LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13039/2018 proposto da:
C.K., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Luca Zuppelli giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA del 28/3/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto in data 28 marzo 2018 il Tribunale di Brescia respingeva il ricorso proposto da C.K. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, degli art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
In particolare il Tribunale, dopo aver ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa, escludeva che al migrante potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato, dato che, a prescindere dalla sua dubbia provenienza da *****, dove nel luglio del ***** vi erano stati gravi scontri fra cristiani e musulmani di diverse etnie, nessun ragionevole timore di persecuzione poteva essere ravvisato rispetto a fatti avvenuti anni prima e oramai esauritisi; il collegio di merito rilevava inoltre che l’inattendibilità del ricorrente ostava anche al riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e negava il ricorrere dell’ipotesi prevista dalla successiva lett. c), in assenza di un pericolo attuale di conflittualità connesso all’appartenenza etnica del richiedente.
Infine il Tribunale riteneva che non potesse essere accolta neppure la domanda di protezione umanitaria, in quanto da un lato le criticità della situazione esistente in Guinea sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona non davano luogo a un’emergenza umanitaria generalizzata, dall’altro l’eventuale integrazione nel paese ospitante non era elemento di per sè idoneo al riconoscimento di questo tipo di protezione.
2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia C.K., affidandosi a quattro motivi di impugnazione.
L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1 Il primo motivo di ricorso assume che il D.L. n. 13 del 2017 sarebbe sprovvisto dei requisiti costituzionali e legislativi di necessità e urgenza, contenendo norme di non immediata applicazione e del tutto eterogenee; la nuova normativa inoltre introdurrebbe un modello processuale privo di regole predeterminate dal legislatore che da un lato affiderebbe al potere discrezionale e insindacabile del giudice la formazione della prova a base del diritto portato in giudizio, dall’altro prevederebbe un unico grado di merito con la celebrazione di un’udienza meramente eventuale e senza altra difesa che quella scritta.
3.2 Simili questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili.
3.2.1 Esse sono anzitutto irrilevanti.
L’elaborazione della Corte costituzionale ha difatti chiarito il significato della nozione legislativa di rilevanza della questione incidentale di legittimità costituzionale, come emergente dalla formula adottata dalla L. n. 87 del 1953, art. 23,comma 2, (“qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione”): tale nozione richiede per un verso che la rilevanza inerisca al giudizio a quo e, per altro verso, che un’eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di spiegare un’influenza concreta sul processo principale, nel senso che un’eventuale pronuncia di accoglimento incida sulle situazioni giuridiche fatte valere nel giudizio principale sicchè sono reputate irrilevanti, tra l’altro, questioni le quali non sortirebbero alcun effetto in detto giudizio (Corte Cost. n. 113/1980; Corte Cost. n. 301/1974) o non risponderebbero in nessun modo alla domanda di tutela rivolta al remittente (Corte Cost. n. 202/1991; Corte Cost. n. 211/1984; Corte Cost. n. 15/2014; Corte Cost. n. 337/2011; Corte Cost. n. 71/2009). Nel caso in esame i dubbi di costituzionalità sollevati non hanno nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, la quale ha trovato fondamento non già nella disciplina giuridica introdotta nel 2017, bensì sull’atteggiarsi dei criteri concernenti la valutazione di affidabilità del dichiarante alla luce del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sul mancato ricorrere dei presupposti previsti da quest’ultimo decreto o dal D.Lgs. n. 286 del 1998 per il riconoscimento delle forme di protezione richiesta.
Ne discende che l’accoglimento delle sollevate questioni di costituzionalità non produrrebbe, di per sè, un concreto effetto nel giudizio a quo, satisfattivo della pretesa invece disattesa dal Tribunale.
3.2.2 Le stesse questioni sono altresì manifestamente infondate.
In vero è evidentemente privo di fondamento logico l’assunto del ricorrente secondo cui la previsione di una non immediata applicazione delle norme introdotte denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto-legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza (Cass. 17717/2018).
Risulta poi evidente come l’intero impianto normativo – attraverso l’istituzione di sezioni specializzate in materia (capo I), l’introduzione di misure per la semplificazione e l’efficienza dei procedimenti avanti alle commissione territoriali e dei procedimenti giudiziari (capo II) e la previsione di strumenti per l’accelerazione della procedure di identificazione e definizione della posizione giuridica di cittadini extracomunitari e per il contrasto all’immigrazione illegale (capo III) si colleghi nella sua interezza all’ipotesi straordinaria di necessità e urgenza che ha indotto il governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento e si proponga di realizzare, con misure omogenee e complementari fra loro, gli obiettivi di ordinato controllo dell’immigrazione sul territorio nazionale e regolazione della libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea.
Non v’è inoltre alcun dubbio sul fatto che il procedimento camerale, da sempre impiegato anche per la trattazione di controversie su diritti e status, sia idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale, neppure potendo riconoscersi rilievo all’eventualità della soppressione dell’udienza di comparizione, sia perchè essa è circoscritta a particolari frangenti nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perchè il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte (Cass. 17717/2018).
Infine risulta manifestamente infondata pure la questione di legittimità costituzionale volta a censurare il fatto che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale sia definito con decreto non reclamabile, dato che, oltre al fatto che il principio del doppio grado di giudizio di merito non ha copertura costituzionale, in materia di immigrazione è necessario soddisfare esigenze di celerità e il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700/2018).
4.1 Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e art. 5, comma 6 T.U.I.: il Tribunale non avrebbe preso atto della documentazione prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate rese sin dall’audizione avanti alla commissione territoriale, non avrebbe attivato i poteri officiosi necessari a una adeguata conoscenza della situazione del paese di provenienza, nè avrebbe valutato la richiesta di protezione umanitaria.
4.2 Il terzo motivo di ricorso, sotto la rubrica “motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio”, si duole del fatto che il Tribunale si sia sottratto al preliminare scrutinio dei criteri legali previsti in materia, dando spazio invece ad aspetti secondari e irrilevanti imprecisioni nel racconto del richiedente asilo e trascurando di svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda anche attraverso l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine.
4.3 Ambedue le doglianze sono inammissibili.
Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 3741/2004, Cass. 6219/2005, Cass. 15952/2007, Cass. 18421/2009).
Nella specie, al contrario, i due motivi operano un generico riferimento alla mancata valutazione delle argomentazioni e della documentazione fornita dal ricorrente nonchè all’omessa acquisizione di informazioni aggiornate sul Paese di origine, senza operare specifiche censure alla decisione impugnata nè indicare i fatti allegati in ordine ai quali si sarebbe dovuto espletare l’istruttoria officiosa, per di più limitandosi a reiterare il tenore degli argomenti già illustrati in sede di merito e – nel secondo motivo – facendo riferimento ad un vizio (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) non più previsto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
5.1 Il quarto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b): la commissione non avrebbe compiutamente valutato la fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o il rischio di patire gravi danni in caso di rimpatrio, dato che il migrante era fuggito dal suo paese per sottrarsi alle violenze di una diversa etnia; nel contesto rappresentato erano senza dubbio configurabili, in tesi di parte ricorrente, i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione richieste.
5.2 Il motivo è inammissibile.
La proposizione del ricorso al Tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae, invero, all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 17069/2018, Cass. 27336/2018, Cass. 3016/2019).
Nel caso di specie il Tribunale ha rilevato una serie di criticità e incongruenze nel racconto del ricorrente tali da rendere la narrazione dei fatti scarsamente credibile; ad ogni buon conto il medesimo ha fatto riferimento a una vicenda, per quanto grave, accaduta nel ***** ed esauritasi in una settimana, laddove – da elementi attinti da fonti internazionali e rapporti del Ministero dell’Interno – la situazione in ***** non risulta tale da mettere in pericolo l’incolumità e i diritti delle persone.
Particolarmente carente, quanto all’allegazione di reali elementi di vulnerabilità, si è presentata anche la domanda di protezione umanitaria, nel regime previgente applicabile alla fattispecie concreta (Cass. 4890/2019).
Il ricorrente non ha perciò adempiuto l’onere di allegazione sul medesimo incombente e il motivo di ricorso non fornisce, al di là di generici riferimenti al quadro normativo, elementi e ragioni che consentano di superare il giudizio del Tribunale, riducendosi nella sostanza a un inammissibile tentativo di introdurre un sindacato di fatto sull’esito delle prove raccolte e sovvertire così l’apprezzamento a cui è deputato, invece, il solo giudice del merito.
6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019