Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13873 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17792/2018 proposto da:

O.E., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Briganti Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, del 06/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato in data 15.12.2017, O.E., cittadino nigeriano, di religione cristiana cattolica, impugnava dinanzi il Tribunale di Ancona il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, di quella sussidiaria ed umanitaria.

Il ricorrente riferiva di aver lasciato il proprio paese in data 13.05.2016 e di aver trascorso due settimane in Libia, prima di giungere in Italia. Egli aveva studiato per 12 anni, svolgeva la professione di autista ed era sposato. Le ragioni che lo avevano indotto ad abbandonare il proprio paese andavano ricercate nelle vessazioni subite dal proprio padre, membro anziano della setta *****, con finalità criminali, che voleva costringerlo ad entrare a farne parte contro la sua volontà.

Non volendo prendere parte alla suddetta organizzazione e temendo per la propria vita in caso di rifiuto, decideva di fuggire, in considerazione del fatto che le autorità nigeriane non erano in grado di offrirgli protezione.

Il ricorrente esponeva ancora che si stava integrando in Italia: stava imparando la lingua e svolgeva attività di volontariato.

Il Tribunale di Ancona, con Decreto n. 5675 del 2018, rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria, escludendo la sussistenza dei presupposti per la concessione di ogni forma di protezione.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, O.E..

Il Ministero dell’Interno non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1 e art. 13 e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, per avere il Tribunale omesso di motivare le ragioni del proprio diniego.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale ritenuto irrilevanti i fatti posti a fondamento della domanda del ricorrente, senza specificatamente motivare i rischi conseguenti alle vessazioni di ***** in un sistema istituzionale come quello nigeriano.

I motivi di ricorso, unitariamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

Il Tribunale ha esplicitato le ragioni poste alla base del mancato riconoscimento di ogni forma di protezione, ritenendo che non fossero sussistenti i requisiti previsti dalla normativa.

In particolare ha ritenuto, avuto riguardo alla protezione internazionale, che non sussistessero i requisiti di tipo soggettivo, causale, ambientale e di personalizzazione del rischio, non avendo il ricorrente allegato di essere “affiliato” politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa o di essere parte di una categoria esposta a violenze, torture o altri trattamenti degradanti.

Il Tribunale con riferimento alla protezione sussidiaria, ha invece affermato l’inesistenza di alcuno dei profili individuati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e c), essendo la vicenda narrata non circostanziata e comunque riferibile ad una vicenda di vita privata e giustizia comune, integrando elementi personali di timore privi di riscontri concreti ed in assenza di una condizione oggettiva di pericolo; con riferimento, infine, al mancato riconoscimento del diritto di permesso di soggiorno per motivi umanitari, la ratio posta alla base del mancato riconoscimento è stata individuata dal Tribunale, nell’esistenza, avuto riguardo al paese del ricorrente, di strumenti di protezione istituzionale (o di natura associativa privata), si da doversi esclude una condizione di vulnerabilità all’esito del rimpatrio.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32 e art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32 nonchè artt. 2, 3, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7 e 14 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Tribunale esplicato il dovere di cooperazione istruttoria.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per avere il Tribunale ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, omettendo peraltro di acquisire informazioni circa il paese di provenienza del richiedente.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, art. 47 Carta dei Diritti fondamentali dell’UE e art. 46 direttiva 2013/32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Tribunale rispettato il dovere di cooperazione istruttoria.

I motivi sono infondati.

Il Tribunale, con apprezzamento adeguato ha valutato la situazione del paese di provenienza del ricorrente servendosi di fonti ufficiali e specificando altresì che l’UNCHR aveva dato indicazioni di non rimpatrio unicamente per gli stati settentrionali della Nigeria, in particolare Borno, Yobe e Adamawa, mentre il ricorrente aveva sempre vissuto nella zona nord-ovest del paese.

Il Tribunale ha dunque esercitato il dovere di cooperazione istruttoria, assumendo informazioni sul paese di origine del ricorrente da fonti specifiche ed autorevoli, evidenziando che difettava la prova sia della richiesta di protezione del ricorrente alle autorità statali che della mancata concessione della stessa.

Il Tribunale ha inoltre ritenuto inattendibile la narrazione del ricorrente, tenuto conto che secondo le fonti ufficiali utilizzate in sede di attività istruttoria d’ufficio, l’organizzazione criminale ***** è operante negli ambienti universitari, mentre questi aveva frequentato la scuola per dodici anni e svolgeva la professione di autista, sicchè era inverosimile che lo stesso avesse avuto contatti con suddetta setta, posto che le modalità di reclutamento della stessa non coincidevano con quelle narrate dal ricorrente.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Non vi sono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, avendo il ricorrente conseguito l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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