Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.13870 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 585/2015 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. RAMUSIO 6, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO TINARI, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA TARIDDI;

– ricorrente –

e contro

D.T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 729/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 19/09/2014, R.G.N. 117/2014.

RILEVATO

Che:

La Corte d’Appello di L’Aquila confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva accolto la domanda proposta da D.T.A. nei confronti di M.R. volta a conseguire l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra le parti dal marzo 2005 al marzo 2008, con inquadramento nel IV livello del c.c.n.l. commercio e condanna al pagamento delle consequenziali differenze retributive.

Ritenuto il ricorso introduttivo del giudizio assistito dal requisito di specificità, sì da sottrarsi alla censura di nullità sollevata da parte appellante, la Corte distrettuale condivideva l’iter argomentativo seguito dal giudice di prima istanza il quale aveva vagliato il materiale probatorio, da esso evincendo gli elementi propri della subordinazione riferibili alle mansioni di commessa dalla ricorrente espletate.

La cassazione di tale pronuncia è domandata da M.R. sulla base di due motivi. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 414,113,115,116 c.p.c., in relazione all’art. 3 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di atti e documenti decisivi e difetto di motivazione ritenuta solo apparente.

Si ribadisce l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio per la genericità ed astrattezza che ne connota il tenore, non consentendo di determinare esattamente l’oggetto della domanda e non recando una esatta indicazione dei fatti e degli elementi di diritto posti a fondamento della domanda. Non erano state specificate, in dettaglio, le mansioni svolte, essendosi la ricorrente limitata a dedurre di essere stata assunta in qualità di apprendista commessa in data 6/9/2006 con inquadramento in 6 livello ccnl di settore; ai fini del riconoscimento delle differenze retributive, la lavoratrice avrebbe rivendicato la qualifica di commessa riconducibile al 4 livello contrattuale, senza estrinsecare le effettive modalità di svolgimento delle sue mansioni.

2. Il motivo palesa profili di inammissibilità.

Ed invero, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti un errore processuale che si sostanzi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo alla norma processuale violata, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il ricorso allorchè si riferisca esclusivamente alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero puramente e semplicemente la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore (sulla legge) processuale comporta (vedi Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931, Cass. 28/9/2015 n. 19124, Cass. 29/11/2016 n. 24247).

I vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono infatti posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, con conseguente onere dell’impugnante di indicare il danno concreto arrecatogli dall’invocata nullità processuale (vedi Cass. 9/7/2014 n. 15676).

Nello specifico il ricorrente ha denunciato promiscuamente, sotto il profilo dell’error in judicando e dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, un error in procedendo commesso dal giudice del gravame, per non aver rilevato la nullità del ricorso introduttivo del giudizio connotato da astrattezza e genericità in violazione dei dettami di cui all’art. 414 c.p.c., senza denunciare la nullità del ricorso stesso ed il pregiudizio da tale nullità derivatogli, peraltro espressamente escluso dalla Corte distrettuale che ha dato atto dell’idoneità del ricorso a consentire l’individuazione della pretesa attorea e del pieno esercizio del diritto di difesa da parte del convenuto.

3. La seconda censura prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115,116 c.p.c., dell’art. 36 c.c.n.l. settore commercio in relazione all’art. 3 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di atti e documenti decisivi e difetto di motivazione ritenuta solo apparente. Ci si duole che la Corte sia pervenuta ad erronea ed arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie omettendo di valutare i fatti decisivi scaturenti dalle deposizioni testimoniali rese, con riferimento alla questione “dell’inquadramento nella qualifica superiore di commessa unica”, cui ostava la vigenza del rapporto di apprendistato intercorrente fra le parti.

4. Il motivo non è ammissibile.

Una questione quale quella prospettata in questa sede, di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può, infatti, porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (vedi Cass. 27/12/2016 n. 27000); ipotesi queste non riscontrabili nella fattispecie scrutinata.

Non può poi, tralasciarsi di considerare che secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre ad emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, non consentito in sede di legittimità (vedi Cass. 20/6/2006 n. 14267, cui adde, Cass. 30/11/2016 n. 24434, nonchè Cass. 27/7/2017 n. 18665). L’art. 116 c.p.c., comma 1, consacra poi il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis vedi Cass. 15/1/14 n. 687).

Nello specifico, non può sottacersi come il ricorso solleciti, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile nella presente sede, posto che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (ex plurimis, vedi Cass. 7/12/2017 n. 29404).

5. Con riferimento al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), va dunque rimarcato che lo stesso può rilevare solo nei limiti in cui l’apprezzamento delle prove – liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto – si sia tradotto in una pronuncia che sia sorretta da motivazione non rispondente al minimo costituzionale (cfr. Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053).

Orbene, nello specifico deve rilevarsi che la Corte di appello, con accertamento che investe pienamente la quaestio facti, ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo logicamente congruo in ordine all’inquadramento contrattuale della lavoratrice.

Era infatti emerso alla stregua della espletata attività istruttoria, che la D.T. aveva espletato attività di vendita dei prodotti in qualità di commessa operando da sola per la maggior parte dell’orario di lavoro secondo le previsioni di cui al quarto livello c.c.n.l. di settore, laddove la qualifica attribuitale dalla parte datoriale corrispondente al sesto livello, postulava lo svolgimento di mansioni (quale di imballatore, guardiano, custode, fattorino, portiere, operaio comune) del tutto eterogenee rispetto a quelle in concreto esplicate.

A fronte di ciò, il ricorrente si è limitato ad opporre un’altra soluzione interpretativa, rispondente ad una diversa ricostruzione fattuale fondata su di una serie di dichiarazioni testimoniali ritenute maggiormente attendibili, secondo modalità non consentite nella presente sede, per quanto sinora detto.

6. Al lume delle superiori argomentazioni, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione va emessa quanto alla regolamentazione delle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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