Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13881 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19142/2018 proposto da:

N.E., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza San Salvatore in Campo n. 33, presso lo studio dell’Avvocato Nicolina Giuseppina Muccio, rappresentato e difeso dall’Avvocato Noemi Nappi giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Lecce;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE del 4/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 4 maggio 2018 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso proposto da N.E. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In particolare il Tribunale rilevava che il timore di persecuzione rappresentato dal richiedente asilo non assumeva le caratteristiche previste per il riconoscimento del diritto al rifugio dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 ed escludeva che sussistessero le condizioni necessarie per la concessione della protezione sussidiaria, in assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sia perchè i fatti narrati dal richiedente asilo, di scarsa attendibilità, non integravano il pericolo di un grave danno, sia perchè non erano stati forniti elementi che portassero a ritenere l’incapacità o la non volontà delle autorità locali di offrirgli protezione; peraltro, stando alle fonti di informazioni raccolte, nel sud della ***** non si rilevavano conflittualità tali da giustificare la concessione della protezione umanitaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non essendo presente una situazione di violenza indiscriminata e diffusa.

Nel contempo il collegio di merito considerava insussistente una condizione di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto conto della mancata rappresentazione di fattori soggettivi di vulnerabilità, della situazione anche sanitaria esistente nel paese di destinazione e dell’omessa allegazione dell’avvio di un serio percorso di integrazione in Italia.

2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia N.E., al fine di far valere tre motivi di impugnazione.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8: il Tribunale si sarebbe totalmente sottratto al dovere di cooperazione previsto da tali norme, senza ascoltare nuovamente il ricorrente e trascurando di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza.

3.2 Il secondo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g) e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e il vizio di motivazione rispetto alla mancata concessione della protezione sussidiaria: il Tribunale, nell’escludere il diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, non avrebbe preso in considerazione le dichiarazioni del richiedente asilo in merito alle minacce rivoltegli dagli anziani del villaggio, all’aggressione subita e al vano ricorso alle autorità di polizia e non avrebbe così colto che queste circostanze integravano un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo per la propria incolumità ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); del pari il collegio del merito non avrebbe adeguatamente apprezzato, come già invece aveva fatto una diversa giurisprudenza di merito, la situazione di violenza diffusa e indiscriminata che caratterizzava la zona di provenienza del ricorrente.

3.3 Ambedue i motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

La proposizione del ricorso al Tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae, invero, all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 17069/2018, Cass. 27336/2018, Cass. 3016/2019). Nel caso in esame il Tribunale ha accertato da un lato la scarsa attendibilità e la contraddittorietà della narrazione dell’istante, intrisa non solo di incoerenze ed elementi vaghi e generici, ma anche priva di alcun riferimento alle vicende avvenute nell’asserita città di provenienza (Kano), dall’altro che dai fatti narrati comunque non emergevano minacce o aggressioni a carico del richiedente asilo fra il 2008 e il 2013, epoca in cui questi si allontanò dal proprio paese di origine.

Tali rationes decidendi non sono state specificamente impugnate (Cass. 19989/2017).

E l’invocato dovere di cooperazione, in difetto di un’allegazione dei fatti che sia credibile, non può essere attivato (Cass. 3016/2019, Cass. 27336/2018).

Nè è possibile ritenere che il primo giudizio sia in qualche modo inficiato dalla mancata audizione del ricorrente, pur in mancanza della videoregistrazione del suo colloquio avanti alla commissione territoriale, in quanto, ove ci si trovi in presenza di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, non consegue automaticamente l’obbligo di procedere all’audizione del richiedente (Cass. 3029/2019).

4.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e vizio di motivazione rispetto alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari: il Tribunale non avrebbe effettuato alcuna valutazione comparativa fra la situazione di integrazione in cui si trovava in Italia il richiedente asilo e la situazione di vulnerabilità, per violazione o impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, a cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio.

4.2 Il motivo è inammissibile.

Vero è (Cass. 4455/2018) che il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria – nel regime previgente applicabile alla fattispecie concreta (Cass. 4890/2019) – non quale fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale meritevole di tutela attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel paese d’origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili; in questa prospettiva è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili.

Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità; i seri motivi di carattere umanitario possono quindi positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.).

E’ compito del giudicante la verifica della sussistenza dei “seri motivi” che legittimano la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare suddetti fattori di vulnerabilità.

Il Tribunale però ha registrato come la comparazione che si pretende omessa fra la situazione esistente nel paese di origine e quella di integrazione in Italia non fosse realizzabile, sia per la mancata prospettazione di fattori oggettivi di vulnerabilità, tenuto conto dell’efficace organizzazione del sistema sanitario *****no per debellare la febbre di Lassa, sia perchè il migrante non aveva fornito elementi utili a lasciar ritenere che egli avesse avviato un serio percorso di integrazione in Italia.

A fronte di tale giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, il mezzo si fonda su argomentazioni del tutto generiche e di principio, inidonee a minare la ratio decidendi posta dal giudice di merito a base della decisione impugnata.

5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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