LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19663/2018 proposto da:
I.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato D’Angelo Vittorio, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, del 22/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso depositato in data 15.11.2017, I.C., cittadino nigeriano, impugnava dinanzi al Tribunale di Ancona il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, nonchè di quella sussidiaria ed umanitaria.
Riferiva di essere fuggito dal proprio paese in quanto oggetto delle minacce della società segreta degli Ogboni, per essersi rifiutato di prendere il posto del padre defunto.
Tali minacce a scopo intimidatorio venivano poi rivolte anche nei confronti della madre, uccisa dagli uomini della società segreta, ed egli, temendo ripercussioni anche nei suoi confronti, era fuggito dal proprio paese.
Il Tribunale di Ancona, con decreto n. 6444/2018 rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di alcuna forma di protezione.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, I.C..
Il Ministero dell’Interno non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 6, 7 e 8, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), nella parte in cui il Tribunale di Ancona non ha ritenuto la minaccia subita dal ricorrente ad opera della ***** integrante una fattispecie di persecuzione meritevole di protezione tramite l’attribuzione dello status di rifugiato.
Con il secondo mezzo si denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. C) e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che il tribunale di Ancona non ha ritenuto la minaccia subita dal ricorrente da parte della ***** integrante una fattispecie meritevole di protezione tramite il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria, nonchè l’omesso esame di un documento relativo alla situazione di persone gravemente minacciate per essersi rifiutate di associarsi agli *****.
I motivi, che, per la stretta connessione vanno unitariamente esaminati, sono infondati.
Il Tribunale ha specificamente preso in esame la vicenda narrata dal ricorrente in relazione all'***** e, nonostante il riconoscimento della potenziale pericolosità di tale gruppo e la prospettazione che la partecipazione al medesimo si acquisisca, se non tramite via ereditaria, per il tramite di una relazione particolarmente viscerale, ha però escluso, con apprezzamento adeguato, che risultassero atti persecutori in danno di chi rifiutava di entrare a farne parte, ed ha ritenuto che le modalità di reclutamento fossero simili a quelle descritte dal ricorrente, evidenziando la diffusa ambizione ad entrare a far parte di tale setta, in virtù delle ricompense finanziarie, del potere e del successo che ne possono conseguire.
Il Tribunale ha in altri termini ritenuto poco credibile la narrazione del ricorrente ed ha dunque ritenuto, con apprezzamento adeguato, che non fosse ravvisabile una concreta minaccia per la vita nè una condizione di particolare fragilità del ricorrente medesimo, che tra l’altro non risultava aver intrapreso un percorso di socializzazione in Italia.
Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.
Non vi sono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, avendo il ricorrente conseguito l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019