in definitiva il motivo si traduce nell’invocata revisione dei convincimenti espressi dal giudice di merito e tende surrettiziamente a conseguire una nuova valutazione ed un diverso apprezzamento dei fatti ad opera del giudice di legittimità.
Operazione di sostituzione nel compito demandato al dominio esclusivo del giudice di merito non concessa perchè del tutto estranea alla natura ed alla finalità del sindacato della Corte di cassazione che non consente un terzo grado di giudizio, tanto più in una ipotesi – ricorrente nella specie – di cd. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che preclude in radice ogni rivisitazione dei fatti (v. Cass. n. 26674 del 2016).
5. Il quarto motivo di ricorso, sempre a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia: “Nullità per violazione degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione agli artt. 2087,2043 e 1218 c.c. nell’accertamento del nesso causale civilistico”.
Si deduce che la Corte di Appello sarebbe giunta ad escludere il nesso causale limitandosi “ad applicare leggi statistiche-epidemiologiche, senza provvedere poi a corroborare la validità di tali leggi al caso concreto attraverso un criterio logico-giuridico”.
Si sostiene che “pur essendo noto che la maggior parte dei carcinomi del polmone avviene in conseguenza del fumo di sigarette, tale generica e statistica considerazione vale solo nei confronti della popolazione generale, mentre nei confronti dei lavoratori esposti all’amianto non assume quel significato decisivo per poter escludere, con certezza, cha la patologia sia derivata invece dal fattore lavorativo, concorrendo l’elemento extra lavorativo, cioè il fumo, con l’elemento lavorativo, cioè l’amianto, sicchè ai sensi dell’art. 41 c.p., per escludere la valenza del fattore lavorativo, si deve stabilire con certezza che quello extra lavorativo è da solo efficiente a determinare l’evento”.
Si assume sufficiente l’esposizione all’amianto in misura superiore alla “soglia minima di legge per ritenere sussistente il nesso causale”.
Si aggiunge infine che, secondo giurisprudenza di legittimità, sarebbe, “anche se relativamente all’ambito assicurativo dell’Inail,.. sempre illegittimo negare il ruolo causale di un fattore nocivo tabellato qualificando semplicemente la sua pericolosità come “modesta”, in quanto, essendo tabellata la lavorazione comportante un’esposizione all’amianto, secondo il criterio oggettivo dell’esposizione ambientale, l’apporto del fattore extraprofessionale non potrà essere ritenuto esclusivo, ma neppure prevalente o tale da negare un ruolo concorsuale del medesimo fattore tabellato”.
6. Il motivo, in disparte i profili di inammissibilità derivanti dalla denuncia di una non chiarita nullità della sentenza a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non può trovare accoglimento.
Esso, pur nella veste solo formale della denuncia promiscua di errores in procedendo o in iudicando, nella sostanza mira ancora una volta a porre in discussione quello che è inevitabilmente un accertamento di fatto quale la sussistenza di un nesso causale tra esposizione all’amianto e carcinoma polmonare, escluso dalla Corte territoriale con motivazione non apparente nè contraddittoria e quindi non suscettibile in sè di sindacato alla luce del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, peraltro nella specie inibito – come detto – dalla cd. “doppia conforme”.
Il mezzo di gravame contesta la negazione dell’eziologia concausale da parte dei giudici di merito senza però enucleare quale sarebbe l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale la quale, pur consapevole della regola dell’art. 41 c.p. secondo cui il rapporto causale tra l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni (Cass. 27592 del 2018; Cass. n. 23990 del 2014, n. 23207 del 2014, Cass. n. 14770 del 2008; Cass. n. 13361 del 2011), ha tuttavia applicato il principio secondo cui nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell’eziologia, è pur sempre necessario che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. tra molte Cass. n. 9057 del 2004 e, più recentemente, Cass. n. 10097 del 2015; Cass. n. 13814 del 2017).
La Corte territoriale ha escluso tale grado di probabilità con un complesso giudizio che non è sindacabile in sede di legittimità senza sconfinare nella surrogazione da parte di questa Corte in un’attività di accertamento e valutazione dei fatti che compete ai giudici di merito.
Quanto al rilievo che si sarebbe dovuto stabilire con certezza che il tabagismo era da solo causa idonea a determinare la malattia per escludere la concorrenza eziologica del fattore lavorativo, è appena il caso di osservare che, per giustificare la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., era invece sufficiente, nella specie, la configurazione dell’esposizione all’asbesto come un antecedente privo, in concreto, di efficienza causale o concausale rispetto alla malattia tumorale, non essendo necessario, da parte del giudice, individuare i fattori alternativi che avessero dato origine alla malattia (v. Cass. n. 18267 del 2013, in motivazione, in ipotesi in cui era stata esclusa la rilevanza dell’esposizione all’amianto ne(la causazione di un carcinoma polmonare in paziente dedito al fumo di sigarette).
Infine la presunzione legale dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’insorgere di una certa malattia professionale tabellata opera nel sistema dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nei confronti dell’Inail (Cass. n. 20510 del 2015; Cass. n. 17053 del 2005; Cass. n. 19312 del 2004) ed è comunque esclusa nel caso di patologie ad eziologia multifattoriale (Cass. n. 21360 del 2013; Cass. n. 16248 del 2018).
Pertanto, per ogni verso, il motivo va disatteso.
6. Con la quinta censura si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla omessa decisione della domanda di risarcimento del danno da perdita di chances”, atteso che l’inadempimento datoriale, anche laddove ritenuto inidoneo a cagionare la patologia, avrebbe comunque influito sull’accelerazione della patologia andando a compromettere le aspettative di vita del M..
Il motivo è inammissibile perchè non riporta in esso i contenuti degli atti processuali rilevanti e cioè quanto meno le parti del ricorso introduttivo che contenevano la domanda rispetto alla quale si lamenta l’omessa pronuncia nonchè lo specifico motivo di appello, mentre nel corpo del mezzo di impugnazione in esame si riporta solo uno stralcio del gravame il cui tenore, anche per la sua equivocità, non consente a questa Corte di verificare che vi sia stata la lamentata omessa pronuncia (di recente v. Cass. n. 14301 del 2017, con la giurisprudenza ivi citata).
Inoltre la censura viene prospettata invocando la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 mentre questa Corte ha più volte affermato: “l’omessa pronuncia integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Cass., n. 329 del 2016; conforme a: Cass. n. 27387 del 2005; Cass. n. 1701 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12952 del 2006; Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 25825 del 2009; Cass. n. 26598 del 2009; Cass. n. 7268 del 2012).
5. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019
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