Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13884 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19610/2018 proposto da:

N.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Flaminia n. 56, presso lo studio dell’Avvocato Roberto Fiocca, rappresentata e difesa dall’Avvocato Paolo Sassi giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO depositato il 9/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 9 maggio 2018 il Tribunale di Campobasso respingeva il ricorso proposto da N.C. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In particolare il Tribunale, dopo aver ritenuto del tutto generico e inattendibile il racconto della migrante – poichè la stessa non aveva circostanziato le modalità del sequestro di persona che sosteneva di avere subito nè risultava credibile che la donna e il fidanzato, autore del sequestro, appartenessero alla *****, pur non essendo di classe sociale elevata -, rilevava che nella sua regione di residenza non era in atto una violenza indiscriminata, constatava come non risultasse provato il ricorrere di fattori di vulnerabilità e, di conseguenza, rigettava le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia N.C., al fine di far valere tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 14 e art. 16, comma 1, lett. b) nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata valutazione della vicenda personale della richiedente asilo e della situazione esistente in *****: il Tribunale avrebbe valutato non correttamente la vicenda personale della migrante, in quanto le sue dichiarazioni trovavano pieno riscontro esterno e non erano affatto contraddittorie, inattendibili o vaghe, di modo che doveva esserle riconosciuto lo status di rifugiato in presenza di un ragionevole timore di subire serie persecuzioni in caso di rimpatrio.

Il Tribunale inoltre avrebbe valutato in maniera inadeguata il rischio per la ricorrente, di religione cristiana pentecostale, di essere perseguitata per motivi religiosi da parte del gruppo terroristico di *****, trascurando di considerare che in realtà l’intero territorio ***** era afflitto da una violenza indiscriminata e diffusa ed assumendo erroneamente, in carenza di qualsiasi istruttoria, che l'***** fosse una regione sicura.

3.2 La doglianza risulta inammissibile rispetto a entrambi i profili di critica dedotti.

3.2.1 Quanto al riconoscimento dello status di rifugiato occorre considerare che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Questo apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Nella specie il Tribunale ha accertato, in fatto, la non credibilità della narrazione delle vicende che avrebbero indotto la richiedente asilo ad abbandonare il suo paese, dato che la donna, oltre a non circostanziare le modalità del sequestro di persona asseritamente patito, non aveva risposto in maniera convincente alle domande riguardanti la *****, che, quale setta elitaria, annovera fra le sue fila appartenenti a classi sociali elevate a cui non risultavano appartenere nè la migrante, nè il fidanzato.

La censura in esame quindi non propone critiche che rientrino nel novero delle censure ammissibili e mira invece a una non consentita rivisitazione del merito della vicenda (Cass. 8758/2017).

3.2.2 Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).

Il Tribunale si è ispirato a simili criteri, laddove ha rappresentato che l'***** non risultava segnalato – e dunque all’esito di un esame di informazioni sulla situazione socio-politico-economica del paese di provenienza, seppur non espressamente indicate – per l’esistenza di conflitti armati in corso.

Anche sotto questo profilo la censura in realtà cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti informativi valutati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).

4.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla mancata valutazione della situazione esistente in *****: il Tribunale non avrebbe effettuato alcuna valutazione comparativa fra la situazione di integrazione in cui si trovava in Italia la richiedente asilo e la situazione di vulnerabilità, per violazione o impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, a cui sarebbe stata esposta in caso di rimpatrio; oltre a ciò, posto che i seri motivi necessari per il riconoscimento di questa forma di protezione potevano essere ricondotti a situazioni tanto soggettive quanto oggettive relative al paese di provenienza, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che le condizioni di vita della richiedente asilo nel paese di origine, dove vi era una situazione di insicurezza e instabilità tale da determinare la violazione dei diritti fondamentali della persona, erano oggettivamente del tutto inadeguate.

4.2 Il motivo è nel suo complesso inammissibile.

4.2.1 Vero è che il Tribunale era chiamato a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019), la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018). Il che tuttavia presupponeva che la migrante allegasse e dimostrasse, oltre alle ragioni che l’avevano spinta ad allontanarsi dal paese di origine, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018).

La mancata indicazione del raggiungimento di una situazione di integrazione in Italia ha quindi impedito di estendere la valutazione della domanda al profilo comparativo che si assume omesso.

4.2.2 La ratio della protezione umanitaria è data dalla necessità di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità; in questa prospettiva la situazione di vulnerabilità non va intesa in senso astratto, ma deve essere calata nella complessiva condizione del richiedente e tratta da indici soggettivi e oggettivi (questi ultimi riferibili al paese di origine).

Il Tribunale ha operato una simile valutazione escludendo la sussistenza di fattori di vulnerabilità oggettivi ricollegati alla condizione del paese, laddove ha spiegato che lo stato di provenienza della migrante non era caratterizzato da conflitti armati o da una situazione socio-politica allarmante, o soggettivi conseguenti alla situazione personale della ricorrente, di cui non era stata fornita alcuna prova.

Anche sotto questo profilo risulta inammissibile la prospettazione, peraltro sulla base di allegazioni di principio del tutto generiche, di una diversa lettura e interpretazione delle risultanze di causa e delle informazioni raccolte sulla situazione socio-politico-economica del paese, trattandosi di censura attinente al merito, la cui valutazione è attribuita in via esclusiva al relativo giudice.

5.1 Con il terzo motivo il ricorrente assume la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2: il Tribunale avrebbe disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a motivo dell’assoluta infondatezza dei motivi di ricorso, avendo riguardo in realtà non a questi ultimi ma alla falsità del racconto della richiedente asilo, che sarebbe stata erroneamente ravvisata.

5.2 Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha proceduto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato direttamente all’interno del decreto impugnato e in uno con la decisione sul merito della controversia piuttosto che con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2.

Il che tuttavia non comporta mutamenti nel relativo regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dall’art. 170 cit. D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il decreto che definisce il merito, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 testo unico in parola (Cass. 3028/2018, Cass. 29228/2017, Cass. 32028/2018).

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100, oltre spese generali prenotate a debito, accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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